La canapa industriale entra per la prima volta nel Carcere di Taranto. E compie un piccolo miracolo: trasformare due ettari di terra incolti in un’azienda agricola modello. Che fa agricoltura innovativa e sociale al tempo stesso, perché toccherà ad un gruppo di detenuti della Casa circondariale “Carmelo Magli” lavorare la terra e raccoglierne i frutti.
A otto mesi di distanza dal Protocollo d’Intesa siglato tra Confagricoltura Taranto e Direzione del Carcere questa mattina è stato tagliato il traguardo più importante: mettere a dimora i semi di canapa. Primo passo concreto e insieme potente metafora di un’idea innovativa che comincia a prendere forma. Grazie alla collaborazione di Casa Circondariale di Taranto, Confagricoltura Taranto, Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (A.B.A.P.) e South Hemp Techno srl di Crispiano, che hanno messo insieme le proprie forze e competenze nell’ambito del progetto di più ampio respiro di promozione e sviluppo di iniziative operative, finalizzate a fornire alla popolazione detenuta possibilità di reinserimento lavorativo, attraverso delle concrete opportunità offerte dal lavoro agricolo. «Oggi a Taranto – dice il presidente di Confagricoltura Taranto Luca Lazzàro – nasce la prima azienda modello di agricoltura sociale e biologica. E nasce grazie al lavoro corale di diversi attori locali e istituzionali e alle qualità di una pianta versatile come la canapa, capace di grandi sviluppi nella valorizzazione dei suoi prodotti, assieme alla coltivazione e commercializzazione di altri prodotti orticoli biologici, e soprattutto in quello delle bonifiche: una prospettiva importante in un territorio così compromesso come quello tarantino».
Sulla base del Protocollo d’Intesa nasce dunque, per la prima volta a Taranto e in Italia, un progetto sperimentale completamente innovativo nell’agricoltura sociale: dalla semina della canapa industriale germoglierà una nuova prospettiva di futuro per la popolazione detenuta. «E’ la prima coltivazione di canapa – spiega il direttore Stefania Baldassarri – in una Casa circondariale. Successivamente sarà la volta della prima azienda agricola bio, che produrrà ortaggi e frutta biologica all’interno della cinta dell’Istituto di pena. Tutto ciò è finalizzato al reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti, che è poi il cuore di questo progetto».
Un progetto da costruire giorno dopo giorno in attesa del “fine pena”. Stamattina la semina manuale della canapa nel campo adiacente al settore femminile, con la finalità di utilizzare il raccolto per progetti produttivi che impegneranno le stesse detenute.
E prim’ancora, il 23 aprile scorso, la prima semina meccanica su una superficie di 3000mq nella fascia di sicurezza extramurale della Casa circondariale, che servirà per aumentare la resa finale del raccolto.
Passi concreti in vista di un più ampio ed articolato intervento che ha l’obiettivo di introdurre la coltivazione nel centro penale jonico dando vita a diversi cicli produttivi: tessuto, carta, alimenti e bioedilizia. «Coltivazione della canapa – afferma Rachele Invernizzi, presidente della South Hemp Tecno – ma anche formazione dei detenuti. L’idea è riuscire a fare impresa in carcere con prodotti da vendere all’esterno. Una prospettiva che ha conquistato i detenuti, felicissimi di poter avere un rapporto col mondo esterno, un contatto umano che spesso gli manca. Il nostro è un progetto-pilota, un’esperienza ripetibile in altri istituti di pena italiani ed è per questo che stiamo lavorando per pubblicizzarlo il più possibile».
La versatilità nelle applicazioni della canapa è già nota ed apprezzata in diversi settori e rappresenta una chiave di svolta nella direzione della sostenibilità e dell’inserimento lavorativo successivo alla detenzione. Marcello Colao, dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi, sottolinea in particolare l’aspetto della “sostenibilità”: «E’ un progetto molto ampio – spiega – che si basa sulla sostenibilità, soprattutto perché realizzato in un carcere, con detenuti e in condizioni difficili. Vogliamo anche puntare sulla tutela della biodiversità pugliese, col recupero di colture in via d’estinzione, e in un secondo momento speriamo di farne uno strumento didattico, coinvolgendo le scolaresche.
L’obiettivo è diffondere la cultura della biodiversità, dei diritti, della sostenibilità e della bellezza dei prodotti pugliesi. Lanciamo qui dal carcere di Taranto – conclude Colao – un segnale forte: a queste persone svantaggiate che vogliono impegnarsi e migliorare, noi vogliamo dare un valore in più».