Un romanzo che contiene la lucida analisi di un saggio, un racconto corale a più voci che evoca i migliori esempi del teatro civile, il racconto di un sogno che si trasforma in una drammatica realtà. Questo e tanto altro è “Antropocenere” (Mimesis, 169 pagine), il romanzo con cui Silvio La Corte racconta i mondiali di calcio con gli occhi di chi perde sempre.
Dal sogno alla realtà
Il romanzo prende spunto dalla storia di Diwash, che dal Buthan parte alla volta del Qatar dove – insieme ad altri disperati – sarà la “carne da ponteggio” impiegata per la costruzione degli stati e delle altre infrastrutture dei mondiali di calcio che si svolgeranno nel paese arabo.
Il Buthan è una piccola nazione asiatica, salita all’onore delle cronache nel 1972, quando il suo re crea un nuovo indicatore per misurare il livello di felicità interna lorda dei suoi cittadini. Si trattava del FIL, acronimo che sta per Felicità Interna Lorda e parte dall’idea che il livello di benessere degli individui non può essere calcolato solo sulla base di parametri materiali, così come avviene per il PIL (Prodotto Interno Lordo), ma deve tener conto di altre variabili altrettanto importanti, quali uno sviluppo socio-economico equo e sostenibile, la protezione dell’ambiente, la promozione e la conservazione culturale, una buona governance.
Si dice che di buone intenzioni siano lastricate le strade che portano all’inferno, certo è che la via percorsa da Diwash pagando un biglietto di sola andata cinquemila dollari è fatta di sogni che presto si trasformano in incubi, in una realtà dove migliaia di senza nome strappano la vita a morsi giorno per giorno, prigionieri condannati da un capitalismo capace di dare sempre nuovi volti ad una pratica antica come quella della schiavitù per costruire nove stadi in cui i calciatori giocheranno al fresco garantito dagli impianti dell’aria condizionata.
Un romanzo corale
Alla voce di questo ragazzo innamorato delle acrobazie di Pelè se ne aggiungono via via molte altre, alcune facilmente riconoscibili, che narrano la propria storia, raccontano il loro passato, allucinano il nostro futuro con una prosa che avvolge e penetra, senza nulla concedere a leziosi barocchismi, evocando concerti meneghini e traversate oceaniche, Woodstock ed il viaggio per l’Italia di Pasolini, le olimpiadi di Messico ’68 e le vicissitudini dello stadio di Torino.
Il lato oscuro dei mondiali di calcio in Qatar è quindi lo spunto di partenza per raccontare molto altro, dai tanti episodi in cui lo sport – ed in calcio in particolare -si sono piegati alla politica ed alla finanza sino alla sempre più incombente crisi climatica. In mezzo i ricordi personali di Silvio La Corte, la sua passione per i Beatles, le sue vacanze estive a Grottaglie, il padre muratore prima e verniciatore poi, con le vesciche sulle palpebre che gli impedivano di chiudere gli occhi.
Ricordare il passato, analizzare il presente, costruire il futuro
Silvio La Corte scrive con la memoria e con il cuore, forte di una passione e di una esperienza che lo guidano lungo le pagine di “Antropocenere”. Al ricordo dei misfatti del passato, spesso sconosciuti ai giovani utenti dei più avanzati motori di ricerca ed immersi nel “qui ed ora” dei social network, si affianca la lucida analisi di un presente che vede i nuovi schiavi sfruttati ovunque, nei fantascientifici stadi arabi come negli arcaici campi di pomodoro pugliesi. Il tutto non per un velleitario distinguo che aiuti il lettore a mettersi dalla parte dei buoni ma piuttosto per orientarne le scelte, per riflettere sulla differenza tra progresso e sviluppo (il progresso è il bene di tutti, lo sviluppo è il vantaggio di pochi), per essere consapevoli che il prezzo che non paghiamo noi lo sta pagando qualcun altro, perché il capitalismo non fa sconti, mai.
“Una domanda, caro Diwash: mancano all’appello più di diecimila persone, secondo i governi dei vostri paesi, lì pare non siano mai arrivati e men che meno partiti per andare via, e allora dove sei, dove sono tutti?”
(dalla quarte di copertina)