In queste ore le bacheche grottagliesi dei social network sono bollenti. Bollenti come l’asfalto sotto il sole di ferragosto o – piuttosto – come il manto bituminoso appena posato su alcune strade adiacenti la zona della chiesa della Madonna del Lume, nel centro storico di Grottaglie.
Che quelle strade avessero un fondo disastrato che consigliava un intervento a tutela degli utenti era sotto gli occhi di tutti; che si potesse scegliere una soluzione più aderente alla tradizione e meno cromaticamente invasiva è opinione largamente – anche se non unanimemente condivisa; che le “chianche” non siano la panacea universale è considerazione altrettanto diffusa (provate a camminarci sopra mentre priove e sperimenterete l’emozione di pattinare sul ghiaccio). Come sempre accade in questi casi, i toni si scaldano, la discussione si infiamma e dal singolo problema si passa ad affrontare l’intero scibile dell’universo mondo. Accuse? Tantissime. Critiche distruttive? A bizzeffe. Proposte costruttive? Poche, molto poche in verità.
Verrebbe da chiedersi dove emigrino i tanti “social indignados” quando ci sono le elezioni amministrative, punge vaghezza di interrogarsi a quali altri importanti impegni attendano i contestatori duri e puri dell’altrui operato quando una volta al mese si tiene il consiglio comunale. In verità al sottoscritto non è quasi mai capitato di dover rimanere in piedi nell’aula consiliare sovraffollata di cittadini curiosi ed attenti, così come raramente mi è accaduto – sarò sfortunato, temo – di aver assistito a contraddittori tra amministratori e portatori di interessi comuni che non fossero basati sulla richiesta – umanamente comprensibile ma altrettanto umanamente egoistica – di soluzione di un problema personale: il lampione davanti casa che non si accende o la buca della strada da colmare, tanto per citare degli evergreen che qualche decennio fa portarono Giancarlo Cito a diventare primo cittadino di Taranto.
Se i tantissimi difensori a spada tratta del centro storico di cui ho letto i commenti sui social network rappresentano un campione significativo della cittadinanza grottagliese, non posso che concludere che chi lascia per terra gli escrementi del proprio cane, chi parcheggia in doppia fila su via delle torri, chi intasa piazza regina Margherita per non fare due passi di troppo, chi dissemina vie e piazze di bottiglie vuote e contenitori per alimenti, chi abbandona di tutto fuori dai cassonetti per rifiuti, chi deturpa le campagne limitrofe con oli esausti, pneumatici, batterie e interi arredamenti di cucine e salotti non sia grottagliese. Perché delle due l’una: o in troppi predicano bene e razzolano male, al limite di una dissociazione schizofrenica, oppure davvero il cittadino grottagliese è più educato di uno svizzero ed a sporcare la città sono invidiosi residenti altrove. Tertium non datur.
Per uno strano caso del destino, oggi su “Repubblica” è pubblicata uns toria a fumetti di Zerocalcare dedicata al degrado urbano, ma soprattutto ai toni con cui alcuni lo denunciano, e – soprattutto – al modo in cui costoro vorrebbero risolvere il problema. Si tratta – è bene precisarlo – di due questioni diverse, ma neppure troppo distanti tra loro, se è vero che il disegnatore romano illustra il tema scelto spiegando che “parla di tutto questo risveglio apparente di senso civico riguardo a questioni che attanagliano le grandi città relative al degrado, al decoro a volte possa generare mostri.”
Fatte salve le eventuali responsabilità di chi è stato eletto e pagato per amministrare la cosa pubblica, è sempre utile ricordare che se nella antica democrazia ateniese si poteva cacciare qualcuno dalla città scrivendone il nome su un coccio di terracotta, oggi – purtroppo o per fortuna – non si può fare lo stesso con un click da tastiera. “Res publica” significa “cosa di tutti”, di tutti, nessuno escluso. E con buona pace dei paladini dell’Internet power e delle assemblee via web, per cambiare le cose possiamo e dobbiamo impegnarci in prima persona, certamente parlando per evidenziare i problemi, ma altrettanto facendo per risolverli, altrimenti non saremo altro che la versione 2.0 del cliché dell’ultras panciuto che passa dal divano di casa al tavolino del bar, dove agli amici – il lunedì mattina – spiega con dovizia di particolari tutti gli errori compiuti dall’allenatore della squadra di calcio per cui tifa. Una analisi acuta e puntuale, magari; ma senza nessuna possibilità di essere poi praticamente applicata nella realtà.