Probabilmente tutti noi, almeno una volta nella vita, vedendo un gruppetto di persone parlare sottovoce tra loro, magari anche indicando discretamente qualcuno vicino, avremo pensato: “Ci sape su cì stonn’a tagghiano!”
Diciamo la verità, per quanto il pettegolezzo sia una azione spiacevole e poco elegante, questo volersi fare i fatti degli altri esercita su tante persone una attrazione quasi irresistibile. Che si tratti di sfogliare una rivista di cronaca rosa mentre siamo nella sala d’attesa del dottore, di ingannare il tempo sotto l’ombrellone sulla spiaggia scorrendo sullo smartphone le ultime notizie pubblicate dai siti internet che danno ampio spazio al gossip oppure dare una occhiata sui social network ai profili di amici e conoscenti, nessuno di noi è immune al fascino della chiacchiera, a volte amichevole, altre volte meno.
Ci sape su cì stonn’a tagghiano!
Se il termine italiano, con il suo suffisso in -ezzo già esprime chiaramente che il pettegolezzo non sia una azione propriamente edificante, il termine dialettale usato a Grottaglie (e non solo!) può far sorgere qualche dubbio, poiché verrebbe quasi spontaneo associarlo all’atto del tagliare, per la quasi perfetta omofonia dei due termini.
La prima ipotesi che verrebbe in mente è allora quella di immaginare che sia più facile e naturale indulgere alla diceria più o meno malevola mentre si è intenti in una attività che comporti anche l’atto del tagliare. Potremmo quindi immaginare che chiacchiere e dicerie fioccassero nelle botteghe dei barbieri, dove tra un taglio di capelli ed una spuntatina alla barba non si perdeva l’occasione di aggiornarsi sugli ultimi fatti di cronaca locale. Oppure che il pettegolezzo tenesse banco nelle ore in cui la “mescia” insegnava alle sue giovani allieve il mestiere della sarta; tra un orlo e un ricamo, un merletto e un’asola poteva essere facile commentare una scollatura troppo profonda, una gonna troppo corta, una camicetta troppo sbottonata. Oppure il pettegolezzo – come una gramigna – attecchisce dove meno te lo aspetti, anche tra i contadini che magari – per alleviare la fatica della vendemmia o l’impegno della potatura – tra un tralcio di vite e un sobbracavaddo di olivo, non perdevano occasione per (s)parlare tra loro.
Pettegolare, irresistibile tentazione
Sebbene non sia da escludere che le ipotesi citate abbiano un qualche fondamento, il termine dialettale “tagghiare” riferito al pettegolezzo deriva molto probabilmente da una parola di origine greca che indicava il chiacchierare che un tempo si faceva nei cortili, uno dei pochi passatempi che si aveva quando radio e televisione non esistevano e si sapeva tutto di tutti, in particolare di coloro le cui case o botteghe si affacciavano sullo stesso slargo, piazzetta o cortile su cui era posto l’ingresso della nostra abitazione.
Ancora oggi il cortile è il luogo d’incontro e di scambio, uno spazio comune in cui condividere notizie, curiosità e – appunto – pettegolezzi. Nelle sere d’estate basta che qualcuno piazzi una sedia davanti la porta di casa, inviti i suoi vicini a fare altrettanto e il passatempo è assicurato!
Nel meridione di Italia, ed in particolare in quei territori come il Salento che per secoli hanno subito l’influsso sociale e culturale della Grecia, questo termine è diventato “cortigliare” e si è via via modificato prima perdendo il prefisso “cor“, poi aprendo la pronuncia della vocale “i” che è diventata una “a” ed infine trasformando il suono “gl” nel “ggh“, come capita in altre occasioni (bottiglia/buttigghia, canìglia/canigghia, figlia/figghia, ecc.).
Il termine, in un misto tra italiano e dialetto ha assurto ultimamente una certa notorietà per essere stato impiegato da Andrea Camilleri in alcuni dei romanzi del commissario Montalbano, in cui “cortigliare” e “fare cortiglio” sono utilizzate proprio per indicare il pettegolezzo.