Se da un lato il ministero dell’Agricoltura si prepara a mutare il proprio nome, ribattezzato dal Governo Renzi ministero dell’ Agroalimentare proprio in onore del made in Italy, dall’altro non si riesce nei fatti a fornire soluzioni concrete su come risolvere le contraddizioni tra le norme europee e quelle italiane in tema di etichettatura.
Dalla risposta fornita proprio dal viceministro Andrea Olivero, ad una interpellanza urgente dei deputati del M5S, infatti, sembra non essere per nulla scongiurata una nuova procedura d’infrazione da parte della Commissione Ue nei confronti dell’Italia, minando al contempo la tutela delle nostre eccellenze agroalimentari. “Mentre l’Europa stabilisce che la definizione del Paese d’origine delle merci debba essere esclusivamente in funzione del Paese o territorio in cui esse hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale – commenta il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura a Montecitorio – la normativa italiana definisce come ‘made in Italy’ solo quei prodotti la cui materia prima deve essere coltivata o allevata e trasformata in Italia. Pensiamo ad esempio a casi complessi come gli insaccati o il caffè, le cui materie prime vengono in parte o del tutto importate dall’estero ma lavorate in Italia: si possono considerare made in Italy oppure no? Per il risolvere il dilemma il Governo ci ha replicato che è in attesa di una risposta da Bruxelles e che si è affidato ad un sondaggio online rivolto ai cittadini per comprendere cosa vogliono che sia indicato in etichetta ottenendo, com’è prevedibile, un responso favorevole ad una maggiore trasparenza per il consumatore.
Quel che chiediamo, invece, soprattutto in vista della possibile approvazione del Ttip (il trattato Usa-Ue sul libero scambio commerciale) – conclude l’Abbate, è che al consumatore siano date quante più informazioni possibili, anche rispetto al tipo di allevamento per conoscere in quali condizioni vengono allevati gli animali”.