Nelle tormentate vicende storiche che hanno puntellato l’età medievale di Grottaglie, spicca tra tante la figura dell’arcivescovo Giacomo d’Atri, di cui si ricorda non solo l’opera pastorale ma anche – se non soprattutto – il merito della costruzione di due monumenti come il Castello e la Collegiata, che ancora oggi sono tra quelli che maggiormente caratterizzano il territorio grottagliese.
Decisioni politiche e vicende storiche hanno per secoli intrecciato la storia di Grottaglie con la guida religiosa (e non solo…) degli arcivescovi della Curia tarantina, che trovarono nella cittadina un comodo albergo contro le temperature bollenti – non solo in senso meteorologico – del capoluogo ionico.
Giacomo d’Atri, un personaggio complesso
L’arcivescovo Giacomo, nativo di Atri, guidò la curia tarantina negli anni che vanno dal 1354 al 1381. Furono anni difficili per le vicende storiche che segnarono il territorio e lo furono altrettanto per il presule che – amareggiato dai dissapori che lo vedevano in contrasto con il Capitolo della cattedrale di Taranto – si concedette lunghi soggiorni in Grottaglie, in una residenza che la Curia tarantina aveva costruito per offrire alla propria guida un luogo di riposo e vacanza, stabilito in un territorio dal clima più ospitale di quello caldo e umido di Taranto.
Ad aumentare crucci e pericoli, e forse – come vedremo – a segnare la sua tragica fine, Giacomo d’Atri, negli anni tumultuosi del suo governo episcopale, si era mantenuto fedele al giuramento di obbedienza nei confronti del papa Urbano VI° ed era quindi diventato inviso ad una parte della popolazione che era invece a favore della regina Giovanna d’Angiò e dell’antipapa Clemente VII° da lei riconosciuto, con una decisione che contribuì allo scisma d’Occidente.
Giacomo D’Atri a Grottaglie, Castello e Collegiata
Sia per dotarsi di una residenza all’altezza del suo rango, sia – probabilmente – per motivi eminentemente pratici, Giacomo d’Atri fortificò la residenza episcopale trasformandola in un imponente castello, che venne affiancato – a scopo difensivo – da una cinta muraria che delimitava il centro abitato ed era dotata di quattro porte, due delle quali ancora oggi visibili.
Il castello si affaccia sulla gravina di San Giorgio, nella zona che oggi ospita il quartiere in cui hanno sede la maggior parte delle storiche botteghe figuline di Grottaglie e doveva essere in origine una sorta di masseria fortificata, al pari di molte altre della Puglia del XIII° secolo, ma numerosi e successivi ampliamenti e modifiche rendono di fatto impossibile stabilire con certezza come e quando si siano succedute le varie fasi costruttive, che lo hanno portato ad avere una estensione di circa 6150 metri quadri ed una altezza massima, nella torre maestra, di oltre 28 metri.
Testimonianze e documenti sono carenti e non di rado contraddittori; uno storico locale come il Pignatelli afferma che Grottaglie fu fortificata verso la fine del 1200 mentre il Blandamura le posticipa di quasi secoli e riporta un documento che indica nel 1388 l’anno di realizzazione della cinta muraria.
D’altro canto, da un altro documento si sa che nel 1406 il castello di Grottaglie era già stato costruito poiché risulta occupato da Ottino Malacarne de Cayra di Pavia. Un altro documento, riportato dal già citato Blandamura, evidenzia inoltre che in data 5 marzo 1483 il cardinale arcivescovo Giovanni d’Aragona, al fine di poter effettuare le necessarie riparazioni alle fortificazioni di Grottaglie, proibì che una certa quantità di calce fosse trasportata a Taranto per analoghi lavori.
Altra opera che dobbiamo a Giacomo d’Atri è la Chiesa matrice, conosciuta anche come insigne Collegiata intitolata a Maria SS. Annunziata, che fu consacrata il 14 febbraio 1580 da mons. Lelio Brancaccio.
Come per il castello, anche questo edificio ha subito nel tempo notevoli adattamenti, anche se esternamente si presenta ancora nella forma originaria, risalente al 1372, come recita l’iscrizione posta sulla facciata che ne eterna l’autore – il Maestro Domenico de Martina – e il committente, ovvero Giacomo, arcivescovo di Taranto.
Una tragica fine
Ripensando alla tragica fine di Giacomo d’Atri potrebbe sorgere più di un’amara considerazione; alla luce delle opere che fece costruire e della importanza che attribuì a Grottaglie ci si potrebbero aspettare lodi e benemerenze, una statua che ne eterni il ricordo o quantomeno una via a lui dedicata nel centro cittadino. Nulla di tutto ciò; forse per la debolezza delle passioni umane, forse perché le sue idee entrarono in contrasto una volta di più con quelle di avversari determinati a far tacere la sua voce per sempre, Giacomo d’Atri fu trucidato la notte del 15 luglio 1381.
Sul colpevole del delitto e sulle modalità dell’assassinio vi sono due versioni discordanti, che poco confermano e molto suggeriscono di quei tempi. Piero Massafra afferma che il delitto aveva motivazioni politiche; esponenti rimasti ignoti della fazione cittadina favorevole alla Regina Giovanna d’Angiò e quindi avversa alla curia arcivescovile armarono la mano di alcuni sicari che trucidarono il prelato usando dei forconi.
Il Caraglio racconta invece che a causare la morte dell’arcivescovo fu una passione carnale, la stessa che portò al delitto un altro religioso, quel Ciro Annicchiarico che divenne poi brigante con il nome di “Papa Giro”.
Ironia della sorte, anche qui la mano assassina è quella di un Annicchiarico, un tale Biagio Annicchiarico, che massacrò il prelato usando una zappa per averlo sorpreso di notte in intimo colloquio con la moglie. Se questa sia la verità o una diceria propalata da una “macchina del fango” ante litteram non lo sapremo mai; curiosità desta anche il soprannome dell’assassino spinto dall’onore ferito, nominato “lu stuerto” non sappiamo se per una acclarata zoppia fisica o per un animo torto che lombrosianamente lo predisponeva al delitto.
Quel che sappiamo per certo è che i grottagliesi, per espiare l’onta di un tale nefando delitto, vennero condannati dal Papa a celebrare per diversi anni, nei giorni dell’Avvento, una messa in suffragio dell’illustre vittima.