«Il ddl sul caporalato, già approvato al Senato e ora approdato alla Camera, rischia di colpire indiscriminatamente le aziende agricole». Per Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto, si sta varando una norma che, paradossalmente, «con l’intento condivisibile di sanzionare lo sfruttamento del lavoro in agricoltura, finirà col colpire pesantemente non i caporali e i clan malavitosi ma le aziende agricole, soprattutto quelle sane e oneste che creano “lavoro buono”».
Alla base di queste preoccupazioni, ci sono alcune previsioni del testo normativo che potrebbero innescare meccanismi vessatori per l’attività delle aziende. «L’introduzione dell’articolo 603 bis del Codice Penale – spiega Lazzàro – prevede pene pesanti anche per chi recluta un lavoratore senza minaccia o intimidazione: la reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 500 a 1000 euro per ogni lavoratore irregolarmente reclutato. Un inasprimento che, tuttavia, va letto assieme all’inserimento nel Codice degli “indicatori di sfruttamento del lavoro”: si tratta di indicatori alternativi tra loro, cioè basta che ne ricorra uno solo per rilevare lo sfruttamento. Il modo in cui questo meccanismo opera, però, è molto pericoloso, perché allarga lo spettro d’intervento a violazioni lievi e meramente formali di normative legali e contrattuali, quali il rispetto dell’orario di lavoro, la retribuzione, l’igiene.
Le conseguenze di questo approccio non selettivo potrebbero essere nefaste. Per Confagricoltura Taranto esiste il rischio che nell’attuazione si applichino norme penali a fattispecie lievi ed isolate, più che alle reali situazioni di illegalità che si vorrebbe debellare. L’esatto contrario – rimarca Lazzàro – delle ragioni condivisibili per cui la legge sta nascendo e sta avendo un iter accelerato, decisamente troppo, perché si stanno ignorando i segnali d’allarme che arrivano da associazioni come la nostra, preoccupata che nella foga di issare una bandiera-simbolo contro l’illegalità, si finisca col travolgere anche la legalità in cui si muove grandissima parte del settore agricolo.
Alla base – insiste Lazzàro – sembra affiorare una fortissima connotazione ideologica, frutto di un pregiudizio ingiustificato, per cui il lavoro in agricoltura sarebbe di per sé sinonimo di sfruttamento: contro questa idea noi siamo pronti a fare le barricate, nelle aule del Parlamento e sui tavoli dei rinnovi contrattuali provinciali che, considerato il nuovo quadro d’insieme, subiranno conseguenze anche significative.
Bisognerebbe riaprire una riflessione seria e meno di pancia sull’intera vicenda del lavoro in agricoltura – conclude Lazzàro – perché sul caporalato siamo già d’accordo: ma non per questo si deve sparare nel mucchio e, per giunta, contro imprese che danno lustro nel mondo all’agricoltura e all’agroalimentare italiano».