In diverse occasioni abbiamo ricordato quanto i rapporti tra gli Arcivescovi di Taranto ed i baroni di Grottaglie siano stati – nel corso dei secoli – caratterizzati da liti e contrasti. Tra questi i Cicinelli.
Le motivazioni, manco a dirlo, hanno assai poco a che fare con principi ideali ed il miglior governo della popolazione, essendo piuttosto da ricondurre a motivi economici ed esercizio del potere.
Ovviamente, nel lungo arco di tempo che va dall’instaurarsi di questo doppio governo sino alla abolizione del feudalesimo si sono succeduti molti personaggi, alcuni caratterizzati da comportamenti deplorevoli ed altri dall’operato – se non esemplare – almeno adeguato al compito svolto.
Cicinelli a Grottaglie. Una rivalità che viene da lontano
Abbiamo ricordato, parlando del potere degli arcivescovi, l’operato di alcuni di loro; Giacomo d’Atri, a cui va il merito della edificazione della chiesa madre e del castello; i suoi successori Bonifazio Caetani e Tommaso Caracciolo, che quel castello ingrandirono e fecero più bello; monsignor Brancaccio e monsignor Blandamura, ciascuno dei quali – a suo modo – ci ha trasmesso preziose testimonianze, solo per citarne alcuni
Anche dei baroni laici si conserva memoria, quasi sempre negativa; di molti stranieri si deplora il disinteresse che ebbero per un territorio a loro distante e sconosciuto, oggetto di mercimonio e di scambio e vista soprattutto come un insieme di popolazioni da sfruttare e attività lavorative da tassare.
Baroni laici ed arcivescovi furono così determinati nell’approfittare di tutte le possibili fonti di prelievo (fiscale e non) che molta della popolazione di Grottaglie preferì emigrare verso terre più benevole, lasciando a chi restava la scelta di subire le angherie o cercare vie di fuga più o meno lecite, come ad esempio abbracciare la via religiosa o darsi al brigantaggio.
Di molti dei baroni laici – come il Malacarne – storia ufficiale e memoria popolare raccontano un governo rapace e oppressivo ma una famiglia su molte ha lasciato il segno nella memoria collettiva, ed è a questa che è giusto dedicare qualche riga.
I Cicinelli a Grottaglie, da Napoli alla Puglia
La famiglia Cicinelli è quella che forse, più di tutte, è oggi ricordata a Grottaglie, in racconti in cui realtà e leggenda si intrecciano in maniera così stretta da rendere difficile distinguere la vox populi dalla damnatio memoriae.
Secoli di presenza meritano, come in effetti hanno avuto, una trattazione attenta e documentata, ma è comunque interessante ripercorrere – almeno per sommi capi – il loro governo nella terra grottagliese, anche per comprendere se le malefatte che gli si attribuiscono hanno un reale fondamento storico.
La famiglia Cicinelli era originaria di Napoli, apparteneva alla nobiltà partenopea essendo ascritta al Seggio di Montagna ed ebbe esponenti che spiccarono sia nelle armi che nelle lettere a partire dal XIV° secolo, quando Coriolano Cicinello ebbe l’incarico di Maestro Razionale della Corte Reale Angioina.
Le cronache ricordano ancora Camillo, detto il Grande, valorosissimo guerriero, che fu Prefetto dei cavalli della Serenessima Repubblica di Venezia e Giacomo, fratello di Camillo, dottore in legge, che fu Consigliere di re Carlo III di Durazzo; ancora, Attanasio Cicinello, ebbe da re Carlo II d’Angiò il cingolo militare mentre Giovanni Cicinello fu saggio consigliere della regina Giovanna II di Durazzo, e sostituì il Gran Siniscalco Sergianni Caracciolo al governo del Regno, incarico che esercitò con lealtà, giustizia e generosità, tanto da essere stimato e amato dal popolo. Antonio, fedelissimo agli aragonesi e uomo d’arme, fu inviato da re Ferrante I d’Aragona nella città di L’Aquila per sedare la rivolta dei baroni, morendo eroicamente nel compimento della missione affidatagli.
