La malinconia della recita è la ricerca di trasformare l’inquietudine in tentazione di armonia. Il sorriso a volte diventa un riso. Pirandello diventa l’interprete del riso in malinconia. Totò trasforma la malinconia in riso. La vita è un definire il legame tra tristezza e nostalgia diventando personaggi attori e maschere. Totò e Pirandello sono altro rispetto allo sguardo di Wilde nello specchio.
Totò: “Perdere chi non conosce rispetto è un grandissimo guadagno”.
Bruni: “… è sempre doloroso perdere chi pensa di volerti bene ed è triste perdere chi pensa di rispettarti. Ma si tratta soltanto di un pensiero…”.
Totò: “L’ignorante parla a vanvera. /L’intelligente parla poco. /’O fesso parla sempre.
A Pirandello Totò deve “L’uomo, la bestia e la virtù” del 1953 sceneggiato da Steno (che curò la regia) e da Vitaliano Brancati e che andò in onda su Tai Tre addirittura nel 1993 e “La patente”, del 1954 per la regia di Luigi Zampa, un episodio all’interno di “Questa è la vita”, novella di Pirandello.
Mario Gromo, molto attento, ebbe a dire: “La patente trasforma in commediola , e talvolta in farsa , una stridente situazione drammatica…e Totò è qua e là efficace …”.
Due pellicole che non ebbero (molto) successo. Ci furono problemi vari. Ma la questione più vera fu che Totò si senti molto “imprigionato” nelle parti dei personaggi che recitava. In altri termini un Totò che non fu lasciato libero di Totò. Dovette segrire rigidamente il copione. Questo non lo rese realmente autentico. Totò a 50 anni dalla scomparsa, ovvero Antonio de Curtis nel personaggio esemplare di Totò. Ironia e umorismo. Maschera e comicità. L’uomo che è oltre l’improvvisazione.
Totò: “Era un uomo così antipatico che dopo la sua morte i parenti chiesero il bis”, la maschera e l’ironia. Totò ha segnato un tempo che lega Prandello e Eduardo De Filippo. L’ironia che si fa riso – sorriso. Un concetto profondamente pirandelliano: “Di notte, quando sono a letto, nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano, mi interrogano, sono gli occhi della mia coscienza”. “La mia faccia non mi è nuova, ce l’ho da quando sono nato”.
Totò e Pirandello hanno creato maschere. Eduardo De Filippo ha messo sulla scena la sua maschera. Pirandello ha creato personaggi. Scarpetta ha vissuto il personaggio e la maschera. Totò ha realizzato la teatralità e il cinema come maschera e come personaggio: “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza”.
L’ironia e la poesia sono un colloquiare tra le linee del sorriso – consapevolezza del sogno tragico. Un personaggio complesso. Un attore mai attore sul senso tout court del termine, ma personaggio che recita la vita. O meglio che lascia che la vita si rappresenti nella sua sfaccettatura con le maschere e con gli specchi.
Non c’è l’umorismo filosofico pirandelliano nel suo dire e nel suo essere come umorismo di sorrisi vani. L’umorismo nella ironia tragica del quotidiano, (cfr. anche Petrolini), vivere è già oltre il riso – sorriso, ma è anche consapevolezza del senso inquieto del vivere.
Intorno alla figura di Totò, al personaggio Totò, ci sono dimensioni teatrali, letterarie e chiaramente cinematografiche. Ma Totò nasce nella letteratura. Il Totò poeta e drammaturgo. Ovvero nei linguaggi e nella gestualità di un pirandelliano modello in cui sembra incrociare Ionesco e Kafka. O meglio l’assurdo e l’enigma.
È un dato letterario di non poca rilevanza sino a toccare uno scrittore italiano che è sulla linea del “gioco” fittizio e reale della vita – letteratura: Tommaso Landolfi. Landolfi e il gioco.
