Le parole di Papa Francesco nel condannare il Genocidio Armeno (nel Centenario della tragedia) hanno una forza e una verità che stropiccia il conformismo storico che ha posto come divisione il mascheramento tra il mondo Ottomano e quello Occidentale. Obama dovrebbe immediatamente schierarsi a fianco del Santo Pontefice, dell’autorità cristiana ad Ankara, ovvero del Nunzio Apostolico, ovvero Ambasciatore della Chiesa ad Ankara, monsignor Antonio Lucibello, mio straordinario docente al Liceo di Spezzano Albanese, e tutta l’Europa, in questa fase dovrebbe prendere una decisa posizione condannando il Genocidio Armeno, il primo nella storia del Ventesimo secolo.
In questo momento storico Papa Francesco deve sentire tutta la solidarietà del mondo Occidentale e di quel mondo che ha visto e vede nel cristianesimo il riferimento non solo religioso ma anche geopolitico in una strategia culturale, etnica e geografica. Credo che siamo giunti ad una chiave di lettura proprio di ordine filosofico e teologico tra Asia, Europa, Occidente, Oriente e Mediterraneo.
Gli Armeni non sono soltanto il portato di una storia o di intrecci di culture. Sono una Tradizione in un Occidente che si è sempre confrontato con le visioni di un Oriente che abbraccia, in una dimensione ontologica, che non è soltanto Mediterraneo. Le parole di Papa Francesco danno la dimensione storica della questione anche dal punto di vista etnico e non solo religioso.
Più volte sono stato in Turchia e soprattutto ad Ankara e più volte con il mio “antico” docente di religione, don Antonio Lucibello, abbiamo discusso di Occidente ed Oriente all’Università di Ankara con l’Istituto Italiano di Cultura e presentammo, con Marilena Cavallo, un nostro libro dedicato al rapporto tra i linguaggi e la piazza.
Don Antonio, ricordò, parlò, con i ragazzi dell’Università, di piazza virtuale mentre io e Marilena discutemmo di letteratura e piazza.
In più occasione ho visitato l’Annunziatura di Ankara che sembra una vera e propria fortezza senza alcuna croce visibile all’esterno. Ankara è anche ciò. La bellezza delle Moschee, dei Mausolei e la completa assenza di Croci.
Il Mediterraneo è in questo intreccio. Il popolo Armeno va tutelato e le parole di Papa Francesco vanno diffuse. Il Genocidio Armeno è stato GENOCIDIO.
Certo, il Mediterraneo ha una sua struttura geografica tra le chiavi di lettura che vivono gli Orienti come scavo di civiltà. L’Asia, in un immaginario, geo-politico, è una “coniugazione” non solo tra storia e assetto territoriale, ma è stata vissuta e viene vissuta come una estensione tra l’eredità di un mondo chiaramente ben delineato anche in termini archeologici e antropologici.
Ma oltre questa chiarificazione la cultura Armena è spiegabile soprattutto in un rapporto tra diaspora e genocidio. Non sarebbe possibile il contrario. E in questo centenario le verità devono essere sottolineate con la forza alla quale ci ha invitato Papa Francesco.
Credo che sia culturalmente incomprensibile penetrare l’anima armena senza ricordare il genocidio e senza avere la consapevolezza di un genocidio che ha segnato la grande tragedia ideologica del Novecento.
Un popolo attraversato dalla coerenza cristiana che è diventata la vera identità di un popolo che è civiltà.
Un attraversamento che si è definito nella identità. Proprio questa identità difesa sino ad accettare il genocidio ha reso gli Armeni custodi di una tradizione in un percorso in cui la civiltà è dentro quella eredità, in cui la cristocentricità resta fondamentale.
Si tratta di un punto di riferimento dal quale non è possibile prescindere.
Gran parte della letteratura Armena nasce da un humus che è quello della diaspora. Tale diaspora ha posto al centro una filosofia e un pensiero anche storico – giuridico.
Il mondo cristiano, in Armenia, è stato una barriera prima contro la diffusione dell’islamismo in una realtà europea e successivamente ha costituito un polo unitario contro il comunismo.
Questo inciso storico è il grimaldello per penetrare il dualismo tra letteratura (poesia e narrativa) e racconto della diaspora. Mi sembra un dato intorno al quale si è sviluppata sostanzialmente quella realtà che ha realizzato un vero e proprio processo esistenziale di un popolo dal quale non si possono scindere vita, letteratura e tragedia.
C’è un altro fattore che insiste nella cultura Armena.
La sua narrativa ha uno spazio storico e storiografico. Mentre soprattutto la poesia ha delle “pieghe” che delineano un processo in cui la favola, la leggenda e la Fabula insistono nel fascino di un incontro con il canto e la danza.
Raccontando la cultura Armena è intrecciare il tragico del genocidio e il canto della Fabula. Una tradizione e una storia tragica. In questo itinerario l’anima di un popolo. In quest’anima il viaggio di un popolo nel destino di una civiltà in un anno indimenticabile: 1915. Una data che è uno scavo nell’esistenza e nelle vite che hanno definito destini.
Il genocidio Armeno è nel tragico che ha segnato la vita e le vite, il popolo e i popoli, la civiltà di un Novecento che continua ad insistere tra i nostri giorni. La letteratura si racconta con ciò che il Genocidio è stato.
Una tragedia non solo nella vita degli Armeni, ma in quel rapporto tra un Occidente che ha raccontato il dolore e l’agonia e un Popolo che ha vissuto la tragedia e il dolore.
Le parole del Papa sono incisi drammatici, ma a cento anni dal Genocidio bisogna avere il coraggio di pronunciare le verità. Siamo con Papa Francesco. La cristianità degli Armeni è dentro il nostro vissuto.
Nei miei viaggi ad Ankara, compreso quello con Marilena Cavallo, coautrice proprio del libro sulla piazza e le parole, il mondo Ottomano veniva recitato come un mito in una griglia di simboli, di suoni, di segni. Ma i miti sono maschera, a volte, che recitano in un teatro il cui pubblico conosce molte verità. Le Moschee. Ma come ci sono mancate le Chiese. Visitammo l’Annunziatura…