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Enrico Chiesa custodisce il suo posto nell’Olimpo speciale degli attaccanti italiani.

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Testimone di ispirazione, creatività ed istinto, con un pallone filtrante nelle aree avversarie. Ambasciatore di atmosfere e contesti onirici, sul palcoscenico di un calcio meno deformato e più originale, permeato da una sorta di mistificazione dei suoi stessi interpreti. Emblema di favole ed imprese suggellate da squadre sorprendenti, frutto di programmazione indovinata in un momento storico sorridente per il nostro Paese. Cannoniere implacabile, imprevedibile ed elegante nei suoi gesti tecnici, avvezzo alla sinergia ed all’abnegazione, incantatore di folle che ancora oggi scandiscono cori in suo onore. Uno stile ed un modus vivendi da campione umile, che non si concede dietrologie nostalgiche o pentimenti, che non ha ceduto alla tentazione di militare nelle fila di club più blasonati, consacrandosi dalla metà dei dorati Anni Novanta con le casacche di potenze nostrane “emergenti” come Sampdoria, Parma, Fiorentina. L’eclettismo caratterizza la seconda fase della sua carriera dedicata interamente al calcio: coniuga l’esperienza agonistica da tramandare alla didattica, interpreta l’esplorazione dei freschi talenti insieme con la funzione pedagogica degli stessi. Ospite ideale per la terza edizione del Torneo Nazionale del Mar Jonio, occasione di confronto per calciatori nativi dal 2001 al 2012, appartenenti alle scuole calcio di cinque regioni del Sud Italia, Enrico Chiesa è attualmente responsabile tecnico del Centro Federale di Firenze per il settore giovanile. Ed ha dispensato suggerimenti deontologici e messaggi positivi, all’insegna dell’intramontabile metafora che accomuna il calcio e la vita.

Una missione che lo invita a coordinare un gruppo di oltre cento allievi, a trasmettere disciplina, insegnamenti e codici da campo: “Per prima cosa le regole – esordisce Enrico Chiesa, alludendo all’approccio coi giovani- Quando si entra in un Centro Federale o in un campo di calcio, bisogna emulare l’etica che un bambino deve onorare in casa. Rispettare il prossimo, il proprio compagno, gli allenatori, il luogo in cui ti alleni. Un esempio banale ma efficace: la pettorina sfilata non si butta per terra, si tiene, si porta in panchina o si ripone nell’apposito cestello. Questo è ordine, ma soprattutto regola”.

Autore di ben 138 reti in Serie A, ex centravanti della Nazionale, già candidato al Pallone d’Oro, ci illustra la genesi della sua mansione presso il Centro Federale di Firenze?: “Da un anno ho assunto il ruolo di responsabile. I vertici della FIGC mi hanno chiamato e mi hanno proposto il coordinamento del centro federale: un compito diverso da quello che avevo prima, sia da giocatore che da allenatore del settore giovanile.

Il progetto mi ha ispirato, ho voluto provare la nuova avventura. Parliamo sempre di calcio, di gestione dei ragazzi alla quale ero abituato, istruiamo sulle dinamiche del campo. E’ la mia materia, la mia competenza. Devo ammettere di aver imparato molto: dai ragazzi, dai colleghi che mi circondano: ho offerto la mia esperienza, ma credo di aver ricevuto di più. Tante nozioni innovative: nella vita bisogna cercare di migliorare in altri campi ricchi di incognite. Rivestire l’incarico di responsabile è assolutamente diverso dall’operare come allenatore”.

L’obiettivo è creare la corretta osmosi fra tattica, didattica e psicologia nelle giovani leve del calcio?: “Per quel che concerne la cura dell’aspetto psicologico, il Centro Federale si avvale di una professionista: Sara è bravissima, sempre al nostro fianco; lo staff è completo, integrato nelle sue sfaccettature organizzative, tecniche, mediche. Quando tutti i tasselli sono incastrati al posto giusto, il meccanismo funziona. La nostra psicologa è attenta, segue sul campo gli allenamenti, verifica ed interviene esclusivamente se dovessi richiederlo io o se dovessimo accorgerci di qualche problematica inerente un bambino: i motivi possono essere svariati, dall’insicurezza o dall’arrabbiatura. Magari i genitori chiedono un incontro, per discutere circa le difficoltà di affiatamento o ambientazione del proprio figlio: noi cerchiamo di interpretare il suo anno al Centro Federale come un’occasione di divertimento, magari un’opportunità per focalizzare le sue inclinazioni, le sue reali aspirazioni per il futuro”.

