Palazzo Cicinelli
Palazzo Cicinelli
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La famiglia Cicinelli, parte della antica nobiltà napoletana, ha giocato una parte importante nella storia del Salento e di Grottaglie.

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Come ben racconta Giuseppe Vozza nel suo “Feudo e feudatari di Grottaglie” – Fabio Cicinelli fu – tra gli altri titoli – anche feudatario di Giuliano in provincia di Terra d’Otranto e suo figlio Giovan Battista, nato il 9 luglio 1609, acquistò il feudo di Cursi, oggi in provincia di Lecce, nel 1641. Dopo dieci anni, e cioè il primo dicembre 1651, venne insignito del titolo di principe di Cursi, trasmissibile ai suoi legittimi discendenti e nel 1659 acquistò il feudo di Grottaglie.

Una storia lunga secoli

Fu allora il primo feudatario che iniziò a risiedere in Grottaglie, e fu forse questo a procurare i primi attriti con la popolazione, alcuni dicono per la durezza del suo governo, altri, più malignamente, perché risiedendo nelle sue terre ebbe modo di scoprire e censurare comportamenti disonesti di chi aveva sino ad allora approfittato della assenza di coloro a cui avrebbe dovuto rendere conto.

Di questo abbiamo già parlato in un altro episodio del nostro podcast, e non annoiamo i nostri affezionati ascoltatori con inutili ripetizioni. Sia come sia, la storia racconta che questo primo feudatario, mentre risiedeva a Grottaglie pubblicava nel 1672 un libro intitolato “Censura del poetar moderno” che Giuseppe Battista sospettò fosse una critica al suo stile letterario, dando vita ad un ardente scambio epistolare, ma che da altri venne assai lodato. Non bastassero le arti letterarie, anche le armi e la politica videro eccellere Giovan Battista Cicinelli, tanto che per i suoi meriti, il re Filippo IV, con suo privilegio nel 1665, gli concesse il titolo di duca di Grottaglie.

Bastò forse già questo a Carmelo Pignatelli, teologo e studioso di storia locale, per deplorare che quella via del centro storico che prima si chiamava Caracò, per via della scala a chiocciola che portava al palazzo dei nobili feudatari, non si sia intitolata ai Cicinelli, invece che a un De Angelis sconosciuto ai più e successivamente, ricordiamo noi, a Giosuè Carducci.

Testimonianze della storia

Cosa rimane allora a Grottaglie della storia di questa nobile famiglia napoletana? Prima di arrivare alla testimonianza forse più conosciuta e certamente più evidente, ci piace ricordare qualche altro piccolo indizio, che certamente potrà incuriosire chi – per studio o per diletto – si inoltra nei meandri della storia locale.

Anche in questo caso Eros e Thanatos, Amore e Morte, vanno a braccetto e si imprimono a fuoco nella memoria popolare, incuranti del fatto che gli aneddoti si riferiscano a episodi davvero accaduti o solo immaginati da fervide fantasie.

Accade così che, a Grottaglie come a Napoli, ancora oggi in qualche monumentale presepe che riproduce – con abbondante licenza e ammirevole perizia – il panorama della natività di Gesù, accade di notare un ponte su cui transitano una decina di figure scalze e incappucciate, incolonnate in una triste processione.

Si tratta di monaci carmelitani, abbigliati conformemente all’Ordine a cui appartengono, che si vuole scortino nell’Aldilà le anime che vanno a raggiungere il mondo dei morti. Ma alla nostra storia oggi interessa di più un’altra figura, solitamente posta sotto il ponte. Una figura femminile addolorata, con l’abito monacale ed una testa mozzata tra le mani. Non si tratta della Giuditta ebrea che testimonia la decapitazione del condottiero assiro Oloferne, ma della principessa Mafalda Cicinelli, che – come spesso capitava alle figlie di famiglie nobili nel ‘600 – venne avviata alla vita monacale senza avere una reale e sentita vocazione religiosa.

La ragazza si innamorò, ricambiata, di un giovane servitore ed i due, sempre più trasportati dalla passione, intensificarono tanto i loro incontri da destare i sospetti della famiglia di lei. I due amanti solevano incontrarsi presso il ponte della Maddalena, nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio, ed è qui che il principe Cicinelli, padre di Mafalda, sorprese il giovane servitore, trucidandolo e decapitandolo per lavare così l’onta di un rapporto sentimentale inviso dalla famiglia.

Mafalda giunse al ponte poco dopo, vide il cadavere del suo amato orribilmente mutilato e notò lo stemma della sua famiglia sull’arma ancora conficcata nel corpo oramai esanime, comprendendo così il mandante e il motivo dell’omicidio. Non ebbe titubanze e dubbi, estrasse il pugnale e con quella stessa lama si tolse la vita, stringendo a sé la borsa in cui aveva riposto la testa mozzata del suo amante, come ultimo gesto d’amore e protezione.

