«Non è la Legge anti-caporalato a minare le aziende agricole. E’ un sistema di parcellizzazione e scarsa organizzazione del settore, che continua a rimanere debole di fronte alle pressioni del mercato. Gli arresti dei giorni scorsi relativi alla morte di Paola Clemente (la bracciante agricola morta due anni fa durante la campagna degli acinini a Andria) mostrano la fragilità di un comparto che ha deciso di privatizzare i guadagni e socializzare le perdite affidandosi a caporali senza scrupoli che non tengono nella giusta considerazione il valore del lavoro.» Lo dichiara Michele Scarinci, segretario regionale della Confsal FNA, la Federazione Nazionale Agricoltura che riunisce i lavoratori agricoli sotto l’egida del sindacato autonomo.
«Le aziende agricole serie e oneste farebbero bene a prendere le distanze da quell’alzata di scudi dei produttori – dice Scarinci – perché di fronte all’illegalità è l’intero comparto a correre il rischio più grande. Un rischio che si amplifica di fronte alle notizie di diritti umani violati come nel caso dei fatti denunciati nei giorni scorsi a Ginosa Marina.
Una condizione per la FNA che crea anche effetti significativi sul mercato del lavoro interno.
Le cooperative fittizie che fanno intermediazione illegale di manodopera, ma che in realtà sono l’evoluzione 2.0 del caporalato dettano il prezzo del costo del lavoro – spiega Scarinci – i lavoratori stranieri diventano così il confine estremo del massimo ribasso con paghe da fame e condizioni di lavoro da terzo mondo. I lavoratori italiani invece da tempo non operano più in quei territori e vi è dunque una rovinosa caduta verso il basso del mercato del lavoro interno. Una guerra tra poveri che produce solo un imbarbarimento inaccettabile.
La FNA dunque rilancia passando dalla Legge anti-caporalato finendo alle recenti norme che ad esempio regolano il lavoro e la pensione dei braccianti.
La Legge è l’architrave di un impegno che si sarebbe potuto risolvere diversamente se solo le imprese avessero accolto gli accorati appelli dei lavoratori agricoli mentre si è deciso di agire con furbizia e le lettere di ingaggio per le giornate in campagna si sono fatte sempre più rare e tutto quanto è stato esternalizzato e affidato ai padroncini che in cambio del trasporto hanno reso questo lavoro nobile e indispensabile un lavoro infimo, sotto-pagato. E’ invece un lavoro duro e usurante che avrebbe avuto bisogno di maggiori attenzioni anche ad esempio nel computo pensionistico perché è impossibile chiedere ad un bracciante di attendere fino ai 67 anni o sperare che possa adire al prestito dell’APE (Anticipo pensionistico) con quei salari da fame .
A Ginosa prima lavoravano gli italiani – dice il segretario della Federazione – poi si sono creati i ghetti per romeni, polacchi, bulgari. Una tratta ignobile che sconfigge due volte la nostra agricoltura. Quando “sporca” l’immagine delle nostre produzioni e quando crea conflitti sociali tra i lavoratori italiani e quelli comunitari. Conflitti che come stiamo vedendo in questi giorni sconfinano addirittura in pronunciamenti razzisti e violenti. Ma il tema non è chi lavoro e chi questo lavoro lo organizza e ci aspetteremmo un fronte unico con le imprese che tengono al nostro territorio e al buon nome dell’agroalimentare di qualità che produciamo.
Nei prossimi giorni la FNA terrà incontri con i territori per approfondire tutte le questioni in campo e lancia l’appello alla Prefettura affinchè venga al più presto convocato un tavolo sul tema della legalità e che coinvolga istituzioni deputate al controllo, associazioni di categoria, datoriali e mondo del lavoro.»