L’analisi si focalizza sulle contraddizioni inerenti i vivai: fucina di atleti promettenti, di successi reiterati nei campionati di categoria, probabilmente non sfruttati in maniera adeguata come serbatoio per le Prime Squadre. Latita ancora la mentalità, la cultura dell’attesa in Italia? “Diciamo che è cambiato il calcio, l’introduzione di giovani atleti stranieri è reciproca con i campionati delle altre nazioni: forse è sottratto qualche spazio, ma gli atleti dotati di talento riescono a ricavare il proprio. Credo che tutti i vivai debbano impegnarsi a stimolare l’esordio e l’aggregazione dei protagonisti nella Prima Squadra, per vivere e per “sopravvivere”: gli investimenti sono importanti, le spese aumentano, ed una soluzione valida sarebbe incentivare il potenziale del settore giovanile sia nei tornei professionistici che in quelli dilettantistici, che rappresentano una sezione fondamentale. Confidiamo anche nelle scuole calcio, per il rapporto che possono instaurare coi club di maggiore categoria. Le radici della carriera di un calciatore professionista affondano sempre nel vivaio”.

Il passo verso l’ipotesi dell’introduzione in Serie C delle cosiddette “Squadre B”, composte da determinati sodalizi di massima categoria, è breve: “Sono a favore di ogni idea che possa stimolare un rinnovamento – afferma deciso Enrico Chiesa- Non saprei esprimere a priori una valutazione sull’introduzione delle Squadre B nei campionati inferiori alla serie A: preferirei sperimentare. Mi limito ad auspicare che il progetto possa essere inaugurato e rivelarsi a lungo termine. Non avrebbe senso bloccarlo dopo le prime battute: le squadre B potrebbero rappresentare l’occasione di emergere ai nostri ragazzi italiani. Senza provare, non si possono trarre giudizi”.

Curiosità in merito al criterio del turn-over obbligato degli under 20 nelle fila dei sodalizi di LND: “Non lo ritengo un limite o una forzatura. Una società deve fidarsi e schierare i ragazzi anche in contesti agonistici più accesi, come in LND. E deve coltivarli in casa propria, considerata la reticenza di molti club a mettere sul mercati i pezzi pregiati dei propri vivai. E’ un processo lungo: dai sodalizi dilettantistici i calciatori validi possono emigrare, ma intanto si sono poste le basi per un lavoro di struttura redditizio. Lo scambio può diventare vicendevole, quando un settore giovanile cresce e programma”.

Dopo un ventennio, la Nazionale Femminile di Calcio dell’Italia parteciperà al Mondiale, in programma in Francia: decisivo il sonoro 3-0 rifilato al Portogallo. “Sono felicissimo! La mancata qualificazione della Nazionale azzurra ai Mondiali di Russia rappresenta il passato, ormai: dobbiamo pensare al presente e costruire adeguatamente il futuro. Per quanto riguarda il movimento femminile, sta crescendo, negli ultimi anni è stato incrementato il potenziale: ne sono io testimone, al Centro Federale annoveriamo venti ragazze che si allenano. Sicuramente, la Nazionale delle donne che vince 3-0 contro il Portogallo è un bel segnale per tutto il settore calcistico nostrano. Molte società di serie A e professionistiche constano di una squadra femminile: mi auguro sia l’incipit di un percorso originale e proficuo. Molti i fattori condizionanti, che possono rallentare la crescita, ma ritengo che il traguardo possa essere raggiunto con la corretta razionalità e con la programmazione”.

Le metamorfosi del calcio, tra evoluzioni e depressioni, inducono a riflettere: “E’ cambiato tanto, soprattutto negli ultimi vent’anni. Si è trasformata la preparazione, è mutato il modo di pensare e di affrontare le partite. La tecnologia ha contribuito al cambiamento, anche nell’analisi dell’avversario. Per i ragazzi, soprattutto influisce il “fatto sociale”: prima si arrivava con maggiore difficoltà ad apprendere una notizia, adesso gli stessi aggiornamenti sono in diretta. Il ragazzo non prova più l’emozione di attendere la notizia stessa, ma la acquisisce nel suo stesso svolgimento. Bisogna stare molto attenti: io credo che per la crescita di un ragazzo, dall’infanzia sino alla prima adolescenza dei tredici, quattordici anni, il fattore fondamentale sia la comunicazione coi propri genitori. Non solo-aggiunge- è basilare il dialogo fra le famiglie e gli allenatori delle società di pertinenza. E’ la genesi di una carriera disciplinata: l’aspirante calciatore non deve solo esprimere la propria passione sul rettangolo di gioco, ma anche assumere atteggiamenti educati al di fuori dal campo”.

All’epoca, nemmeno troppo lontana, delle meraviglie balistiche di Enrico Chiesa, i campioni del calcio erano considerati quasi come entità astratte, divinizzati. Oggi, complice il circo mediatico radicalmente trasformato, gli appassionati (o presunti tali) azzardano turpiloqui e derisioni, scritti e destinati ai “profili ufficiali” di atleti ed allenatori…“Adesso c’è più contatto! Spesso anche i minorenni provocano i tifosi avversari o commentano con insulti le figure di calciatori ed allenatori, avvalendosi dei social media: un atteggiamento sbagliato, che si corregge dagli inizi, dall’obbligo del rispetto delle regole. Assisto a tantissime partite: mi piace constatare la perfezione, che consiste in due squadre schierate su un rettangolo verde, le quali temprano l’abilità con il pallone fra i piedi. Noto che i genitori vivono le gare spesso in modo esagerato, scatenando anche situazioni inaccettabili, non esemplari. Torniamo a monte: impartire le regole compete alle società di appartenenza dei ragazzi, le quali devono essere propense ad “educare” anche i genitori. E’ comprensibile che essi debbano difendere i proprio figli, ma sempre nei criteri della disciplina e dell’etica”.