Lapidi e affreschi

Come detto, non sappiamo quanto ci sia di vero in questa storia che ancora oggi, a distanza di secoli, rivive ad ogni Natale. Altre testimonianze della permanenza dei Cicinelli a Grottaglie sono invece ben suffragate da monumenti.

Tra queste, possiamo citare la cappella gentilizia nella chiesa dei Paolotti e dedicata a San Francesco di Paola, alla cui base è presente la sepoltura di donna Giulia Cicinelli e di suo figlio Giovanni Andrea, datata 1730 e corredata – come era d’uso all’epoca – di iscrizione commemorativa e stemma familiare.

Sempre nel convento dei Paolotti, ma meno evidente rispetto alla lapide citata, troviamo un’altra testimonianza della importanza dei Cicinelli a Grottaglie: in una lunetta presente nel ciclo pittorico che abbellisce il chiostro, affrescata da pittore Bernardino Greco di Copertino nel 1723, è raffigurato lo stemma del principe committente: un cigno argenteo su sfondo rosso, compreso in uno scudo con bordatura dentata d’oro.

I palazzi di famiglia

Ma come ben sappiamo, tranne rare occasioni la testimonianza più evidente e riconoscibile che le famiglie aristocratiche lasciavano ai posteri erano le loro residenze. A Grottaglie ne abbiamo ben due ascrivibili ai Cicinelli, entrambe ubicate nel centro storico.

Il primo palazzo fu la residenza della già citata donna Giulia Cicinelli e risale al XVII secolo. Ubicato in via Vittorio Emanuele II, oggi è di proprietà di una persona diversa dagli eredi Cicinelli Caracciolo.

Ma il palazzo da sempre associato ai nobili napoletani, tanto da essere conosciuto come “Palazzo del principe” senza neppure citare esplicitamente il patronimico è quello che ancora oggi possiamo ammirare in piazza Regina Margherita.

Posto di fianco alla chiesa matrice, quasi a voler simboleggiare lo stretto rapporto, non di rado contrastato, con gli esponenti del clero grottagliese, il palazzo versa oggi in condizioni lontane dagli sfarzi del passato. La facciata che si affaccia sulla piazza è molto semplice, con un portone centrale che con il suo arco superiore giunge sino al primo piano, e due file di finestre superiori.

Risalente anche questo al 1600, il palazzo ospitava nella parte a destra rispetto al portone la famiglia dei proprietari, mentre le stanze a sinistra erano riservate al personale di servizio. Le finestre al primo piano, tre per ciascuno dei lati, si affacciano su due lunghi balconi sostenuti da mensole e corredati da un elegante parapetto in ferro battuto. Al secondo piano invece ogni finestra ha il suo balcone, ed è affiancata da due finte colonne abbellite da un capitello in stile ionico.

Tra le finestre al secondo piano spicca quella centrale sul lato destro, più grande delle altre e corrispondente a quella che un tempo era la stanza da letto del principe, mentre dalla finestra di fianco, soprastante il portone di ingresso, il principe si affacciava nelle occasioni solenni o per arringare la popolazione.

Purtroppo, come dicevamo, dell’antico splendore oggi ben poco rimane. Probabilmente persi per sempre sono gli affreschi che abbellivano le stanze interne, coperti quando a metà del secolo scorso le stanze cominciarono ad ospitare nuovi residenti, diversi dagli eredi della famiglia proprietaria. Altrettanto compromessi sono i dipinti che abbellivano l’ingresso monumentale, a cui si accedeva varcando l’ampio portone.

Le ingiurie del tempo e l’incuria degli uomini oggi hanno di fatto cancellato le due imponenti scene guerresche ed i tre ritratti racchiusi in un tondo che le sovrastavano, che dovrebbero rappresentare (il condizionale è d’obbligo, visto il pessimo stato di conservazione degli affreschi e la conseguente impossibilità di una analisi accurata) il Cantemar Principe Tartaro, il Gran Nogai di Persia e il Re di Feye e di Marocco.

Ci si chiederà che c’entrano con Grottaglie personaggi così esotici, e la risposta è presto detta: si tratta di figure che richiamano ed esaltano una tradizione guerresca e cavalleresca a cui una certa nobiltà si ispirava, ed i Cicinelli – visti anche i trascorsi degli avi più illustri – non erano certamente da meno.

Come detto, anche per il palazzo del principe, come è accaduto per altre storiche residenze, l’originaria nobiltà appare sfiorita e graffiata eppure, ad uno sguardo attento, gli echi del passato appaiono ancora presenti, a raccontare quanta vita è passata in quelle stanze.

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