Alle porte di Grottaglie, a pochissima distanza dal centro abitato, si apre uno scenario incantato in cui Storia e Natura si incontrano in uno scenario affascinante.
La gravina di San Biagio è situata sul versante orientale della città e può essere raggiunta attraverso una stradina che parte da via Don Luigi Sturzo, incontrando cespugli, rovi, alberi di olivo, sassi levigati dal tempo e lavorati dall’uomo e tracce scavate dall’incessante lavoro delle acque che attraversavano la zona alle spalle della piscina comunale.
Le tracce dell’uomo, tra ingegno e incuria
Come nelle altre gravine di Grottaglie, anche in quella di San Biagio sono evidenti le tracce dell’opera dell’uomo, in questo caso in maniera imponente: un viadotto ferroviario ed un cavalcavia stradale passano sopra i solchi e le grotte, e sono un utile traguardo per il turista o l’appassionato straniero che abbia bisogno di punti di riferimento visibili.
Ad uno degli imbocchi della gravina ci porta anche una brevissima deviazione dalla strada provinciale che unisce Grottaglie a San Marzano, con uno slargo che permette anche la sosta di qualche autovettura.
Ancora, la presenza dell’uomo è testimoniata da altre tracce un po’ meno visibili: una piccola chiesetta dedicata appunto a San Biagio, una costruzione oramai semi diroccata adibita alle lavorazioni agricole e le opere di scavo e livellamento compiute per rendere più confortevole l’utilizzo delle grotte.
Purtroppo le tracce dell’uomo non finiscono qui, perché troppo stesso la gravina ha dovuto sopportare i frutti dell’opera di stupidi incauti che hanno appiccato incendi che in pochi minuti hanno distrutto ampie parti della vegetazione spontanea e messo a rischio la fauna selvatica esistente. E dove non sono arrivati gli incendi, sin troppo evidenti solo le tracce di rifiuti e immondizia abbandonata da chi scentemente deturpa un luogo che meriterebbe ben altre attenzioni.
Lama o Gravina?
Una particolarità di questo piccolo gioiello è quello di essere indicato spesso con una doppia denominazione: Gravina di San Biagio o Lama di Penzieri. Nessun errore, in effetti in Puglia si definiscono lame i solchi erosivi poco profondi, tipici del paesaggio pugliese che convogliano le acque meteoriche verso il punto di chiusura del bacino idrografico cui appartengono e – come evidente nel nostro caso – sono denominate lame anche i tratti terminali delle gravine, termine che designa invece incisioni profonde con sponde ripide.
Queste particolari formazioni carsiche sono diffuse su tutto il territorio pugliese, in particolare nei territori di Bari e Taranto, con tratti più o meno lunghi e ripidi, spesso caratterizzati dalle tracce di secoli di attività umana.
Come detto, una delle caratteristiche delle lame è quella di presentare dei corsi d’acqua che però – a causa dell’elevata porosità del terreno – comportano una circolazione superficiale di piccola entità e presente solo in corrispondenza di pioggia di sufficiente intensità, mentre sono sostanzialmente asciutte in periodi normali.
Grotte e non solo
Come per altre gravine grottagliesi, anche qui la presenza di grotte testimonia non solo l’azione degli elementi naturali ma anche l’utilizzo abitativo delle stesse da parte dell’uomo, tanto che in questa zona era stabilito l’insediamento rupestre, conosciuto come Casalpiccolo, che fu uno di quelli che diede poi origine al primo nucleo di Grottaglie, come racconta la storia dello stemma cittadino.
In alcune grotte erano presenti anche affascinanti affreschi a tema religioso, purtroppo deturpati anni fa da una improvvida caccia alla “acchiatura”, con l’unico risultato di perdere per sempre un vero e proprio tesoro di arte e di fede.
A compensare i danni dell’uomo di oggi ci sono però ancora le opere dell’uomo di ieri, come nel caso della “Cripta delle Nicchie”, forse dedicata in origine a Sant’Angelo o a San Paolo Eremita. Questa grotta è caratterizzata – come dice il nome – da una decina di piccole cavità di varia forma e dimensione, realizzate lungo il muro perimetrale interno e presenta ancora qualche traccia degli antichi affreschi risalenti probabilmente alla fine del XII-XIII secolo.
Chi voglia scoprire questa oasi di pace e tranquillità immergendosi in una natura accogliente e selvaggia caratterizzata da profumi e rumori che ci cullano benevoli non deve quindi fare altro che percorrere pochi passi e ritrovarsi – quasi d’incanto – in uno dei tanti piccoli grandi gioielli del nostro territorio.