Forse tra meno di un mese la crisi dell’Ilva avrà una risposta dal governo centrale. La cautela è d’obbligo, visti i continui slittamenti che la vicenda ha subito negli ultimi mesi. Al pari della convalescenza dopo un invasivo intervento chirurgico, per quanto possa essere positivo l’epilogo della vertenza che ha visto protestare per mesi aziende e lavoratori di Taranto, le conseguenze rimarranno e non saranno indolori.
Per quasi un anno l’intera economia del territorio ionico è stata di fatto bloccata,; quando il colosso siderurgico ha rimandato, prima di settimane e poi di mesi il pagamento di quanto dovuto ai suoi fornitori, l’effetto cascata è stato immediato: migliaia di lavoratori hanno visto ritardare l’arrivo dello stipendio, altri si sono trovati nella ancor più critica situazione di vedere la loro azienda chiudere i battenti. Imprenditori e titolari di ditte fornitrici hanno impegnato i beni di famiglia per fare fronte alle scadenze fiscali, perché lo Stato in questa situazione non ha dato nulla, ma ha preteso molto, e soprattutto ha preteso subito. Quale che sia l’epilogo di questa vicenda, che ovviamente tutti ci auguriamo positivo, alcuni postumi non potranno non essere considerati, perché questa crisi ha fatto emergere in maniera ancor più drammatica ed evidente alcuni mali endemici del nostro territorio. Se possiamo affermare che gli imprenditori di Taranto raramente hanno brillato in lungimiranza e progettualità, è altrettanto vero che anche loro stanno pagando a caro prezzo il frutto delle loro (non) azioni, quindi se la classe imprenditoriale certo non è innocente, altrettanto non è la più colpevole, anche perché non sempre è stata messa nelle condizioni di operare al meglio su un mercato diverso da quello quasi obbligato della fornitura di beni e servizi alla grande industria.
Inoltre, va salutata con favore una sufficiente coesione tra le parti sociali in campo, se pure con i comprensibili e facilmente immaginabili distinguo operati in base agli specifici interessi da tutelare, ciò che è drammaticamente apparso evidente è l’assordante silenzio e la colpevole latitanza della maggior parte della classe politica locale e nazionale. Dove in altri territori sindaci, presidenti di Regione e Provincia, Assessori e Consiglieri hanno sfilato in prima fila e perorato personalmente – per convinzione o interesse elettorale, poco importa – le legittime istanze del loro territorio, a Taranto, salvo qualche meschina iniziativa di facciata e pochi sterili proclami, aziende e lavoratori sono stati lasciati colpevolmente soli. Una vergogna tutta nostra che ha probabilmente fatto si che la voce di chi protestava arrivasse meno forte nei palazzi del potere. Non meno latitanti sono stati deputati e senatori, sia quelli diretta espressione del territorio sia quelli “stranieri” ma eletti nelle circoscrizioni locali e calati dall’alto nelle liste bloccate. Pochissime le eccezioni, troppe le assenze di chi in passato – e quasi certamente in futuro – sui palchi dei comizi parla di sviluppo e salvaguardia del territorio.
D’altronde – ammonisce un noto detto – chi nasce tondo non muore quadrato – e la classe politica è da anni che – per dolo o per colpa – ha lasciato marcire il bubbone Ilva sino alle drammatiche conseguenze d questi giorni. Se la situazione si fosse affrontata con onestà e lungimiranza anni fa, all’apparire sull’orizzonte delle prime fosche nuvole di crisi economica ed ambientale, forse non si sarebbe giunti a questa drammatica situazione, forse si sarebbe potuto pensare ad una “exit strategy” meno dolorosa, forse Taranto non sarebbe stata – ancora una volta – conquistata e devastata da Roma, forse non ci sarebbe stata la grottesca pantomima di una azienda che pareva tutti volessero comprare, salvo poi vedere svanire gli acquirenti come neve al sole non appena si vogliono mettere nero su bianco impegni e prospettive.
Forse… non possiamo dire con certezza cosa sarebbe potuto essere, possiamo però affermare senza tema di smentite ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti, un territorio che ancora tiene duro – subisce o sopporta, fate voi – di fronte ad una situazione che altrove avrebbe portato alle barricate in piazza, un tessuto sociale che trova più ascolto e risposte dal palco del Festival di Sanremo che dai tavoli istituzionali, migliaia e migliaia di famiglie che vivono una non-vita che è quasi peggio della morte, in una apnea economica e culturale che da un momento all’altro potrebbe soffocare tutti. Tra poco ripartirà il valzer delle elezioni regionali, e non si può escludere che a breve possano seguire anche quelle nazionali, c’è chi cinicamente afferma che la soluzione arriverà casualmente sincronizzata con l’apertura dei comizi elettorali, in maniera che in tanti possano assumersi la paternità del salvataggio; quale che sia l’epilogo di questa vicenda, non possiamo che augurarci che almeno questa volta Taranto riscopra, nel momento del suo più buio presente, la forza e l’orgoglio delle sue radici spartane e faccia valere i suoi diritti e le sue rivendicazioni., perché se questa politica ha fallito, tocca a ciascuno di noi riprendere in mano il filo del nostro destino e cercare, alla fine di questo oscuro labirinto, l’uscita verso un nuovo, luminoso futuro.