Una delle usanze fortemente radicate in tutto il Meridione d’Italia, che ha in qualche modo resistito anche al cambiare delle usanze ed alla organizzazione del lavoro, è senz’altro il Capocanale, una grande festa che veniva organizzata al termine di un lavoro solitamente complesso e impegnativo, che solitamente prevedeva un lauto banchetto a cui partecipavano tutti coloro che – a qualsiasi titolo – avevano contribuito all’opera di cui si festeggiava la conclusione.
Le ipotesi sul nome
Come spesso accade, già dalla etimologia di una parola possiamo avere le prime indicazioni sul suo profondo significato; in questo caso l’origine del termine “Capocanale” è abbastanza incerta; c’è chi la fa risalire al termine “baccanale”, con chiaro riferimento alla festa di origini latine che si teneva in onore di Bacco, caratterizzata appunto da una festosa riunione in cui venivano consumate in grande allegria numerose pietanze accompagnate da abbondanti libagioni, altri ipotizzano che questa parola derivi dalla constatazione che per affrontare un così ricco banchetto bisognasse avere una “capo canna”, ovvero una gola capiente, ma molto più probabilmente il nome – come per altri termini – deriva dalla usanza di celebrare il momento in cui veniva tolta l’ultima chiusa posta alla estremità di un canale di irrigazione e l’acqua poteva scorrere libera a dissetare alberi e ortaggi.
Di sicuro c’è che oggi come allora, il capocanale è una festa che segna la fine di una stagione di lavori in campagna, che si trattasse di una vendemmia, della molitura delle olive o della mietitura del grano ma non solo, poiché questa festa si organizza anche al termine dalla costruzione di una casa o – come succedeva a Grottaglie – quando dal forno di una bottega di ceramisti tutti i pezzi di una importante “cottura” uscivano integri.
Lavoro, fatica e divertimento
Il banchetto era organizzata sempre a carico del padrone dell’appezzamento agricolo, dal gestore del frantoio, dal proprietario della casa costruita o dal maestro ceramista titolare della bottega, ed erano invitati tutti coloro che avevano partecipato ai lavori, dal più giovane garzone al più esperto caposquadra, nessuno escluso, tutti intorno ad un tavolo a ridere, scherzare, cantare e brindare.
Il capocanale era un premio ma anche un diritto, tanto che in molti casi era esplicitamente compreso nei contratti di lavoro che venivano stipulati stagionalmente, con tanto di dettaglio dei particolari su come doveva essere organizzato e quali e quante portate di cibo doveva prevedere.
Non di rado era il padrone della masseria o della bottega, insieme alla moglie a servire le portate agli invitati, in una sorta di inversione di ruoli che ricorda le già citate feste carnascialesce latine ma che rappresenta soprattutto un modo per avvicinare classi sociali altrimenti distanti e divise da barriere quasi insormontabili.
Il capocanale era anche un modo per raccogliere consigli, confidenze e richieste private in un momento in cui lo scorrere del vino ed il clima di festa allontanavano – almeno per una sera – le fatiche del lavoro, le preoccupazioni ed i timori per il futuro.
Scopri di più ascoltando il nostro podcast!