Vegani e vegetariani sono ghiotti dei suoi germogli, il suo legno è utilizzabile in 1500 modi diversi. Ed è anche ottimo per le bonifiche ambientali. Per gli agricoltori tarantini il bambù può diventare la nuova frontiera dell’innovazione: investimento iniziale contenuto, buon reddito per ettaro e interessanti qualità ecologiche. Caratteristiche e potenzialità così invitanti che nel 2013 una ventina di imprenditori, manager, medici e professionisti, che nella vita fanno tutto tranne che gli agricoltori, ha deciso di mettersi insieme creando il “Gruppo terre della Magna Grecia”.
«Una costituenda cooperativa – dice Fabio Balzotti, consulente aziendale e tra i fondatori del gruppo – con una particolare attenzione al benessere e alla rinascita del proprio territorio nel rispetto del bene comune. Buoni propositi che uniti alla concreta possibilità di creare opportunità di lavoro tra i giovani» e di riprendere il passo dell’economia dalla base, la terra» ha reso possibile affrontare questa sfida: piantare il bambù dove sembrava impossibile. Non è un caso, del resto, che questa coltivazione stia prendendo piede proprio a Taranto e provincia, tra Pulsano e Faggiano, una terra ambientalmente molto “sensibile”: La volontà comune – sottolinea Balzotti – è sempre stata quella di aiutare le aree devastate dall’inquinamento del nostro territorio con un progetto tanto innovativo quanto purificativo. In più, vogliamo dimostrare che, pur senza ricevere alcun contributo pubblico, esiste uno spazio utile in agricoltura per investire e creare occasioni: di lavoro, d’impresa e di studio».
Il bambù, insomma, è sembrato subito l’elemento perfetto per ridare una “missione” unificante a professionisti provenienti dai settori più disparati ma innamorati della terra e a terreni che, in non pochi casi, sarebbero rimasti improduttivi per scarsa convenienza economica. Il bambù, infatti, cresce molto velocemente, ha bisogno di poche cure e non necessita di pesticidi né di erbicidi. Al contrario, ha un ottimo impatto ambientale perché il suo apparato radicale supporta il consolidamento e il rimboschimento delle scarpate, prevenendo frane e smottamenti; elaborando i nitrati, contribuisce a mantenere pulite le acque di fiumi e laghi; contrasta l’effetto serra grazie all’elevato assorbimento di anidride carbonica: un bosco di bambù è in grado di catturare fino a 17 tonnellate di carbonio per ettaro all’anno ed è capace di trasformare gli inquinanti (compreso l’azoto ed i metalli pesanti) in biomassa.
Ideale, quindi, per le bonifiche ambientali grazie alla capacità di contrastare l’inquinamento del suolo e dell’atmosfera: «E’ questa la caratteristica – dice Balzotti – che rende unico il nostro progetto, non solo in Italia ma in Europa: abbiamo finanziato uno studio scientifico grazie anche al dott. Pecci, presidente del Consorzio Bambù Italia, che ha creduto in noi. La ricerca, in uscita a settembre e curata dal prof. Raffaele Lafortezza della Facoltà di Agraria e dal ricercatore dr. Mario Elia, certificherà la capacità del bambù di bonificare i terreni dalle sostanze nocive e di assorbire anidride carbonica restituendo il 30 per cento in più di ossigeno. Al nostro fianco in questa avventura c’è il direttore scientifico di Tecnopolis, dottor Galeandro, ma abbiamo un canale aperto anche con l’Università di Pisa, oltre che con imprenditori stranieri che sono venuti a vedere i nostri bambuseti e a studiare il nostro microclima così adatto a questa coltivazione».
«I tantissimi usi del bambù – spiega il direttore di Confagricoltura Taranto, Carmine Palma – dall’alimentazione all’arredamento, passando per il tessile e la cosmesi e la forte domanda mondiale consentono di scommettere per i prossimi 15 anni sulla redditività di questa innovativa coltivazione. Per noi tutto ciò che serve a ridare reddito stabile e duraturo alle aziende agricole è una buona idea: per chi vi investe e per la prospettiva nuova che offre al mondo agricolo».
«Il nostro sogno – aggiunge Balzotti – è creare un polmone verde che ridia speranza a tanti. La formula giusta sta nell’aver unito tante professionalità e competenze diverse, generando economie di scala e la possibilità di far nascere qui a Taranto una filiera del bambù. Grazie alla versatilità di questa straordinaria pianta graminacea, capace di colonizzare i terreni e di “piegarsi” ad ogni utilizzo: Esistono 1500 campi d’impiego da sfruttare con piccoli investimenti mirati. La prospettiva di ciò che stiamo realizzando sta nell’avviare la nascita di decine di aziende cooperative che producono, trasformano e portano sul mercato il bambù. Nel mondo l’uso del bambù è diffusissimo e, grazie al Protocollo di Kyoto, produrlo vuol dire salvare intere foreste».
Un’idea “green” come la canapa e valida anche dal punto di vista economico. Il bambù produce fino a 20 volte la quantità di legname rispetto ad una stessa area composta da alberi e ha un’elevata redditività già a partire dal terzo anno: i suoi culmi (le canne) hanno un prezzo di mercato che può arrivare ai 45 euro al pezzo (in base all’altezza e al diametro), mentre i germogli partono dai circa 10 euro al chilo al produttore sino ai 28 euro al dettaglio. Guadagni per l’agricoltore molto interessanti, con stime prudenziali che partono dai 20.000 euro fino a superare, più ottimisticamente, i 100.000 euro ad ettaro a fronte di un investimento iniziale tra 14 e 26mila euro (in base al numero di piante).
«Fra un anno e mezzo – spiega Balzotti – raccoglieremo i germogli dei primi 30 ettari piantati ad aprile sui 50 disponibili, fra due e mezzo i culmi. Ora, dopo tre anni di studio, c’è solo da lavorare e far crescere anche il gruppo che, nel frattempo, si sta allargando al Salento, alla Calabria, alla Basilicata e prossimamente alla Sicilia».
Una piccola “miniera verde” che attende solo d’essere sfruttata. Qui a Taranto che, molto prima che dell’acciaio, fu capitale della Magna Grecia.