Le notizie di cronaca, che in questi giorni hanno visto alla ribalta la provincia di Taranto per il caporalato, hanno conquistato anche le cronache nazionali. «L’economia agricola di Taranto non è solo questo – ha però dichiarato Alfonso Cavallo, presidente di Coldiretti Taranto –, è inaccettabile che quando si parla di agricoltura in Puglia e a Taranto si pensi subito a questo fenomeno. È innegabile che sia ancora presente, si tratta però di una anomalia strisciante che arreca danno alle migliaia di aziende agricole sane che nulla hanno a che fare con i caporali. Non va più rimandata l’operazione di trasparenza e di emersione, mettendo a punto un patto di emancipazione dell’intero settore agricolo.»
«I controlli sono sacrosanti – afferma Cavallo, ma spesso si tratta di vere e proprie ispezioni interforze concentrate sulla stessa azienda agricola, che ostacolano il regolare svolgimento dell’attività e creano un clima di presidio militarizzato. È arrivato il momento di stanare le realtà che vivono nell’ombra e si nutrono di lavoro nero.
Su questo si innesta anche la legge sul caporalato approvata all’unanimità dal Parlamento, dietro la spinta emotiva della morte di Paola Clemente, condivisa a pieno negli obiettivi e nella ratio. Non possiamo sottacere, però, le insidie circa la reale e corretta applicazione della norma che desta non poca preoccupazione in tutto il mondo agricolo. Per come è stato architettato il dispositivo legislativo, l’imprenditore agricolo che vive e lavora in assoluta legalità rischia di rispondere di un reato penale e di essere scambiato per un caporale, anche per la minima mancanza che prima era passibile di una semplice sanzione amministrativa».
«Una norma di tale portata – ha aggiunto Aldo De Sario, direttore di Coldiretti Taranto –, in sede di applicazione dovrebbe contare su un elemento di fondamentale valore, che invece pare del tutto assente: essere in grado di distinguere e discernere chiaramente e inequivocabilmente chi oggi lavora e produce in condizione di sostanziale legalità da chi opera in condizioni di sfruttamento e di illegalità, promovendo il valore dei primi e reprimendo duramente l’operato dei secondi, attraverso un mix di misure che non danneggino i primi e non premino i secondi.
La situazione che si paventa e che determina motivo di grande preoccupazione, è quella che, per una qualsiasi lieve omissione commessa, in futuro ci si possa trovare a rispondere di un grave reato penale davanti ad un giudice, imputati e trattati alla stregua del più becero caporale, rischiando sia il carcere, sia la confisca. Verrebbe da dire “ma se basta così poco per diventare un caporale, allora lo siamo tutti caporali!”.
La natura delle doglianze e delle preoccupazioni espresse, con fondato motivo, dal mondo imprenditoriale è quindi legata esclusivamente alle modalità con le quali verrà data applicazione della norma e non certamente alle sue finalità. Ed è proprio sulle modalità di applicazione che devono concentrarsi le linee guida e sono proprio queste ultime che devono essere chiare, non semplici circolari attuative sui controlli, che avrebbero valore interpretativo personale da parte degli ispettori.
Per questo motivo il Ministero del Lavoro con il Ministero dell’Agricoltura e quello della Giustizia , come da impegni assunti, hanno già dato corso alla convocazione di un tavolo tecnico interministeriale per la definizione di specifiche linee guida ad uso degli Organi Ispettivi, evidentemente finalizzate ad escludere un utilizzo improprio e abnorme dello strumento, che invece deve andare a colpire la parte peggiore delle imprese criminali che inquinano il settore agricolo.»