«Egregio Presidente, torno a scriverle, come ho già fatto altre volte in precedenza, solo perché spinto da eventi contingenti che impongono un’attenzione straordinaria da parte del Governo e, come già accaduto in passato, un Suo diretto e autorevole intervento.» Comincia così la lettera che Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto, scrive al Premier Matteo Renzi per sollecitate interventi risolutivi a sostegno del capoluogo ionico.
«A Taranto – scrive Cesareo – la complessa vicenda Ilva, con tutti gli aspetti che lei ben conosce, è da considerare tutt’altro che risolta. Sul fronte delle aziende dell’indotto, in assoluto le più penalizzate dalle criticità che hanno fin dall’inizio segnato tutte le tappe della vicenda, la situazione sta letteralmente precipitando. Sono 150 milioni di euro di crediti pregressi a gravare ancora sui bilanci di queste aziende, e parliamo del solo indotto di Taranto e provincia: risorse sottratte a stipendi, a innovazione, a investimenti. Un patrimonio – per le nostre aziende lo è – che poteva essere investito nel futuro, in nuove prospettive, in una diversificazione da sempre invocata ma inesorabilmente sempre più lontana, e che invece gravano pesantemente sul presente, diventato man mano più faticoso e difficile da affrontare, viste anche le molteplici incombenze di natura fiscale ed amministrativa cui devono far fronte. I bilanci di queste prevalentemente piccole e medie realtà imprenditoriali palesano uno stato di sofferenza senza precedenti. La scadenza – a novembre prossimo – dei termini per l’accertamento dello stato passivo è una tappa su cui non possiamo fare più affidamento: ci sono al momento tutte le condizioni affinché anche questa data, già in regime di proroga, slitti ulteriormente.
La situazione di cui le parlo – evidenzia Cesareo – nasce dalla sovrapposizione di una serie di fattori negativi. L’Ilva si presenta ad oggi come un’azienda alle prese con problemi di liquidità ingentissimi, che perde ogni giorno quote di mercato attraverso un’emorragia inarrestabile. Si parla di perdite che si attestano sui 50 milioni di euro mensili, a fronte di un prestito di 400 milioni di euro garantito dalle banche che sarebbe già esaurito o prossimo alla fine.
Sul fronte degli investimenti non si registrano novità rilevanti, e lentissimo è anche il processo di risanamento della fabbrica. Le risorse di cui Ilva dispone vengono centellinate a favore del minimo indispensabile per garantire la produzione e la continuità del lavoro diretto. Le aziende dell’indotto hanno finora consentito la continuità della produzione fuori e dentro la fabbrica, nonché la faticosa marcia verso la newco, la cui costituzione, tuttavia, appare ancora lontana. Lo hanno fatto a loro spese, pagando, alcune, in termini di sopravvivenza.
Ora non è più possibile – ribadisce il Presidente della Confindustria ionica, anche perché tutte le misure che potevano favorire la loro attività sono venute gradualmente meno. L’inefficacia degli interventi previsti dalla Legge 20/2015 ha aggravato, infatti, lo stato di indebitamento delle imprese fornitrici: non ha funzionato il Fondo di Garanzia, né sono stati applicati i previsti benefici derivanti dalla sospensione degli oneri tributari. Persiste, quale diretto effetto di tali circostanze, la stretta creditizia; una condizione di credit crunch che perdura oramai da almeno due anni e che ha ulteriormente indebolito le imprese che risultano, ad oggi, maggiormente esposte con le banche, senza margini di credito e soprattutto incerte sulla possibilità di recuperare i pagamenti dei lavori pregressi. Una “massa” di crediti confluita, come le è noto, nello stato passivo dell’Ilva e sulla quale ha diretta competenza il giudice delegato della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, mentre monta fra le stesse imprese il timore di accumulare nuovi crediti insoluti derivanti dalle nuove commesse, i cui pagamenti non sono sempre regolari.
A fronte di tutto questo, a lei, Presidente, chiediamo un intervento diretto che preveda l’adozione di provvedimenti atti ad ottenere forme di anticipazione sui crediti pregressi. Solo in questo modo le nostre imprese potranno salvarsi. Solo attraverso la corresponsione di quelle ingenti risorse, peraltro maturate durante la gestione commissariale e mai ottenute malgrado 24 mesi di lavoro incessante, potranno continuare ad operare con un margine di serenità sufficiente a garantire quei servizi finora indispensabili per la continuità produttiva – e quindi occupazionale – dell’Ilva di Taranto. Il momento è decisivo, delicato, importante: la newco potrebbe realmente segnare un nuovo corso per la fabbrica e per la città, e lo sblocco di altre risorse consentire altri investimenti fondamentali per la graduale risalita di quello che è stato e che auspichiamo continui ad essere il colosso dell’acciaio.
Contiamo su di lei, Presidente – conclude nella sua lettera Vincenzo Cesareo, perché il nostro indotto, benché solo particella, sia pure importante, di un meccanismo molto più grande e complesso, rischia di scomparire proprio in una fase in cui potrebbe crescere e riorganizzarsi in nuove forme e nuovi assetti. La città, già gravata da molteplici problematiche che stanno impoverendo gradualmente il suo tessuto sociale ed economico, non può consentire che questo accada.
La questione è per noi di importanza assoluta e fondamentale.
Per questo confidiamo, ai fini della risoluzione favorevole della stessa, in un suo autorevole e risolutivo intervento.»