Anni fa la raccolta umoristica “Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano” ebbe un grande successo e fece da apripista ad una larga serie di volumi che in qualche modo esplorarono il filone nelle sue varie sfaccettature.
A questo elenco possiamo senz’altro aggiungere “E Dio rise”, una raccolta di aneddoti e storielle curate da Marc-Alain Ouaknin che rappresentano – come chiaramente spiega il sottotitolo – la Bibbia dell’umorismo ebraico da Abramo a Woody Allen.
Tra stereotipi e pregiudizi
Se c’è un popolo che nel bene (raramente) e nel male (purtroppo spesso…) è assurto al ruolo di protagonista di pregiudizi e stereotipi, questo è certamente quello ebraico. Non c’è praticamente continente o nazione in cui per millenni i figli di Abramo sono stati discriminati, perseguitati, derisi e visti con sospetto.
La storia e la cultura sono pieni di opere in cui l’ebreo assurge al ruolo di cattivo, da “Il Mercante di Venezia” di Shakespeare al Fagin nell’ “Oliver Twist” di Dickens e perfino quando non hanno altra colpa di essere graziose come la Rebecca dell’”Ivanhoe” di Sir Walter Scott o quando agisce in una sorta di “difesa personale – come nel caso del rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga creatore del Golem di Praga.
Per secoli, anche nei periodi di (apparente) tolleranza, gli ebrei erano costretti a vivere in determinate zone delle città e bastava poco perché contro di loro si scatenassero persecuzioni e massacri, non di rado alimentate da pregiudizi e accuse infondate, come quella alla base del culto del Santo Simoncino da Trento.
Probabilmente temprati da millenni di persecuzioni, gli ebrei – in una sorta di contrappasso psicologico – hanno ribaltato le tante accuse ricevute ed hanno creato storielle ed aneddoti in cui i peggiori difetti a loro attribuiti dai “gentili” (mai aggettivo fu più bugiardo!) diventano le caratteristiche dei personaggi protagonisti.
Specchio dei tempi, testimoni di una cultura
Si tratta di una classica applicazione del principio per cui è meglio ridere “con” qualcuno piuttosto che ridere “di” qualcuno e d’altronde anticipare l’avversario dialettico attribuendo per primi a sé stessi le caratteristiche negative che immaginiamo vorrà attribuirci è una tattica tanto diffusa quanto efficace, tanto da trovarla applicata spesso e volentieri anche dove meno te l’aspetti, come in nella “battle” tra artisti rap immortalata nel film “Eight miles” di Eminem.
Ecco quindi che i vari capitoli di “E Dio rise” sono organizzati proprio in base a questo principio e raccolgono storielle su rabbini e sinagoghe, mercanti avari e clienti sprovveduti, usanze alimentari e feste comandate.
Personaggio d’onore e probabilmente più ricco di gloria è la “mamma ebrea”, vero e proprio stereotipo di orgoglio genitoriale e iperprotezionismo in servizio permanente effettivo, raccontato in aneddoti di valore così universale che un titolato saggista tempo fa affermò che “per essere una ‘mamma ebrea’ non è necessari essere ebrea, e neppure essere mamma”, a testimonianza di quanto certi comportamenti al limite dell’assurdo siano ritrovabili ovunque.
Tutto il mondo è paese
La raccolta è preceduta da una illuminante analisi di Moni Ovadia, che a testimonianza di quanto universali e condivisi siano certi atteggiamenti ci fa riflettere sul fatto che negli Stati Uniti d’America – nazione in cui la presenza degli ebrei è probabilmente maggiore che in qualsiasi altro paese (Israele escluso, ovviamente) – la popolazione ebraica non ha mai superato la percentuale del 3%, mentre i comici professionisti sono ebrei all’80%, una condizione che – fatte le debite proporzioni ed adattamenti – può farci riflettere sulla situazione italiana in cui la comicità televisiva e non sembra appannaggio quasi esclusivo di romani e napoletani.
A quanto scrive Ovadia si affianca il curatore della raccolta, in quella che più che una introduzione è un vero e proprio breve saggio, acuto ed illuminante, che spazia dall’etica del riso ad approfondimenti storici e lessicali, passando per il problema della identità e la perdita dell’accento yiddish, figlio di una realtà sempre più cosmopolita, anche nell’ambito di una società da sempre attenta a proteggersi dalle influenze esterne come quella ebrea.
Castigat ridendo mores
Da secoli è attraverso la risata e lo scherno che si può dire la verità, lo raccontano lo Jorge de “Il nome della rosa” e l’Arlecchino della commedia dell’arte, sino ai caustici interventi dei tanti comici che – in Oriente come in Occidente – hanno sfidato la censura per denunciare regimi totalitari e dittatoriali; gli ebrei non hanno puntato lo sguardo altrove ma piuttosto su sé stessi, consapevoli però che tutto il mondo è paese e certamente ad ognuno di noi non sembreranno estranei pregiudizi ed aneddoti raccolti in questo volume.
“E Dio rise” può essere un comodo libro da comodino, da sfogliare un paio di pagine alla volta la sera, prima di addormentarci, per consolarci delle nostre disavventure e constatare che – in fondo – tutto il mondo è paese, ammoniti dal motto di Woody Allen che – in quarta di copertina – amaramente ci avverte che se vogliamo fa ridere Dio non dobbiamo fare altro che parlargli dei nostri progetti, con l’unica avvertenza che è davvero difficile smettere di leggere ed il rischio è di fare mattina e sentirci per giunta rimproverare dal nostro partner di letto per le nostre risate che disturberanno il suo sonno.
“Non c’è niente di più serio dell’umorismo. Soprattutto di quello ebraico, al cui immenso patrimonio Woody Allen, come molti altri comici, deve la sua comicità caustica e rivelatrice. Nessuno viene risparmiato – nemmeno se stessi – in questa raccolta di storielle tratta dall’imprescindibile Bibbia dell’umorismo ebraico del rabbino e filosofo francese Ouaknin, il sancta sanctorum che custodisce quel graffiante e inconfondibile humour, e presentata ora da Moni Ovadia: madri, mariti, mogli, figli, rabbini, spacconi, insolenti, ruffiani, medici, pazienti, psicanalisti e idioti. Un villaggio universale dove ciascuno non farà fatica a riconoscere qualcun altro – purché non ci sia uno specchio… Senza tralasciare il principale protagonista dell’umorismo ebraico: Dio in persona, ovviamente. Perché come tutti sanno, da Abramo a Woody, l’ebreo ride con Dio o contro Dio, ma mai senza Dio. Caustiche, ironiche, tenere, tragiche, indulgenti, lucide, paradossali, e terribilmente comiche, queste storielle e battute yiddish sono uno scandaglio dell’animo umano, di cui portano a galla con un guizzo le verità deposte sul fondo, per alleggerirlo. Perché se in ebraico la malattia è definita come pesantezza dell’essere e la salute come leggerezza, la cura è innanzitutto una: ridere.
(Dal risvolto di copertina)