Il latinista. L’identità nazionale. Un linguista. La difesa delle etnie. Una vita spesa per creare legame tra la cultura antica e quella contemporanea. Ovvero per realizzare delle comparazioni tra l’identità, la tradizione e le culture.
Sì, perché Ettore Paratore puntava a recuperare le culture. Anche quelle sommerse e diffuse nelle Regioni d’Italia. In quelle culture vi si trova lo spirito dell’identità che si realizza in una dimensione spirituale.
Le eredità culturali sono eredità spirituali. Un elemento prioritario. Da queste eredità “sorge la nostra vita di nazione” (Paratore) e la letteratura costituisce un fulcro imponente soprattutto nel nostro contesto contemporaneo. Riferendosi alle Georgiche di Virgilio così Ettore Paratore: “… una rara sapienza nello spremere da ogni parola e da ogni costrutto le più intimi vibrazioni, nel creare, con scorci e sottintesi ricercatissimi e spesso mediante la semplice collocazione delle parole, i raccordi più impensati, sì che ogni verso (e ciò avverrà anche nell’Eneide) racchiude un problema esegetico e numerosi significati si stratificano l’uno sull’altro in ogni frase raggiungendo i limiti del virtuosismo e dando talvolta una certa impressione di fatica compositiva”.
Un libro al quale Paratore (era nato a Chieti nel 1907 e morto il 2000) teneva molto era il suo “unico” testo narrativo dal titolo: Era una allegra brigata pubblicato nel 1987. Ho avuto modo di parlare con lui di questo suo libro. In un incontro, in occasione di una riunione del Sindacato Libero Scrittore, era in quegli anni il Presidente, con entusiasmo mi sottolineò alcuni particolari di questo suo viaggio narrativo. Una lunga chiacchierata. Era la fine degli anni Ottanta. Non volle parlare dei suoi scritti dedicati alla letteratura latina o dei suoi saggi su Apuleio, Petronio, Virgilio, Tacito, Pier de la Vigne, Dante, Petrarca, Alfieri, Belli, Manzoni, D’Annunzio. No. Volle parlarmi delle sfumature di quella “allegra brigata”. Dentro la quale si assommavano ricordi, memoria e storia.
Mi disse che si trattava di un libro pensato a frammenti. Ricordo che pronunciò queste parole: “Ragazzo mio, è come se fosse una mia confessione, un diario forse, ma non è neppure questo. Mi è costato molto. Perché devi sapere che ogni pagina è fatica che toglie via la stanchezza ma che ci riporta altra stanchezza”.
Mi sono lasciato accompagnare dalle sue parole pronunciate a stento, con delle pause, con uno sguardo a volte nello sguardo e a volte nel vuoto come se cercasse quelle immagine intagliate nel libro. Rileggerlo oggi sarebbe importante perché ci riporta la testimonianza di un pensare alla vita come alla letteratura e viceversa.
Così Ettore Paratore: “Devi sapere che in questo mio libro che nessuno vuole sinceramente prendere in considerazione c’è più vita di tanti altri miei libri. Ma devo pur dire che è nato per gioco. Mi ha convinto Francesco Grisi a pubblicarlo. Perché mi ha detto che non devono restare libri nei cassetti. Ed ha ragione. Perché quando noi non ci saremo più chissà che interpretazione daranno ai nostri scritti. E’ bene che si legga nel volto di chi legge le sensazioni. Non credere però che si tratti di un capolavoro. Ormai, figlio mio, nessuno scrive più capolavori. E’ soltanto un lungo ricordo. Chiamiamolo pure una lunga mia emozione grazie alla quale ho tentato di trovare le cose che non ho più. Sapessi quante cose mancano. Più si va avanti nella vita più ci accorgiamo delle poche cose che sono rimaste. Leggilo e così avremo modo di discuterne. Ma anche tu non lo prendere tanto sul serio”.
Ettore Paratore era stato docente di letteratura latina nell’università di Catania tra il 1940 e il 1942, poi a Torino sino al 1947 dove aveva ricoperto anche la cattedra di grammatica greca e latina. Dal 1948 a Roma come docente di letteratura latina. Al 1928, si citano soltanto alcuni suoi testi, risale, poi in una nuova edizione nel 1942, La novella in Apuleio. Al 1933 Il Satyricon di Petronio. Al 1945 un testo “forte” su Virgilio. Gli anni Cinquanta vengono caratterizzati con la su Storia della letteratura latina e poi nel 1951 con Tacito, nel 1957 con Storia del teatro latino.
Mentre negli anni Sessanta si dedica ad un altro processo letterario che trova negli Studi dannunziani una chiave di lettura significativa dell’Otto – Novecento. Infatti successivamente, nel 1975, pubblica Moderni e contemporanei fra letteratura e musica e nel 1976 Dal Petrarca all’Alfieri: saggi di letteratura comparata. Al 1986 invece risale il suo commento all’Eneide di Virgilio in una edizione pubblicata in sei volumi.
Le Spigolature romane e romanesche sono del 1967. Belli e Trilussa, in questo Paratore, sono un binomio significativo nella interpretazione di questo saggio. Uno scritto su Trilussa risale, invece, al 1972.
La sua presenza nel Sindacato Libero Scrittore era fortemente autorevole. Volle, insieme a quel gruppo di scrittori anticonformisti, la scissione del Sindacato Nazionale Scrittori nel novembre di trent’anni fa. Era stato uno dei fondatori del Sindacato. Tanto che fu tra i firmatari dello Statuto del Sindacato nel gennaio del 1971. Seguì sempre da vicino le vicende del Sindacato sino ad essere eletto Presidente. La sua fu una lezione di vita sulla cultura italiana.
Paratore in quell’incontro mi parlò della testimonianza e dell’esempio. Nel 1987 aveva ottant’anni. Quel suo largo sorriso era la prova, nonostante la sua stanchezza, i suoi dolori, il suo andare e venire dai ricordi, la sua situazione familiare, che la vita va sempre catturata con “allegria” senza lasciarsi abbindolare da quelli che credono nel “caso”. In fondo “siamo tutti una brigata”. Così ci lasciammo in quel lontano pomeriggio di molti anni fa. Poi parlammo altre volte per telefono. Lesse la mia recensione e mi disse: “Non dimenticherò questo scritto”. Un libro che è un viaggio.
Il latinista che si è ritrovato in “un’allegra brigata”. Il latinista che aveva individuato nell’opera di Virgilio un unicum. Anzi aveva considerato l’Eneide “un unicum rispetto alla tradizione epica”. E le Georgiche “un unicum rispetto alla tradizione esiodea”. Ma tutta la sua ricerca, il suo mettere in discussione stile e tradizione, il suo lavoro metodologico rappresentano un “unicum”, con il quale le varie scuole di pensiero, che campeggiano nella ricerca storiografica, devono certamente confrontarsi.
E qui sta proprio quella manifestazione di letteratura che è “vita di nazione”. Disseppellire le culture nascoste per dare più forza all’identità. Un maestro in una costante testimonianza di amicizia.