Sebbene Halloween sia una festività tipicamente Irlandese e dei paesi anglosassoni, da qualche anno a questa parte si sta diffondendo anche in Italia come una delle tante mode provenienti dalla tradizione e dalla cultura americane.
L’usanza di mascherarsi per la “Notte delle Streghe”, è diventata il passatempo preferito di molti giovani (e non) che, proprio in questo periodo, organizzano feste e ricevimenti in puro stile americano. A proposito della tradizionale zucca “inflazionata” ad Halloween, vi è una vecchia leggenda irlandese che narra di un fabbro, Jack O’Lantern, il quale, ubriacone e avaro, si prese gioco del Diavolo riuscendo a fargli promettere di non reclamare mai la sua anima. Il fabbro però, a causa del bere smodato, morì poco dopo improvvisamente, senza riuscire a chiedere perdono dei propri peccati. Nell’aldilà, dunque, non fu accolto né in Paradiso né all’Inferno. Ma il Diavolo, mosso a pietà del povero fabbro, gli scagliò un tizzone ardente che Jack O’Lantern pose all’interno di una grossa rapa che egli stesso aveva intagliato, ricavandone una lanterna affinché non si perdesse nell’Oltretomba nel suo peregrinare eterno e senza meta. In origine quindi, la lanterna della tradizione era solo una rapa che venne sostituita poi con una zucca forse perché più facile da intagliare.
Anche se apparentemente sembra che la celebrazione di Halloween non ci appartenga, almeno nella classica usanza di mascherarsi e di esporre zucche vuote illuminate, in realtà la notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre rappresenta una festività che risale alle nostre più antiche tradizioni. La celebrazione cattolica di Ognissanti mostra solo il pallido ricordo della ben più antica festa di Samhain risalente agli antichi celti. In generale siamo propensi ad immaginarci i celti come un popolo appartenente alle regioni nord occidentali dell’Europa ma forse qualcuno ignora che in tutta Italia vi sono stati parecchi insediamenti celtici.
Tutto il nord Italia, ad esempio, dalla Valle d’Aosta al Piemonte, dal Veneto all’Emilia fino alle Marche, è stato colonizzato da queste popolazioni sempre temute dai romani e con una cultura notevole per l’epoca. Feste come quella di Samhain, che iniziava proprio la notte del 31 ottobre, sono rimaste ancora oggi come tradizione popolare. Samhain vuol dire “Riunione” o “Raccolto” e indicava la fine di un ciclo e l’inizio di un altro. Si pensi a tale festa come ad una sorta di Capodanno poiché, nei tradizionali rituali, il fuoco acceso e spento e poi nuovamente acceso il giorno dopo sottolineava l’idea di un giorno statico, come chiuso e fuori dal tempo, una specie di circolo perfetto. Per i celti questa ricorrenza era un’importante occasione sia religiosa che sociale ma soprattutto essa rappresentava il momento di inizio per una nuova nascita e crescita sia delle messi che di qualsiasi attività si dovesse intraprendere nei villaggi.
La notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre, era quindi un momento di passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo ma si trattava di un momento cruciale dell’anno in cui tutto poteva accadere e in cui si poteva decidere del destino del futuro anno. Secondo la mitologia irlandese e gallica, attraverso i vari riti propiziatori praticati in questo giorno, gli spiriti “disincarnati”(oltre i trapassati ad altra vita si identificavano con questo termine anche fate, folletti e ninfe dei boschi), abitando in una zona atemporale, quasi neutra, potevano attraversare il confine del loro mondo per giungere nel nostro ma solamente in questo giorno durante il quale si poteva comunicare con gli immortali e riceverne consigli e predizioni per il futuro.