Corrado Alvaro scrive riferendosi a “Guardie e ladri” del 1952 del regista Mario Monicelli: “Verso la fine del film, Totò e Fabrizi, uno da ladro e l’altro da poliziotto, inseguito e inseguitore, devono dirsi alcune parole sulla loro condizione, giustificandosi e quasi scusandosi reciprocamente sulla ineluttabilità del oro mestiere..[..] Dietro al ladro e al poliziotto c’è una società che si difende dai ladri per mezzo dei poliziotti; ma gli uni e gli altri, almeno in questo film, senza una vera vocazione per il loro mestiere…[..] Totò e Fabrizi qui sono, nella loro parte, in vena come in pochi altri lavori…” (“Mondo”, gennaio 1952).
È chiaro che Totò incarna la “napoletanità” nella gestualità , e nel linguaggio poetico, di Eduardo Scarpetta. Ma Napoli è il centro della recita trecentesca e barocca e rivoluzionaria.
La napoletanità è la “bufera” della metafora nerudiana della maschera di Troisi, ma è anche l’eccezionale messa in scena del salotto Serao e delle gesta di Eduardo Scarfoglio, inquieto esploratore dei mondi sommersi e viaggiatore elettrizzante – estetizzante con D’Annunzio, che intreccia la scena, la ribalta, il retroscena.
Totò, comunque, conosce l’incastro sottile e letterario che si vive tra il Pirandello della maschere muse nude e Eduardo De Filippo nel suo equilibrio di un riso terribilmente ironico inquieto.
Come Pirandello non è essenzialmente teatro dell’umorismo, ma dell’ironia tragico, Totò rappresenta il sorridere nella consapevolezza della tragico nella solitudine delle vite. E non è solo cinema. Credo che bisogna partire da un “ritaglio” di fondo che è quello letterario.
Non c’è uno spartiacque definito tra Pirandello De Filippo Totò e Eduardo Scarpetta. È la recita propriamente mediterranea sicula – campana alla quale aveva dato un forte contributo Giovanni Boccaccio nel suo abitare luoghi e personaggi napoletani con una Fiammetta popolano.
Totò in fondo conosce molto bene questi ruoli e queste appartenenze e rende il tutto in una intelaiatura in cui il linguaggio e la fisicità dei gesti restano fondamentali.
Sempre Totò: “A volte è difficile fare la scelta giusta perché o sei roso dai morsi della coscienza o da quelli della fame”.
Totò crea un linguaggio rompendo tutti gli schemi semantici. La sua è propriamente una lingua non solo popolare ma ironico – aristocratica. Può sembrare strano ciò. Ma il popolare e il nobiliare sono parte integrante di quella “livella” che è la filosofia del quotidiano.
Per questo credo che non si può prescindere da una visione letteraria in cui la lingua e il linguaggio dei gesti e delle forme sono rappresentazione di una estetica dei personaggi, del personaggio Totò e dell’uomo Antonio de Curtis.
Certo, ritornerò a scrivere e a parlare in più occasioni su Totò, Antonio de Curtis (per abbreviazione perché i titoli e i nomi sono molti), e su questi percorsi.
Totò era nato a Napoli il 15 febbraio 1898 e morto a Roma il 15 aprile del 1967. Un personaggio oltre la maschera stessa. Sempre nostro ironico e italico contemporaneo.
L’ironia tra umorismo e tragedia di Pirandello è dolorosa consapevolezza in De Filippo. Resta sempre maschera in Scarpetta e in Totò è il sorriso del senso tragico. Totò”.
Totò non una maschera ma un personaggio! Un personaggio che ironicamente sa di saggezza: “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza”. Mi sembra che il tutto possa corrispondere ad una bella osservazione di Alberto Bevilacqua che tanto amava Totò: “Devo per forza costruire sempre un’altra realtà nella realtà perché, di quello che è, io non riesco mai ad accontentarmi”. Così fece Totò. Così fece Pirandello.
Ma forse occorre la patente?