Letto l’ultimo rigo de “Il disordine delle cose” di Silvia Pingitore, ho pensato a questo romanzo come la perfetta trasposizione su carta delle giornate scandinave che terminano senza finire, in cui le sere vedono il sole alto nel cielo e deserti rettilinei che si perdono all’infinito sprofondano in un orizzonte irraggiungibile.
Se è facile immaginare un romanzo che racconta delle vicissitudini universitarie di giovani ventenni italiani, meno immediato è immaginarsi gli stessi protagonisti alle prese con le vicissitudini che può riservare una nazione come la Finlandia, distante meno di quattromila chilometri eppure lontanissima da noi sotto molti aspetti.
Senza voler rivelare nulla della trama, il romanzo sembra l’eco del diario minimo di un calvinista viaggiatore d’inverno, gioco di parole assai scoperto – lo ammetto – ma che null’altro è che un omaggio modesto ai gustosi “falsi amici” della lingua finnica rispetto a quella italiana, evocati da Silvia Pingitore con sapida ironia.
Una ironia che percorre tutto il romanzo, insieme ad una vena amara di fondo in cui l’Autrice, trentenne, punteggia ad esempio la situazione ai limiti del paradossale della università italiana, senza velleità di roboanti “j’accuse” quanto purtroppo con la fin troppo matura consapevolezza della occasione che l’Italia tutta sta perdendo “mandando via a calci” una gran parte dei suoi giovani, come spietatamente racconta la citazione ad inizio del libro.
Un libro che è – a suo modo – anche una moderna favola di Natale, dedicata ai bambini di tutte le età (mai immagine fu più abusata, lo ammetto) a cui conferma che non è mai troppo tardi per chiedere che si avverino i propri desideri. Desideri spesso tutt’altro che impossibili, ma che solo alcune persone possono realizzare, donandoci qualcosa che non costa nulla eppure vale tantissimo.
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Ho comprato questo libro “a scatola chiusa”, non ho voluto leggere recensioni e commenti, mi sono fatto intrigare dal titolo, ammaliare dalla immagine frontale, incuriosire dalla frase in quarta di copertina, caratteristiche queste condivise con la maggior parte dei volumi editi da “La Lepre Edizioni”, dinamica casa editrice romana con un catalogo che offre non poche gemme preziose.
Le “cose” in disordine, siano rapporti umani o di parentela, amori sognati o infranti dal lutto, controsoffitti scolastici o biblioteche universitarie non rimangono nel caos per sempre – sembra volerci suggerire Silvia Pingitore – ma sono solo in attesa di qualcuno che – come Lucia, la ventenne protagonista del romanzo – abbia l’ingenua follia (tratto comune a più di qualche eroe mitologico…) di affrontare una impresa ai limiti del paradossale come se fosse la cosa più “normale” che possa capitarci nel quotidiano tran-tran domestico.
Di cose quasi incredibili eppure normali questo romanzo è pieno: puoi essere un povero ed abitare in piazza Navona a Roma, puoi avere un ficus che vuole essere annaffiato solo in determinate ore del giorno, puoi iscriverti a facoltà universitarie con acronimi e programma di studi al limite del grottesco, puoi trovare un Babbo Natale Italiano ai confini del Circolo Polare Artico, puoi avere un cognome importante senza “essere parente”… la vita è così, ma pochi la sanno raccontare con lo stile e la maturità di Silvia Pingitore.