I druidi, sacerdoti degli antichi culti, scrivevano messaggi per i defunti utilizzando le “rune” (alfabeto segnico usato dalle antiche popolazioni germaniche) e li affidavano al fuoco perché questo, bruciandoli, li trasportasse nel regno dell’Oltretomba. La festa si protraeva da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei settimane e in questi giorni si danzava fino allo sfinimento, si beveva e mangiava oltre misura e si compivano sacrifici che, secondo alcune fonti, potevano anche essere sacrifici umani. In generale si eseguivano riti per propiziare la fertilità della terra e per chiedere agli spiriti della natura di proteggere i futuri raccolti e di renderli abbondanti. Per mezzo di questi banchetti sontuosi, si nutrivano i morti lasciando i resti del cibo nelle mense durante la notte affinché i defunti potessero banchettare dopo i vivi, tradizione questa, ancora oggi in uso nelle regioni meridionali.
Come si può notare, Samhain possiede delle analogie con molte feste popolari di tutto il mondo e ricorda anche i “Saturnali romani” che si celebravano in ricordo della mitica età dell’oro e nei quali si danzava, banchettava e si scambiavano doni, tradizione anche questa, che è rimasta in uso nel meridione d’Italia nella classica “Festa dei Morti” il 2 Novembre. Col tempo questi rituali vennero modificati anche per il sopraggiungere del Cristianesimo e molte delle festività celtiche furono conglobate in feste cristiane tenute però proprio nei giorni delle antiche feste pagane. Per gli antichi Celti la morte non rappresentava la fine, ma solo una tappa che conduceva verso altri stati dell’essere, in mondi in cui eroi ed esseri immortali vivevano felici per sempre.
Proprio questa visione della morte come passaggio e non come fine, come soglia e non come limite, fece si che la fede cristiana potesse essere accettata tanto rapidamente dalle popolazioni celtiche verso le quali si recavano i primi missionari cristiani. La grande spiritualità dell’anima celtica nella “sacra” terra d’Irlanda ad esempio, fu il motivo per cui essa fu facilmente “conquistata” dal Cristianesimo e dal suo messaggio di speranza e di fede. Come si vede, dunque, le origini della festa di Ognissanti sono da ricercare anche nel tradizionale passato della nostra cultura e fanno parte delle tradizioni che ci riguardano da molto vicino. È consuetudine nel giorno dedicato al ricordo dei defunti visitare i cimiteri locali e portare in dono fiori sulle tombe dei propri cari. In molte località italiane è diffusa l’usanza di preparare alcuni dolciumi chiamati “dolci dei morti” per celebrare la giornata. In Sicilia durante la notte di Ognissanti la credenza vuole che i defunti della famiglia lascino dei regali per i bambini insieme alla frutta di Martorana e altri dolci caratteristici.
Nella provincia di Massa Carrara la giornata è l’occasione del bèn d’i morti, con il quale in origine gli estinti lasciavano in eredità alla famiglia l’onere di distribuire cibo ai più bisognosi, mentre chi possedeva una cantina offriva ad ognuno un bicchiere di vino; ai bambini inoltre veniva messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e castagne bollite. Nella zona del monte Argentario era tradizione cucire delle grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani, affinché ognuno potesse metterci qualcosa in offerta, cibo o denaro. Vi era inoltre l’usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che nella notte del 2 novembre le loro anime (dette angioletti) tornassero in mezzo ai vivi. Nelle comunità dell’Italia Meridionale intorno a Cosenza e Palermo si si commemorano i defunti secondo la tradizione orientale di rito greco-bizantino. Secondo la cultura tradizionale di molte località italiane, la notte del Giorno dei Morti le anime dei defunti tornerebbero dall’aldilà effettuando delle processioni per le vie del borgo. In alcune zone, conformemente a quanto avviene nel mondo anglosassone in occasione della festa di Halloween, era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all’interno per utilizzarle come lanterne.
