Un tempo soggetto prediletto per le cartoline postali illustrate che i turisti spedivano agli amici dal luogo delle loro vacanze, da secoli segno tangibile del potere temporale esercitato dagli arcivescovi di Taranto sul popolo di Grottaglie, il castello episcopio si affaccia sulla gravina di San Giorgio, nella zona sud-orientale del quartiere in cui hanno sede la maggior parte delle storiche botteghe figuline e fu realizzato per volere dell’arcivescovo Giacomo d’Atri, che esercitò il suo mandato pastorale negli anni che vanno dal 1354 al 1381, quando il 15 luglio fu trucidato da mani ignote per motivi, forse passionali o forse politici, ancora oggi rimasti oscuri.
Grottaglie si fortifica
Per dotarsi di una residenza all’altezza del suo rango, e – probabilmente – per motivi eminentemente pratici, Giacomo d’Atri fortificò la residenza episcopale trasformandola in un imponente castello, che venne affiancato – a scopo difensivo – da una cinta muraria che delimitava il centro abitato ed era dotata di quattro porte, due delle quali ancora oggi visibili.
A differenza di altre costruzioni fortificate, non si tratta di un edificio costruito ex novo – ma quasi certamente – il castello venne realizzato a partire dall’ampliamento di una masseria fortificata, simile a molte altre esistenti in quel periodo nelle campagne pugliesi.
Il castello episcopio si presenta oggi come una costruzione maestosa e imponente, con una superfice complessiva di oltre 6.000 metri quadri e un’altezza massima, riferita alla torre maestra, di oltre 28 metri, ma i numerosi lavori di modifica e adattamento in base al variare delle esigenze degli occupanti rendono molto difficile stabilire con certezza la cronologia delle diverse fasi costruttive.
Non è quindi possibile fissare una data precisa di costruzione – come invece si può fare con la Chiesa matrice grazie ad una iscrizione posta sulla sua facciata, altro edificio la cui costruzione Grottaglie deve allo stesso arcivescovo Giacomo d’Atri – ma ci si deve limitare ad individuare, sulla base delle testimonianze storiche oggi disponibili (purtroppo carenti e spesso contraddittorie) dei momenti in cui individuare un prima e un dopo.
Se da una parte abbiamo uno storico locale come il Pignatelli che indica nella fine del 1200 il periodo in cui Grottaglie venne fortificata, dall’altra abbiamo monsignor Giuseppe Blandamura, che sulla base di testimonianze documentarie indica nel 1388 l’anno di realizzazione della cinta muraria, posticipando quindi la realizzazione della struttura difensiva di quasi due secoli.
Il limite opposto è fissato invece da un altro documento, che ci conferma che nel 1406 il castello di Grottaglie era già stato costruito, poiché risultava occupato da Ottino de Caris, detto il Malacarne. Inoltre, un altro documento, riportato dal già citato Blandamura, evidenzia inoltre che in data 5 marzo 1483 il cardinale arcivescovo Giovanni d’Aragona, al fine di poter effettuare le necessarie riparazioni alle fortificazioni di Grottaglie, proibì che una certa quantità di calce fosse trasportata a Taranto per analoghi lavori.
Come detto, dallo studio dei rilievi appare abbastanza probabile che una prima cinta fortificata, identificabile con quella che chiude il cortile meridionale, a cui era forse aggiunta una seconda torre di cortina – poi andata distrutta – esistesse già nel 1433. Lo fanno ipotizzare alcune tracce di una porta in uno stile che richiama il gotico, presenti nel muro che divide i due cortili; l’esistenza di tale porta potrebbe anche giustificare la localizzazione della torre maestra e tutto il sistema degli accessi ai livelli superiori della stessa, che doveva servire anche per quella parte del primo piano del fabbricato principale, corrispondente alla zona della sala episcopale.
Una prima configurazione del castello all’inizio del 1400 era quindi probabilmente costituita dalla citata cinta muraria, dalla torre maestra interna, dalle sale del primo piano destinate a dimora dell’arcivescovo e da due torri di cortina rispettivamente a sud-est e sud-ovest.
Nella seconda metà del secolo, probabilmente verso il 1483 a cui risalgono i lavori commissionati dal cardinale arcivescovo Giovanni d’Aragona, la prima configurazione subì un ampliamento, con la realizzazione del cortile occidentale e di una ulteriore torre di cortina – oggi distrutta – al tempo posta a difesa della porta di accesso al centro abitato, attualmente trasformata in fornice aperto.
Rimanendo nel campo delle ipotesi sufficientemente plausibili, possiamo affermare che il 14 febbraio 1580, quando monsignor Lelio Brancaccio consacrò la chiesa madre, anche il castello fosse stato già realizzato nelle sue parti principali, seppure ancora abbastanza limitato nel suo sviluppo.
