Santoro Filippo arcivescovo Taranto
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«Esprimo il mio profondo dolore per il susseguirsi dei suicidi nella mia città. Innanzitutto il mio pensiero va ai familiari dei defunti, che si trovano nella sofferenza, nei dubbi, stravolti da questi gesti di estrema gravità. Mi unisco a loro spiritualmente e manifesto paterna vicinanza.» scrive l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro dopo i suicidi che negli ultimi mesi hanno afflitto Taranto.

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«Non è difficile pensare che simili episodi generino smarrimento nella comunità e che chiamino qualche filo logico, il perché della negazione della vita e dell’autodistruzione. Una ragione non c’è, se non quella che sotto la traccia della nostra società c’è una profonda solitudine, quando non proprio l’isolamento.

Viviamo in una comunità così “social” e così poco comunionale, aggiunge l’arcivescovo di Taranto – lontana dalla condivisione. Siamo spesso così informati e al contempo indifferenti. Se dovessimo analizzare i sintomi saremmo tentati nella diagnosi di una città depressa, senza speranza, ma non voglio assolutamente rassegnarmi a quest’idea. Pur in gravissime difficoltà, a Taranto, non diversa dalle altre città del mondo, noi abbiamo tante falde di speranza, come ad esempio la fede, la famiglia, l’accoglienza, il valore dell’amicizia e di una solidarietà che scorre naturale nelle nostre vene.

Invito tutti all’apertura e all’attenzione all’altro.  Spesso, anche sullo stesso pianerottolo di casa, quando non proprio sotto lo stesso tetto a pochi metri da noi, si aprono scenari di dolore e di confusione: l’affetto, la generosità, l’ascolto sono farmaci indispensabili per chi avverte il male di vivere. In una terra particolarmente cristiana non possiamo rimanere indifferenti.

Infine – prosegue monsignor Filippo Santoro – ritenendo il suicidio come gesto di assoluta gravità, definito dal Catechismo come contrario all’amore del Dio vivente, annuncio ancora una volta il Cristo misericordioso, vicino al cuore di ognuno, specie a chi patisce l’angoscia o il timore grave della prova e della sofferenza.

Preghiamo per questi nostri fratelli. Sempre il Catechismo afferma che Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. Gesù può mostrare il suo volto bello e abbracciare questi suoi figli.

La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita. Le ragioni non potremo mai saperle adeguatamente ed è essenziale condividere il dolore, il rispetto e la speranza.

Vorrei invitare, oltre che alla preghiera, anche alla sobrietà e all’essenzialità nel racconto dei fatti, perché alla morte e alle famiglie sia dato il dovuto rispetto.

L’Immacolata e san Cataldo – conclude l’arcivescovo di Taranto – ci aiutino a vegliare su chi soffre, a condividere il dolore e a creare una società più umana».

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