Terminiamo qui l’elenco, per mancanza di tempo e di spazio e non certo per carenza di personaggi da citare, e giungiamo alle vicende grottagliesi, quando Giovanni Battista acquista nel 1641 il feudo dì Cursi, piccolo paese del Salento, e dopo dieci anni viene insignito del titolo di principe di Cursi, trasmissibile ai suoi legittimi discendenti.
Fu di fatto il primo feudatario che iniziò a risiedere in Grottaglie, dopo aver apportato alcune migliorie al palazzo baronale e documenti e testimonianze storiche ci raccontano di un Principe di Cursi, che si dimostrò valente tanto nelle armi che nelle lettere; si impegnò per contrastare le scorrerie dei pirati turchi che funestavano le coste salentine, fu prodigo nelle arti contribuendo come “generoso mecenate del Santuario di Maria SS.ma dell’Abbondanza e del grandioso altare del convento degli Agostiniani di Cursi”, produsse interessanti opere letterarie come il volume intitolato “Censura del poetar moderno”, che riscosse il vivo apprezzamento degli intellettuali dell’epoca.
Insomma, Giovanni Battista aveva meriti numerosi ed acclarati, tanto che re Filippo IV, con suo privilegio del 27 luglio 1665 gli concesse il titolo di duca di Grottaglie per sé, suoi eredi e legittimi discendenti.
I Cicinelli a Grottaglie. Luci ed ombre della storia
A questo punto, come si suole dire, la domanda sorge spontanea: come e perché un così valente uomo d’arme e di lettere, giunto a Grottaglie si diede ad opprimere la popolazione con angherie e vessazioni? Fu davvero un così cattivo amministratore o la sua figura fu messa in cattiva luce da chi aveva interesse a screditarne l’operato? La verità probabilmente sta nel mezzo; sicuramente non tutti gli eredi furono all’altezza del capo famiglia, altrettanto certamente il fatto di risiedere stabilmente a Grottaglie, interessandosi in prima persona della amministrazione di terre e masserie, mise in crisi un sistema di clientele e interessi che aveva prosperato sino ad allora.
Due poteri come quello baronale laico e quello arcivescovile erano destinati a scontrarsi, e così infatti avvenne; negli anni che seguirono molte furono le cause legali e gli scontri anche violenti tra le due parti, che video il loro momento forse più violento nella rivolta che infiammò Grottaglie nel 1734.
Studi e documenti lasciano spazio alla ipotesi che a fomentare il popolo grottagliese aizzandolo alla rivolta contro il barone laico abbiano contribuito gli arcivescovi di Taranto, proseguendo in un una lotta di potere portata avanti senza esclusione di colpi per anni, se è vero come è vero che già nel 1561, il cardinale Marcantonio Colonna, arcivescovo di Taranto, mosse causa contro il barone di Montemesola adducendo che i territori di quel feudo sconfinavano in quello di Grottaglie di cui l’arcivescovo si dichiarava signore e padrone.
Una beautiful in salsa grottagliese
Lasciamo da parte rivolte violente e scaramucce legali e giungiamo al momento in cui Giovanni Andrea Cicinelli, nato il 2 gennaio 1699 e sposato il 4 gennaio 1723 con Ippolita Piccolomini, muore il 26 settembre 1730, lasciando come erede di tutti i suoi beni feudali, titoli ed altre proprietà, l’unica sua figlia Giulia Maria, nata il 17 settembre 1724 e quindi di soli sei anni di età.
A lei si affianca come tutore suo zio paterno Giovanni Battista Cicinelli, che si dimostra uomo astuto e di pochi scrupoli, appropriandosi di fatto dei beni della nipote ed assumendo il titolo di principe di Cursi e duca di Grottaglie.