In materia di cambiamento, discorrere sull’efficacia della VAR al suo debutto nel torneo di massima categoria diventa quasi spontaneo: “I numeri certificano che ci sono stati pro e contro nell’applicazione della nuova tecnologia in campo.- Ma la VAR è stata introdotta e bisogna continuare: se noi tutti protagonisti del settore calcistico dovessimo tirarci indietro dinanzi alle prime difficoltà, e dovessimo epurare prematuramente un sistema che è stato sperimentato in pochi mesi, sarebbe una sconfitta. Credo che la VAR vada migliorata, con estrema pazienza: il confronto con i contenti o meno per le decisioni adottate in campo fa parte del gioco, ma è fondamentale il perfezionamento allo studio ed al funzionamento della stessa da parte dei responsabili in campo”.

Memorie e sensazioni, sfide esaltanti, legami intimistici ed istruttivi: l’amarcord dell’Enrico Chiesa predatore dinanzi alla porta corrisponde ad un sincero omaggio rivolto ai suoi numerosi ed autorevoli strateghi. “Ho avuto tantissimi allenatori, tutti bravi. Quando un condottiero è competente e sensibile, qualsiasi calciatore cerca di acquisirne gli aspetti migliori, gli insegnamenti che possono risultare utili al termine della propria carriera agonistica. Un bagaglio di esperienze dalle quali ho attinto quando ho conseguito il patentino. Anche adesso, nonostante ricopra un ruolo da responsabile, ragiono spesso come un allenatore, soprattutto nel gestire certe situazioni. I miei rapporti con i tecnici delle squadre in cui ho militato sono stati tutti eccellenti. Ho lavorato al cospetto di professionisti come Carlo Ancelotti, Sven Goran Eriksson, Arrigo Sacchi, Cesare Maldini in Nazionale, Gigi Simoni, Giovanni Trapattoni, e rischio di dimenticarne qualcuno…”.

Ad evocare l’esaltazione sono gli allori colti nel macrocosmo europeo, con relativo titolo di capocannoniere, nell’annata ’98-’99: “Con Alberto Malesani in panchina, il mio Parma ha conquistato la Coppa Uefa, ricordi indelebili. Al tempo, la suddetta competizione era appannaggio dei club italiani: erano gli Anni Novanta, duellavano le cosiddette “Sette Sorelle”, la forza del nostro Paese si manifestava anche sui palcoscenici sportivi europei. Quel Parma è stata l’ultima squadra con cui un tecnico italiano ha trionfato in Europa: le eredità dei protagonisti di quell’impresa resteranno negli annali. Oggi i club concentrano le proprie attenzioni sugli introiti economici garantiti dalla partecipazione in Champions. Tante dinamiche sono mutate, ma io sono fiducioso: pian piano, con pazienza, si possono ricomporre percorsi vincenti, ragionando con la testa e non con la pancia. Emotivamente, si vorrebbe stravolgere il contesto attuale in maniera immediata. La nostra missione è riportare l’Italia ai livelli alti che le competono”.

Essere attaccante negli Anni Novanta.. “ Era dura!!! – esclama ridendo l’ex bomber dei Ducali- Un periodo che pullulava di attaccanti eccellenti: facevo fatica ad andare in Nazionale, l’offerta era abbondante ed esisteva sana competizione. Ho giocato al fianco di colleghi azzurri come Vieri o Inzaghi, ed ho interagito con due campioni argentini come Crespo al Parma e Batistuta alla Fiorentina. Non riesco ad intravedere le mie caratteristiche ed il mio stile in una punta in attività: l’unico che mi assomiglia un po’ nella postura è mio figlio Federico (centrocampista della Fiorentina, ndr)!”

Rituale, per un attaccante, la domanda inerente i sigilli realizzati che maggiormente permangono nell’anima: “In finale di Coppa Uefa contro il Marsiglia, il 3-0, al volo! – non ha dubbi, Enrico Chiesa- In Nazionale, il primo gol, realizzato di testa contro il Belgio: una sorta di rarità per me”.

Oggetto del desiderio dei sodalizi aristocratici italiani, il bomber originario di Genova non vi è mai approdato; quasi un’anomalia: “Sono andato vicino, a tutte: all’Inter, al Milan, alla Juve. Tre occasioni in cui non si è mai concretizzato il passaggio. Non nutro rammarico: in quelle annate, esibirsi a Parma o Firenze era d’identico prestigio. Non mi guardo indietro”.

Ma si potrà assistere ad un rinnovato equilibrio di valori, nel massimo campionato? “Credo che tornerà presto, che il gap sarà colmato- è la premonizione di Enrico Chiesa– Un processo che deve essere attuato con pazienza ed in maniera precisa, soprattutto sotto il profilo degli investimenti e degli ingaggi. In Federazione visualizziamo in modo asettico ogni possibile sviluppo”.

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