Uno degli effetti più evidenti dell’impressionante progresso tecnologico degli ultimi decenni è senza dubbio l’aumentato divario culturale tra le generazioni, intendendo con “divario culturale” non una mera differenza del livello di scolarizzazione ma il più ricco e variegato patrimonio di conoscenza ed esperienza condiviso dai membri di un determinato gruppo sociale.
Tra il nostro nonno ed il nostro bisnonno questo divario poteva essere relativamente esiguo, e fino alla seconda metà del secolo scorso era sempre la generazione più anziana che trasferiva la sua conoscenza a quella seguente; poi le cose sono poco a poco cambiate ed oggi possiamo dire che un ragazzo di vent’anni possiede – effettivamente o potenzialmente – una conoscenza superiore a quella di suo padre o di suo nonno, tanto che non è raro constatare quanto siano a disagio gli “over 60” in molte situazioni quotidiane, prime tra tutte quelle che le vedono alle prese con apparecchi tecnologici con cui invece i loro nipoti adolescenti sono più che a proprio agio.
Come spesso accade, per una cosa che si guadagna un’altra se ne perde, ed accade così che molti, troppi giovani adulti non abbiano nessuna contezza di situazioni che per i loro genitori o i loro nonni erano banali e scontate; ovviamente un giovane ingegnere potrebbe non essere interessato a come si innesta una vite o si pota un ulivo, altrettanto una rampante donna manager potrebbe tranquillamente ignorare le proprietà detergenti della lisciva, a meno di non voler partecipare ad un reality che li veda catapultati in una isola deserta sotto gli occhi indiscreti di telecamere e spettatori da casa. Altrettanto, non si vuole riandare con nostalgica memoria al “si stava meglio quando si stava peggio”, rimpiangendo mezze stagioni che non ci sono più e un rispetto per gli anziani che pare oramai appannaggio di pochi; non possiamo però per questo non considerare che determinati “modus operandi” hanno contribuito ad affermare per secoli la nostra società, e che sarebbe a dir poco da ingenui metterli metaforicamente in soffitta come vecchio ciarpame oramai inutile.
Chi ha superato i cinquant’anni ricorderà – forse con una punta di nostalgia – la vera e propria rivoluzione culturale che seguì alle “Estati Romane” di Renato Nicolini a partire dalla fine degli anni ’70; si trattò di un vero e proprio capovolgimento degli standard dell’epoca, che stravolsero il modo di proporre la cultura e gli spettacoli “colti” e “popolari” (volutamente tra virgolette). Ma senza voler guardare troppo in alto e troppo lontano, basterà anche ricordare la ventata di novità che alla fine degli anni ’80 l’architetto Massimo Martini portò a Grottaglie, dove per qualche anno fu protagonista di un modo di riproporre la ceramica tradizionale in maniera affatto originale.
Le esperienze di quel periodo furono racchiuse in un interessante volume intitolato – non a caso – “Grottaglie come Altrove”, che testimonia anche quali furono le accoglienze, non tutte univocamente positive, riservate alle installazioni che vedevano protagonisti vummili e capasoni, mattoni forati e piastrelle di terracotta. Sono passati trent’anni ed ancora ne parliamo, come ancora parliamo di altri fenomeni che videro protagonista Grottaglie e nuovi modi di fruizione culturale, da “Musica Mundi” al recupero delle Cave di Fantiano, solo per citare due altri fenomeni attuali ancora oggi. Di fatto è innegabile che negli ultimi anni la spinta propulsiva dell’innovazione è andata via-via scemando; la Mostra della Ceramica e quella del Presepe sembrano perdere ogni anno di più smalto ed interesse anche tra i ceramisti locali, l’anno scorso “Musica Mundi” non è stata neppure allestita, confermando la fine – almeno provvisoria – di una kermesse che oramai era quasi agli antipodi di quella originaria. Il quartiere delle Ceramiche di Grottaglie, che nelle estati di qualche decennio fa era pieno di turisti fino a notte inoltrata oggi langue in un desolante silenzio, rotto solamente da qualche meritoria iniziativa di soggetti privati, che in qualche modo ricordano i fasti che furono.
La primavera è alle porte e l’estate si avvicina, Grottaglie è una “città d’arte” che pare non aver ancora deciso se e come mettere a frutto il suo patrimonio, valorizzandolo senza svenderlo, in maniera da renderlo uno strumento capace di attrarre turisti e – conseguentemente – supportare il tessuto economico locale. Non c’è bisogno di investimenti faraonici o di stravolgimenti strutturali, piuttosto è necessario – se non indispensabile – volgere gli occhi al passato, ai suoi successi ed ai suoi errori, per trarre importanti lezioni in grado di indirizzare un futuro che è già presente.