In Puglia la notte fra il 1 e il 2 Novembre si usa ancora imbandire la tavola per la cena, con tutti gli accessori, pane acqua e vino, apposta per i morti, che si crede tornino a visitare i parenti, approfittando del banchetto e fermandosi almeno sino a natale o alla befana. Ad Orsara (Foggia) in particolare, la festa veniva (e viene ancora chiamata) Fuuc acost e coinvolge tutto il paese. Si decorano le zucche chiamate Cocce priatorje, si accendono falò di rami di ginestre agli incroci e nelle piazze e si cucina sulle loro braci; anche qui comunque gli avanzi vengono riservati ai morti, lasciandoli disposti agli angoli delle strade. Sempre in Puglia poi vi è poi una curiosa usanza: in questa notte i bambini usano appendere delle calze, le “cavezette di murte”, fuori dalle proprie case per ritrovarle il giorno dopo ricolme di doni, una tradizione simile a quella dell’Epifania. La tradizione vuole che i morti al loro passaggio lasceranno i loro doni, dolci e frutta di stagione, ma anche carbone, le ossa dei morti, per i più cattivi. La calza così ha una importante funzione, essa è la cornucopia della dea, il corno della Capra Amaltea, la mistica nutrice, dispensatrice di doni che assicura fertilità alla terra. In questo periodo di morte della natura e di stenti la calza è il sinonimo della speranza, il “morto” che porta la vita e dunque la resurrezione. Nella calza dell’abbondanza non mancava poi un altro richiamo alla dea, il cosiddetto “grano dei morti”, grano cotto che ci riporta alla mater come signora della semina.
Non mancano proverbi e detti che appunto ricordano il legame stagionale con la festa e infatti si dice che “Prime de l’aneme i murte ce semene pe lla vasenze e ppe ll-alture” [trad. : prima dei giorni dei morti si semina sia nel piano che sulle alture o in montagna]. Il grano e i cereali in genere sono simbolo del continuo ciclo di morte e rinascita, esso infatti viene mietuto proprio per poter ricrescere e non dobbiamo dimenticare che etimologicamente la dea Cerere sembrerebbe provenire proprio da “Madre del grano” identificata spesso con l’ultimo covone della raccolta e destinato a rituali di fertilità, infatti era riservato alle vacche gravide proprio per assicurare loro fertilità o alle stesse donne che si dovevano garantire un parto felice.
Signora delle stagioni, tu che moltiplichi i frutti e le spighe provvedi che questo grano sia ben mietuto e che renda molti chicchi. Lavoratori i mannelli stringete, il taglio del covone esponete al soffio di Zefiro o a tramontana affinché si impinguino i chicchi.
Teocrito, Idilli, X (I mietitori – Il canto del lavoro)
Il primitivo sa che è il Sole – principio maschile dell’apeiron [trad. arché, origine] primordiale – che con la dea Forma rende gravida la terra, e così l’usanza di accender in questa notte i fuochi di gioia, falò che se da una parte hanno il compito di guidare i defunti, metaforicamente si riferiscono al “resuscitare” la natura e i suoi frutti, il fuoco ha così lo scopo, basato sul concetto di magia imitativa o “simpatica” di rappresentazione in terra il ciclo solare, anche se il calore solare si è ridotto esso tornar ben presto a risplender sulla terra come appunto i fuochi di gioia che con il loro crepitare riscaldano gli animi. Ed è sempre in questa ottica di rinnovamento e fecondità che in questi giorni venivano fatte conoscere in casa le novelle fidanzate, sia per presentarle anche ai cari defunti che in questo periodo ritornavano a vivere, sia per i motivi descritti precedentemente che legano indissolubilmente Samhain e queste feste di prosperità. Apprestandoci quindi ad esser bombardati da pubblicità, magazine, network che parlano di Halloween, come il “carnevale” delle Streghe, la festa del consumistico mondo occidentale, potremo seguire gli indizi nascosti nelle pieghe del tempo delle nostre terre meridionali legate ad un culto altrettanto antico, quello della Dea Madre, la regina di questa mistica notte ove ancora oggi il velo della reminescenza è così leggero da permetterci di guardare oltre, fino all’aldilà.