Divenuta maggiorenne e resasi consapevole dei suoi diritti, Giulia Cicinelli si rivolse al re per chiedere di tornare in pieno possesso dei suoi beni, cosa che accadde nel 1744, quando Giovanni Battista Cicinelli restituisce a Giulia Maria tutti i beni che le appartenevano, compresa la successione dei titoli di principe e di duca.
Subito dopo, il 17 febbraio 1744, Giulia Maria, divenuta principessa di Cursi e duchessa di Grottaglie, sposa il marchese di Sanfiore Giacomo Caracciolo, figlio di Francesco II duca di Martina e di Eleonora Gaetani; la coppia prende dimora nel palazzo di famiglia a Grottaglie, e Giacomo acquisisce per nomina maritale i titoli ereditati dalla moglie, adottando quindi il doppio cognome Caracciolo Cicinelli.
La lotta continua
La duchessa Giulia Cicinelli aveva risolto i suoi problemi con il suo zio Giovanni Battista ma non aveva fatto i conti con monsignor Giovanni Rossi, il quale, nominato arcivescovo di Taranto nel 1738 e messo al corrente delle controversie esistenti con i Cicinelli per il feudo di Grottaglie, pensò bene di continuare a rivendicare i diritti vantati.
Vi furono ancora altre cause e petizioni, si interessarono tribunali e perfino la casa reale, con il costante risultato di confermare il diritto dei baroni laici al governo ed al possesso delle terre nelle loro disponibilità.
Non sappiamo se per innata bontà d’animo o per intelligente calcolo diplomatico, la duchessa Giulia Cicinelli, prima di prendere possesso della sua residenza grottagliese, volle fare in modo di riacquistare anche la benevolenza popolare, e tanto fece che vi riuscì, ristabilendo una pacifica convivenza e buoni rapporti con la cittadinanza.
Non si diede invece pace monsignor Giovanni Rossi, che il 6 maggio 1745, definendosi “Utile Signore ovvero barone della Terra delle Grottaglie”, inviò da Napoli un suo editto da pubblicare a Grottaglie in occasione della nascita della figlia della duchessa Giulia Cicinelli, col quale si invitava la popolazione a festeggiare il lieto evento.
Quello che ad occhi ingenui poteva sembrare un segno di riappacificazione ad altri più scaltri apparve come un modo per cercare di affermare un potere ed una proprietà più volte negata, poiché l’arcivescovo Rossi nell’editto si definiva possessore del feudo e riteneva i grottagliesi suoi vassalli.
La mossa ai limiti dell’oltraggio provocò la reazione della duchessa Cicinelli, alla quale pare si unirono anche le protese delle autorità e del popolo di Grottaglie. Seguirono ancora proteste formali, carte e pergamene che volevano ribadire che l’arcivescovo di Taranto non era autorizzato a prendere simili iniziative, non avendo egli autorità sul popolo grottagliese, al contrario della duchessa Cicinelli che invece possedeva il feudo con tutte le annesse prerogative e diritti, compreso il ducato di Grottaglie.
Non fu sufficiente, e il 2 giugno del 1745 ancora l’arcivescovo di Taranto emanò un editto, sempre relativo a dei festeggiamenti da organizzare – in questo caso in occasione dell’ingresso della duchessa e della sua famiglia nella residenza grottagliese – qualificandosi come “utile Signore e vero Barone della Terra delle Grottaglie” provocando altre proteste e beghe legali.
Altro motivo di dissidio fu la campana che dal palazzo dei Cicinelli-Caracciolo veniva fatta suonare prima di recarsi a pranzo, a cena ed in altre occasioni di ricevimenti di personalità realizzando – secondo un esponente dell’arcivescovado ionico – un uso improprio del segno di una alta distinzione nobiliare che i baroni di Grottaglie non possedevano, esercitando solo la giurisdizionale criminale. Anche a questa contestazione seguirono cause legali e aspri confronti, che videro la questione trascinarsi per decenni.