Altri lavori di ampliamento e modifiche ai locali furono eseguiti tra il 1613 ed il 1617 dal cardinale Bonifazio Caetani, che – anche a causa delle diminuite esigenze difensive – accentuò il carattere aristocratico della residenza, edificando altre stanze al piano nobile e – soprattutto – realizzando il grande giardino esterno, che venne dotato di recinzione e ingresso monumentale. E’ in questo periodo che – probabilmente – viene realizzato il portale d’ingresso al castello che ammiriamo ancora oggi. Localizzato sul lato ovest, è composto da due pilastri in bugnato terminanti con dei semicapitelli su cui si imposta un arco a tutto sesto, anch’esso in bugnato.
Al piano superiore – il cosiddetto piano nobile – fu realizzato un complesso di ben 11 stanze allineate longitudinalmente, tra le quali spicca un grande salone centrale (la cosiddetta “galleria”). Alle stanze, molto ampie e maestose, corrispondono in facciata altrettante finestre riquadrate da un cordone, coronate da fregi con decorazione a volute; la teoria di finestre al piano elevato ed il portale bugnato della stessa fase che monumentalizza l’ingresso, ridefiniscono la facciata del castello secondo lo stile barocco tipico dei palazzi nobili del XVII secolo.
Ancora altri lavori furono commissionati nel 1649 da monsignor Tommaso Caracciolo ed il castello si ingrandisce aumentando la sua ricettività senza alterare l’impianto generale e difensivo del complesso; si procede nel miglioramento degli ambienti esistenti e nella realizzazione di alcune nuove strutture, quali il loggiato interno dell’episcopio, collegato all’atrio da uno scalone oggi non più esistente, che terminava con una loggia voltata a crociera, un tempo affrescata, che si estendeva per l’intera lunghezza dell’edificio, fungendo da diaframma tra il cortile ed il piano nobile. Venne realizzata anche una cappella di piccole dimensioni, evidentemente per uso privato, con un altare in pietra dipinto e pareti e volta decorate con affreschi in stile barocco.
Vengono inoltre realizzati alcuni locali di disimpegno per le stanze esistenti e nuovi ambienti destinati a funzioni di servizio ed a foresteria, oltre che alloggi per il personale. Dalle testimonianze documentali risulta che buona parte di questi ambienti si aprivano su una veranda prospiciente il grande cortile e quindi dovevano essere localizzati lungo il corpo di fabbrica che delimitava il giardino ad ovest.
Nel 1753 sulle volte delle stanze e della galleria del piano nobile furono fatti eseguire degli affreschi dall’arcivescovo Antonio Sersale, con l’obbiettivo di rendere sempre più marcato l’aspetto aristocratico del palazzo, con l’inserimento di stemmi nobiliari e personaggi illustri. Il successore di Sensale, l’arcivescovo Giuseppe Capocelatro, trasformò la galleria in una cappella coperta da un soffitto a cassettoni con lo stemma della famiglia Morrone, dalla quale egli stesso discendeva.
Nel ‘900 vengono poi eseguiti ulteriori lavori, che condurranno alla configurazione attuale: viene riempito ed innalzato il cortile nord-occidentale e realizzata la intercapedine necessaria a dare luce ai locali interni già presenti al piano terra. Si procede inoltre alla costruzione di altri corpi di fabbrica aggiunti al piano terra e al primo piano, nonché ai lavori di adattamento e modifica delle sale interne, per adeguarle alle nuove destinazioni d’uso. In particolare, le vecchie stalle, ubicate nel fabbricato sud-orientale, ospitano oggi le sale del Museo della Ceramica.
Ampio e imponente
L’aspetto che oggi ha il castello episcopio è quindi il frutto di secoli di modifiche e adattamenti; d’altronde passare da masseria a fortezza militare, da residenza nobiliare a museo e spazio espositivo – solo per citare alcune delle destinazioni d’uso che lo hanno caratterizzato negli anni – non è certo un gioco da ragazzi.
Visto dall’alto, il castello presenta una pianta trapezoidale che si sviluppa in senso NW/SE, con base ed ingresso sul lato occidentale. Il fabbricato principale è sul lato di sud-ovest del perimetro con una cinta muraria sugli altri lati, ci sono poi due cortili e una grande torre maestra che li divide, con una ulteriore torre di cortina a base pentagonale che si affaccia sul quartiere delle ceramiche, costruita nel punto di unione tra mura e fabbricato principale.
