“Il bello che Piace”. Ci sono libri da metropolitana e libri da scrivania. I primi sono quelli che sfogliamo più o meno distrattamente per occupare le poche decine di minuti che ogni giorno segnano il tempo del nostro viaggio tra casa e lavoro, i secondi sono quelli a cui dedichiamo tempo ed attenzione, comodamente seduti nel nostro studio.
Vi sono poi libri che sembrano appartenere ad entrambe le categorie, che in un modo o nell’altro si prestano ad entrambi i momenti, riuscendo sempre a dare il meglio di sé, a farci rimpiangere di essere già arrivati nel primo caso e di non avere sottomano tutti i libri citati nelle note nel secondo.
“Il bello che piace”, di Cristina Cassese, appartiene a questa categoria; si presenta sottile, minuto, intrigante nella sua copertina vinaccia segnata da una grafica essenziale ed efficace, con un sottotitolo che potrebbe spaventare per la presenza del termine “antropologia del corpo” e che incuriosisce per il suggerito uso investigativo di dieci oggetti.
Un viaggio alla scoperta di tutti noi
Come molte cose preziose, il libro di Cristina Cassese non si mostra a tutti e subito in maniera plateale e sfacciata; un po’ come la sua autrice arriva in punta di piedi, chiede permesso prima di entrare, suggerisce piuttosto che gridare, racconta storie tanto straordinarie quanto quotidiane, svelandoci l’origine e la storia di oggetti ed usanze che riteniamo normali e che ieri (o domani…) tanto normali non erano.
Sembra quasi di assistere ad un episodio di quelle serie TV che vanno in onda sulle piattaforme dedicate al crime; c’è un delitto inspiegabile, arrivano gli esperti con la loro valigetta, trovano un capello, un’unghia, un frammento, una briciola e attraverso quello il mistero è svelato ed il colpevole è assicurato alla giustizia.
Cristina Cassese ci accompagna in una indagine meno fantasiosa e più allegra, corroborata da una bibliografia ricca e puntuale (scorrere i titoli delle opere citate nelle note è una lettura nella lettura) ci prende per mano e ci mostra come e perché alcuni oggetti, alcune mode, alcune azioni siano oggi così profondamente parte della nostra quotidianità da non suscitare più la nostra attenzione.
Spazzolarsi i capelli, radersi la barba, guardarsi allo specchio, lavare i panni in lavatrice, spruzzare qualche goccia di profumo… atti banali e quotidiani, che spesso compiamo in automatico, ascoltando un messaggio vocale sul nostro smartphone o con la mente già occupata a programmare gli impegni che ci attendono.
“Il bello che piace” ci riporta nel nostro qui ed ora raccontandoci come e perché facciamo quel che facciamo, spiegandoci che quello che qui ed oggi fa parte della nostra giornata avrebbe suscitato stupore, imbarazzo o riprovazione nei nostri nonni, e altrettanto farebbe oggi, in un luogo distante anche solo poche centinaia di chilometri da noi.
Il normale eccezionale
Facile citare il verso di una nota canzone di Lucio Dalla, che sosteneva che “l’impresa eccezionale è essere normale”; nel libro di Cristina Cassese scopriamo che è il nostro normale ad essere l’eccezionale altrui e che quanto oggi ci sembra banale e scontato, era (ed è) strano e bizzarro per altri. Oggi una donna in pantaloni ci sembra normale, ma un uomo con la gonna attira la nostra attenzione; ieri il tatuaggio era riservato a galeotti e marinai, oggi è sfoggiato da manager e donne in carriera; ieri i capelli erano lunghi per le donne e corti per gli uomini, oggi nessuno si stupisce del contrario.
Sono solo alcuni dei tanti esempi che troviamo ne “Il bello che piace” per riflettere su come e quanto il nostro giudizio e la nostra abitudine sia frutto di convenzioni, di abitudini e pregiudizi che quasi mai – oggi – hanno una motivazione reale ed una necessità pratica, essendo piuttosto il risultato di scelte di marketing, di imposizioni religiose, di pregiudizi culturali che agiscono inconsapevolmente.
Ieri e oggi
Accade così che tutti noi agiamo nel quotidiano ripetendo gesti e azioni di cui – interrogati – non sapremmo spiegare il motivo: perché il rossetto è rosso? Perché si coprono gli specchi nelle case dove si vive un lutto? Perché oggi molti uomini si rasano i capelli ma fanno crescere la barba? Perché gli uomini preferiscono le bionde?
Sono alcune delle domande a cui Cristina Cassese suggerisce le risposte, con una prosa scorrevole e intrigante che si dipana in periodi brevi ed ariosi (un consiglio: fermatevi qualche istante a riflettere sul titolo di ogni capitolo…) che, come perle di una collana, hanno valore in sé stessi ma ne acquistano altrettanto messi insieme.
E’ oltremodo divertente leggere come quest’opera sia nata – in fondo – da un equivoco nel prenotare una visita guidata ad un museo e quanto sia illuminante per l’intelletto (e doloroso per la autostima…) confrontarsi con una zia Salè che ti dice che a ventidue anni sei già vecchia, è curioso scoprire perché le scarpe hanno il tacco e quali fossero le ricette per le cerette depilatorie degli antichi egizi; è singolare leggere che nello stesso edificio di culto Gesù venga rappresentato con o senza la barba a seconda che si voglia sottolineare la sua natura umana o divina; fa pensare leggere che si poteva essere considerati peccatori anche solo mostrando una ciocca di capelli o depilandosi le gambe.
“Il bello che piace” ha le qualità di un testo specialistico e la leggerezza di una opera divulgativa, potete leggerlo sotto l’ombrellone o citarlo nella vostra tesi di dottorato, potete regalarlo alla amica fashion victim o al collega che ha il vezzo della pochette. In tutti i casi, non ve ne pentirete!