Le lingue e la piazza. La piazza come incontro di linguaggi e di etnie. Il viaggio è dentro il camminamento dei luoghi. I luoghi reali e i luoghi metafora. I luoghi tempo e i luoghi missione. La piazza è un luogo non solo archetipo e simbolo nella geografia paolina ma è soprattutto il disegno di una nostalgia dell’incontro tra civiltà e popoli.
San Paolo , il 25 gennaio è il giorno della conversione, ci porta la nostalgia dell’incontro. Nella nostalgia la memoria non è passato ma è la traccia che viviamo, è la traccia della ricerca che viviamo per ritrovarci e per ritrovare una eredità nel viaggio. I viaggi di San Paolo sono stati sempre un camminare alla ricerca del Centro. Il Centro come elemento metaforico e quindi constatazione metafisica ma anche come una realtà geografica dove il tutto si focalizza intorno ad un tema di fondo che viene ad essere determinato da una parola fondamentale che è l’Incontro.
In Paolo tutto avviene intorno alla possibilità di fare del Centro il vero modello di correlazione tra il dentro e il fuori. È vero che San Paolo è il viaggio ma è anche vero che il viaggio si materializza non solo nella comunione della parola ma anche nella definizione di un luogo o dei luoghi. Dove avviene il passaggio dal fisico al metafisico in Paolo? Si compie lungo una strada, ovvero lungo la strada per Damasco. Damasco è la lettura del tutto.
La parola di Paolo dove si espande o meglio come cerca di espandersi e attraverso che cosa? Uomo della conversione, che si converte alla parola della cristianità, trasmette le parole in un luogo per eccellenza di derivazione mediterranea che è l’agorà o meglio l’uomo convertito usa le lingue per comunicare una consapevolezza dentro una geografia che è rappresentata dal luogo e in questo luogo confluiscono le strade dei popoli.
Paolo parla nell’agorà per portare la propria testimonianza in una esperienza di missione e l’agorà in quel tempo e non solo in quel tempo rappresentava il centro della città, quel centro che accoglieva le diversità dei popoli e le manifestazioni delle culture. Il rapporto tra la città e l’agorà ha sempre costituito un intreccio di etnie. Paolo che è definito l’apostolo delle genti non solo è il testimone di due culture (quella giudaica e quella greco romana) ma è soprattutto il messaggero di un linguaggio che cerca di accomunare e sviluppa questa tesi in una forma universalistica mettendo “in piazza” il suo paesaggio linguistico.
Mettere in piazza per Paolo significa soprattutto comunicare semplicemente la Parola che possa trasmettere non valori in sé ma esempi e fede. L’agorà – piazza come centro della parola. D’altronde Paolo discute con quelli che incontra proprio nell’agorà (cfr. At 17) e Atene costituisce lo spazio dentro il quale si definisce il Centro. L’agorà è Centro, dunque, della città, perché è definizione dell’essere dei luoghi e dei non luoghi. Una visione che ha una sua realtà antropologica all’interno della geografia dell’esistere.
L’agorà è il Centro della discussione per tutti mentre l’Areopago (collina di Ares, dio greco della guerra, che rappresenta il punto più alto della città) è il luogo dell’approfondimento. Tanto che ad Atene Paolo viene spinto a discutere proprio nell’Areopago per dar vita a quegli argomenti che erano stati alla portata di una rappresentazione pubblica più complessiva. In fondo per Paolo la piazza costituisce anche il raccordo delle lingue attraverso un intreccio di riferimenti di appartenenza.
Le etnie sono l’intreccio di culture che si raccordano nello spazio aperto delle città. A chi si rivolge Paolo quando parla, quando usa la lingua e il linguaggio dei popoli e delle genti? Si rivolge alle comunità che in quel momento “affollano” lo spazio aperto e quello spazio si universalizza perché diventa pubblico. In fondo la parola di Paolo è sempre una parola pubblica che ha raccolto lungo le strade e sono le voci della strada che si ritrovano nella piazza.
In realtà la metafisica dell’anima paolina è rendere pubblico il messaggio. Andare oltre la stanza, oltre il margine, oltre le frontiere. Ma il superamento di tutto questo si vive, appunto, in uno spazio che non conosce pareti, ovvero la parola che proviene da una missione di trasmissioni di immagini, bensì una da un intreccio che lega il provvisorio con il definitivo. Paolo cerca di togliere il provvisorio dalla piazza e di portare, nello spazio aperto, il definitivo. Uscire dalla “casa” è un termine importante. Uscire dal chiuso per entrare nell’altrove.
C’è una metafora importante che insiste in questo immaginario di dimensioni di fede. La casa è il riparo. Il riparo da tutto. La piazza accoglie tutto. Quando arriva il vento se si chiudono le imposte non penetra il centro della casa. In piazza, invece, viene spinto dalle correnti delle strade e dai vicoli e trova nel centro della piazza tutte le voci dei venti che giungono da paesi e da civiltà altre. Il vento è nella piazza.
Nella piazza il tempo non può contarsi. Può soltanto raccontarsi come nostalgia del vissuto perché diventa non catturabile neppure l’istante. Nella casa si assiste all’illusione della clessidra. Ma è solo una illusione. Il tempo nella dimensione agorà – piazza si incontra costantemente con lo spazio. In Paolo il tempo è sempre tempospazio. I suoi viaggi sono percorsi lungo le rotte del tempospazio.
Dove accade quel che accade? Ha una sua importanza particolare proprio nel viaggiare. Il luogo si misura sempre con il tempo perché lo si accoglie o lo si respinge o si viene accolti o si viene respinti proprio in rapporto ad un legame tra esterno ed interno. Persino il dialogare assume una sua valenza metafisica ed estetica.
Il luogo può diventare universale o soltanto estremizzato nella intimità. Già di per sé la piazza ha una architettura che si presta all’incontro. E Paolo lo sapeva benissimo tanto che ha segnato la letteratura cristiana attraverso l’universalizzazione della parola. Perchè universalizzare non può avere segreti.
La piazza, in fondo, è il contrario della camera da letto. Proprio per questo il gioco indefinibile tra tempo e spazio assume chiavi di letture straordinarie. Il di dentro e il di fuori ha trovato in Gaston Bachelard quella metafora della “poetica dello spazio” che è rivelazione di significati e significanti. Ma il di dentro e il di fuori sono l’universalismo della metafisica della parola. Coincidono sempre e sono il segno del viaggio.
Paolo si serve dello spazio soprattutto per definirsi nella “poetica” del Centro e anche perché ha necessariamente bisogno di uno spazio reale. Il messaggero della cristianità deve comunicare la fede in uno spazio reale convinto che la piazza si identifica con le genti. Viaggio – città – piazza. È su queste coordinate che si caratterizza un incontro tra le lingue e tra popoli. In questa geografia San Paolo è destino e fede.