Il corpo di fabbrica principale costituiva la effettiva residenza episcopale e si sviluppa su due piani con un parziale terzo livello; la torre interna invece presenta quattro piani oltre il lastrico, tutti indipendenti tra loro e un tempo collegati con l’esterno mediante un sistema di scale esterne, attualmente distrutto.
Il settore a nordovest è quello più recente, edificato solo sul lato ovest ed occupato per la maggior parte della sua estensione da un vasto cortile-giardino interno collegato tramite scalinate al corpo di fabbrica, fatto realizzare nel XVII secolo dal cardinale Bonifacio Caetani e delimitato da mura realizzate in età contemporanea, in cui sino a pochi anni fa venivano esposte le opere in ceramica partecipanti alla mostra-concorso estiva.
La torre maestra ha una pianta rettangolare, è localizzata sul versante settentrionale delle mura del castello ed è parte integrante delle fortificazioni edificate nel XIV secolo. Con la suoi 28 metri coronati da 20 merli sulla parte superiore si tratta della parte più alta del complesso edilizio e si alza per tre piani, con quello inferiore che è il più alto. Il lato ovest, rivolto verso l’ingresso del castello, presenta quattro aperture irregolari, di cui una presenta ancora l’originaria forma di feritoia. Il lato sud, che si affaccia sul cortile interno, era originariamente provvisto di tre caditoie, funzionali alla difesa piombante, attuata facendo cadere sul nemico assediante frecce, liquidi infiammabili o bollenti, materiali solidi, come laterizi o pietre; di tali apprestamenti ne rimane integro solo uno, mentre degli altri, danneggiati in epoca non precisata, rimangono resti delle mensole. Un’altra caditoia è presente sul lato est mentre sul lato nord si apre una finestra.
Una nota a parte merita il giardino intitolato all’arcivescovo Giacomo D’Atri, a cui – come detto – si deve l’edificazione del nucleo originario del castello di Grottaglie, che è localizzato nelle adiacenze del lato occidentale del castello stesso e si estende per circa 1000 mq, su un unico livello pianeggiante.
L’accesso al giardino avviene dalla corte interna al Castello, in prossimità della Torre Maestra, e in un documento della curia episcopale del 1711 ne cita l’esistenza, distinguendolo da quello che occupava il settore nord-occidentale del castello e specificava che era cinto da mura; un documento risalente al XIX° secolo lo elenca tra i beni che venivano concessi in fitto dall’episcopio tarantino.
Come detto, il giardino assunse la sua forma definitiva nel XVII° secolo, durante la trasformazione del castello da struttura militare a una residenza aristocratica, voluta dal cardinale Bonifacio Caetani. Il giardino è circondato da una recinzione con un portale d’accesso decorato da due volute contrapposte ed è attraversato da due viali ortogonali scanditi da una sequenza di semicolonne su pilastri che reggono un pergolato.
Il giardino è sopraelevato rispetto al piano stradale e presenta forma geometrica piuttosto regolare. Al centro dello spazio – pavimentato in cemento – è collocata un’ampia aiuola triangolare, piantumata con alberi ad alto fusto. Lungo parte dei muri perimetrali corrono aiuole sopraelevate, delimitate da un parapetto in pietra. Completano il giardino diverse fioriere ed alcune strutture che negli anni passati supportavano le teche espositive delle opere presentate in concorso nella Mostra della Ceramica mediterranea che si svolge in estate.
A causa della sua particolare collocazione, il giardino presenta diverse scalinate. Una prima scalinata in pietra, che parte dalla corte interna del Castello, consente l’accesso al giardino ed è protetta da un parapetto in tufo di recente costruzione. Una seconda scalinata in pietra consente l’accesso dal giardino ai vani superiori del Castello, mentre una terza scalinata, nascosta alla vista da un parapetto in muratura, scende fino ad un vicolo del Quartiere delle ceramiche; l’accesso, normalmente chiuso da un cancello, veniva utilizzato solo in occasione delle manifestazioni culturali estive.
Una ulteriore scaletta scende fino ad un camminamento inferiore lungo il muro meridionale del Castello, che segna su quel versante il confine del giardino. Un’ultima scaletta, costruita alla fine degli anni ’90, scende fino ad un camminamento, nell’angolo sud-est del giardino, dove è collocato un vano chiuso con indicazione dell’uscita di emergenza. In omaggio alla sua natura ricreativa, il giardino ospitava numerose le specie arboree, tra le quali limone, abete, palma, arancio, canfora; oltre che arbusti come oleandro, bosso, fico d’India, cactus. Non mancavano diverse piante rampicanti, tra cui bouganvillee e una maestosa edera, che ricopre gran parte della facciata della Torre Maestra prospiciente il giardino.