E se il suono di una campana può sembrare questione di capzioso diritto, non mancarono argomenti ben più gravi al contendere tra i baroni laici e l’arcivescovo di turno, come avvenne – ad esempio – in occasione dello scoppio di un incendio di dubbia origine, avvenuto a Montemesola sempre nel 1745, che danneggiò parte della foresta di proprietà della Mensa arcivescovile tenuta in fitto dalla duchessa Giulia Cicinelli.
L’evento suscitò le proteste dell’economo dell’arcivescovado, che lamentava la insufficiente manutenzione del patrimonio boschivo (nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe commentare andando con la memoria al più recente rogo che ha deturpato la pineta in contrada Frantella) e la scarsa tempestività nell’estinzione dell’incendio. Anche in questa occasione si coinvolsero uffici giuridici napoletani e finanche la segreteria reale, ma sempre con esito negativo per le pretese del prelato di turno.
I contrasti continuarono, passando da motivi gravi ad altri più futili, come avvenne nel 1748, quando l’arcivescovo di Taranto (sempre il solito monsignor Rossi…) venne in visita pastorale a Grottaglie e, per la prima volta dopo duecento anni, non venne accolto dal sindaco che gli consegnava le chiavi della città in un catino d’argento, come simbolo del potere temporale sulla città. Anche stavolta si innescò una serie di diatribe condite da diffide e ricorsi che giunsero sino al Papa, avendo lo stesso arcivescovo l’anno dopo scritto al pontefice per lamentarsi dell’operato di alcuni sbirri del principe che avevano ripetutamente violato l’immunità ecclesiastica, finanche maltrattando alcuni preti “per puro dispetto e contumelia”, con tanto di scomunica dei colpevoli.
La fine di una casata
Come in tutte le vicende umane, si giunse infine se non ad una pace definitiva, almeno ad una tregua tra le parti e la vita continuò a scorrere più o meno tranquilla. Monsignor Capecelatro nel 1781 concesse ai Cicinelli – Caracciolo in fitto perpetuo il territorio della foresta, cedendo anche tutti i diritti feudali e si arriva così al 1785, quando la duchessa Giulia Cicinelli-Caracciolo, per le sue precarie condizioni di salute, cede patrimonio e titoli al suo figlio primogenito Giovanni Andrea, che già era amministratore di fatto dei beni di famiglia.
La duchessa Giulia Caracciolo-Cicinelli morirà il 16 dicembre 1790 all’età di 66 anni, e con lei si estingue una delle più nobili ed illustri famiglie napoletane, il cui nome venne progressivamente a perdersi nel lignaggio degli eredi. Dei Cicinelli a Grottaglie rimane poco: un grande palazzo vicino alla chiesa madre, oramai quasi del tutto abbandonato ma che ancora custodisce tracce di una grandezza passata, qualche stemma e lastre tombali nelle chiesa del Carmine ed in quella di San Francesco di Paola, ed infine una nomea che, come abbiamo visto, forse non corrisponde a reali fatti storici.
Giovanni Andrea Caracciolo-Cicinelli, figlio della duchessa Giulia verrà a mancare il 9 luglio 1800 ed il patrimonio di famiglia passerà a suo figlio minore Gennaro ed a questi succederà Giuseppe Caracciolo-Cicinelli, che nominerà suo erede il nipote Lorenzo d’Ardia, che assumerà così il titolo di decimo principe di Cursi e decimo duca di Grottaglie con Regio Decreto del 30 novembre 1899.
Il titolo nobiliare passa quindi nella famiglia D’Ardia ed oggi è appannaggio di Don Gaetano, quattordicesimo principe di Cursi e duca di Grottaglie; titoli praticamente solo onorifici, stante l’abolizione della feudalità avvenuta con legge napoleonica del 1806, ma di questo importante evento parleremo in altra occasione.