Origini antiche. Tra Oriente ed Occidente. Ma il Mediterraneo è dentro questa cultura che riporta testimonianze di un vissuto e dei popoli. I simboli vi campeggiano. Dal simbolismo sessuale a quello magico a quello cristiano.
Il Mediterraneo è dentro questa Valle, e questa Valle è un insieme di destini e di storie che hanno lasciato il segno nei territori. E hanno parole che si rivelano nella visione di ciò che noi abbiamo spesse volte definito bene culturale. Appunto bene dell’umanità. Appunto “bene” della cultura dell’uomo.
L’immagine del Mediterraneo non è una metafora che viaggia tra i circuiti di un sentimento popolare. È una coscienza storica che è dentro la consapevolezza dell’identità dei popoli. Il Mediterraneo è l’intreccio dei colori che si esprimono tra i vicoli di Alberobello e della Valle dei Trulli: con le sue specchie, i suoi dolmen, i suoi menhir. Ammassi di pietre, buche scavate nella roccia affiorante, stele che si innalzano nel toccare i passaggi del vento.
La Valle dei Trulli, nella Puglia dei colori antichi, è uno dei contesti certamente particolari del nostro bel Paese. Paese che custodisce tradizioni e risorse e che si caratterizza non per la sua storia diventata cronaca ma per quella storia “parlante” data dal patrimonio artistico, naturale, appunto, paesaggistico.
L’uomo governa il paesaggio e governandolo gli offre linguaggi. I Trulli sono un linguaggio che recitano archetipi e simboli. Ma vanno salvaguardati, tutelati, conservati per una fruibilità che ci riporta alla memoria.
Memorie di pietra: si direbbe e queste pietre sono fatte di parola, di saperi, di riti. Un collegamento diretto tra archeologia e storia. Bisogna fare in modo di difendere questo patrimonio cercando di difendere tutto il paesaggio. Un paesaggio che è fatto dall’uomo, un patrimonio che esiste se l’uomo riesce ad occuparsi del patrimonio come valore dell’esistere.
In questi passaggi epocali e ciclici la grecità non è soltanto una stagione del tempo della memoria. E’ la stagione di una civiltà che è stata attraversata dagli uomini e attraversa le secolarizzazioni nelle quali l’uomo recita il suo tempo. Ma il “preistorico” dei Trulli è un richiamo di un Mediterraneo costante che è dentro la coscienza dei luoghi.
Il tramonto non c’è più. Giungo a Martina Franca. Ma i vicoli di Martina Franca sono in festa. Una festa filigranata di coriandoli che cadono sul nostro sguardo. Camminiamo. In questa terra di Giubileo ci sono i colori che festeggiano insieme alle fantasie.
Rivisitiamo la Basilica di San Martino. Una chiesa che è stata voluta dall’Arciprete Isidori Chirulli in un periodo che va tra il 1747 e il 1763. E’ stata poi consacrata nel 1775.
Qui in questa chiesa c’è il sentiero della pazienza che si fa speranza. San Martino che osserva ed è osservato. La pastorella che con quel suo sguardo di tenerezza accarezza gli osservatori. Pietro, Paolo, Giuseppe e Giovanni Battista sembrano sentinelle che fanno guardia alla chiesa.
Ben collocati nelle quattro nicchie esterne ascoltano e guardano in prospettiva. E poi su in alto, nella facciata centrale, le due sante: Martina e Comasia.
Uno spaccato di religiosità e di arte. Si osserva la vetrata in alto. La quale risale al 1956 ed è opera di Marcello Avenali. Raffigura l’assedio dei Cappelletti del 1529. Imponente. Austera. Maestosa. Fa da guida. Martrina Franca è questa Basilica. Scrutarla nei particolari.
Ma andiamo oltre. Sotto i portici. Il barocco ci insegue. Lentamente a mo’ di passeggiata ci inoltriamo nei vicoli. Le balconate sono risvolti nei corridoi. Tutto ha una storia. Ma la storia è una costante recita che ci attrae. Il Valle d’Itria non è soltanto un paesaggio.
Nel paesaggio si passeggia.
Palazzo Ducale. La fontana. Gli affreschi del Palazzo sono un racconto che ci insegue. Ma forse siamo noi ad inseguirlo. Lo stemma dei Caracciolo è una discendenza napoletana. Il cancello del Battistero di San Martino porta lo stemma dei Caracciolo. Lo hanno datato intorno al 1773.
Un’onda lunga nella città antica. Qui a Martina Franca l’Adriatico si mischia con il Mediterraneo. L’odore delle campagne, del rupestre, delle grotte con il sapore di una lontananza marina. Egnatia e il mare roccioso e poi si sale verso la provincia di Taranto e gli incontri con i simboli preistorici sono tanti.
La campagna prevale. Adriatici e murgesi i martinesi. Ma Martina è una città turista. Vi si arriva anche per caso. Ma è bello penetrarla. Penetrarla tra le pareti e conoscerla nel di dentro. Ancora di più ci inoltriamo tra viuzze. Le balconate e poi i portoni.
Le colonnate e poi la porta della città. La porta della città che fa da scudo a Palazzo Ducale divide le due storie segnando due identità. Il vento si intrufola negli aliti del tempo.
Civiltà diverse? Solo due modelli di appartenere ad un territorio o due modelli di vivere la storia. Il moderno che diventa contemporaneo e l’antico che diventa passato. Quando il passato resta passato e si trasforma in memoria i segni delle identità si fanno evidenti.
Ci sono vetrine illuminate che hanno riflessi.
I martinesi vivono questo ambiguo senso del tempo. Non giocano mai con il tempo. Ma il tempo insiste e si intreccia tra i ricordi e le passioni. La Basilica di San Martino è un respiro che ci tocca i segni e i simboli. Continuiamo in questo cammino. A passi lenti. Lenti e poi ancora più lenti. Ci fermiamo nel bar della Piazza.
I palazzi conservano la rappresentazione della storia. Ma la storia è nella vita. Il Mediterraneo della Valle dei Trulli che crea legami tra il mondo Occidentale e quello Orientale.
Il tempo dei riti, la cultura pastorale, il cerchio nella caverna sono concezioni di un sistema fatto di segni e di simboli che continuano a vivere nella cultura contemporanea ma vanno compresi, capiti, consolidati nella memoria. In quella memoria che resta e che viene ad essere fortificato nell’immaginario del tempo del viaggio o dell’oltre.