Sporcarsi le mani restando “puliti”. Un apparente paradosso spiega il senso del protocollo d’intesa firmato questa mattina nella Casa Circondariale “C. Magli” di Taranto, punto di partenza per la nascita di una futura impresa agricola modello in grado di strappare terreni all’abbandono e offrire un’occupazione a lavoratori detenuti e, in una fase successiva, anche ad ex detenuti.
Al tavolo, per la sigla, il direttore dell’istituto di pena Stefania Baldassari e il presidente di Confagricoltura Taranto Luca Lazzàro. Il protocollo getta le basi per un progetto che prenderà corpo in tempi brevi, appena ricevuta l’approvazione e i finanziamenti da Cassa Ammende e dai competenti uffici ministeriali. L’idea che sta all’origine del protocollo, in continuità con l’intesa fra il Ministero della Giustizia – Dipartimento del’Amministrazione Penitenziaria – e Confagricoltura nazionale, è quella di far nascere un’impresa agricola nei terreni della Casa Circondariale, che dispone di circa due ettari inutilizzati all’esterno del muro di cinta e di “manodopera” cui offrire, per così dire, una seconda chance durante la detenzione.
Il progetto, infatti, è destinato a lavoratori detenuti in modo – così si legge nel protocollo – da «creare opportunità di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti nel settore agricolo, prevedendo l’assunzione di almeno alcuni detenuti coinvolti nel progetto da parte dell’azienda». A tal fine l’Amministrazione penitenziaria si impegna «a cedere in comodato d’uso gratuito i terreni di propria pertinenza all’azienda agricola che verrà individuata e a mettere a disposizione i detenuti in regime di art. 21 OP nel numero che sarà quantificato dal’azienda rilevatrice per lo svolgimento dell’attività agricola e l’eventuale inserimento lavorativo».
Detto del ruolo e della disponibilità della Casa Circondariale, toccherà a Confagricoltura Taranto offrire «un‘assistenza mirata nel campo legale, fiscale, previdenziale e tecnico-economica», oltre che «fornire ogni utile contributo per l’individuazione di partner imprenditoriali idonei al perseguimento degli obiettivi» del protocollo d’intesa e «attuare ogni intervento utile a convertire i terreni di pertinenza della Casa Circondariale al fine di renderli produttivi».
«E’ il primo protocollo del genere in Italia siglato da Confagricoltura – spiega il presidente Luca Lazzàro – ed è un motivo d’orgoglio per noi, anche perché s’inserisce nell’ottica della funzione sociale oltre che economica dell’agricoltura, un punto qualificante dell’azione della nostra organizzazione sul territorio. Saremo al fianco della Casa Circondariale di Taranto seguendo da vicino il progetto e mettendo a disposizione le nostre competenze e professionalità».
Il lavoro nei campi, insomma, come strumento di riabilitazione e formazione professionale nella direzione indicata dall’art. 27 comma 3 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
«Ci muoviamo pienamente nello spirito della Costituzione – afferma Stefania Baldassari, direttrice dell’Istituto Penitenziario – e in linea con i contenuti del protocollo d’intesa siglato a livello nazionale dal ministro della Giustizia Orlando e dalla Confagricoltura. Si tratta di dare un’ulteriore opportunità alla struttura per poter operare nell’ottica di rieducazione e socializzazione della popolazione detenuta». Il progetto, per quanto utile al reinserimento sociale, è però pensato anche per “funzionare” economicamente, visto che l’impresa agricola dovrà sostanzialmente sostenersi da sola. Le parti, infatti, si impegnano «a promuovere la commercializzazione dei prodotti mediante vendita agli Istituti Penitenziari anche della Regione non escludendo la commercializzazione sul libero mercato».
«Nella fase di coltivazione – aggiunge il direttore – saranno coinvolti i detenuti in regime di articolo 21, ma non escludo che nella commercializzazione siano utilizzati anche ex detenuti»
L’obiettivo finale non è solo raccogliere i buoni frutti che verranno dalla terra ma anche trasformare detenuti in persone migliori. Grazie al lavoro che, come recita un adagio che non passa mai di moda, è ancora in grado di nobilitare l’uomo.