
Non passa giorno, purtroppo, che la cronaca non proponga la notizia di un atto di violenza perpetrato per motivi futili o drammaticamente banali. Assistiamo al paradosso che vede da un lato diminuire crimini come rapine o omicidi e dall’altro aumentare femminicidi, violenza di gruppo, stupri e violenza sessuale.
Occorre dire che la variegata galassia dei mezzi di informazione e intrattenimento, sempre alla più disperata ricerca della attenzione del pubblico, spesso si dedicano al clickbait con titoli ad effetto e profusione di dettagli raccapriccianti, solleticando morbosità nefaste e discussioni tra esperti (veri o presunti) estremamente polarizzati.
Vittime ed appeal
Chiunque abbia un minimo di attenzione a questo aspetto non può non notare che sembra quasi che eventi simili tra loro si susseguano a fasi alterne; c’è il periodo delle aggressioni dei cani e quello degli orsi che feriscono ignari turisti, c’è l’ondata degli stupri di gruppo e quello degli scontri tra bande giovanili, c’è l’assassinio del partner della coppia divorziata e il femminicidio dello spasimante respinto.
In realtà, questi episodi accadono tutti con frequenza costante, ed è solo la malsana abitudine di voler seguire il trend topic del momento che porta in evidenza una tipologia piuttosto che un’altra, non di rado lasciando colpevolmente in ombra fatti più gravi ma che si immagina riscuotano meno attenzione da parte di un pubblico che è sempre più portato a giudizi sommari che a ragionamenti informati.
Solo per citare un fatto acclarato, ignorato però da tanti “giudici da tastiera”, la stragrande maggioranza delle violenze contro le donne sono perpetrate in famiglia o da persone conosciute: coniugi, parenti, amici o conoscenti; e questo con buona pace di chi lancia strali contro le invasioni straniere e in evidente contraddizione con un ministro che parla di “etnie con sensibilità diverse al riguardo“.
I limiti della repressione
Per i motivi detti sopra, all’accadere di eventi più o meno efferati si solleva puntuale il coro di chi invoca pene capitali, detenzioni inumane e punizioni ispirate alla famosa legge del taglione. Sebbene queste reazioni possano essere comprensibili, la efficacia di tali azioni repressive è evidentemente scarsa, se non nulla.
La maggior parte delle soluzioni auspicate non offre nessun conforto alla vittima e, quando e dove applicate, hanno chiaramente dimostrato la loro incapacità di fungere da deterrente. In altre e semplici parole, chi agisce uno stupro di gruppo, l’omicidio dell’ex partner o altre forme di violenza più o meno grave è ben consapevole delle conseguenze legali del suo gesto ma questo non basta a fermarlo.
Appare quindi evidente che al fianco di una azione legale che mira a punire il colpevole nel rispetto della legislazione vigente, che può non piacere a chi sui social network ed in televisione commenta le sentenze senza neppure leggerle, si deve affiancare un altro modo di fare fronte a questa vera e propria emergenza sociale.
Vittime e carnefici
Non di rado chi agisce determinate azioni violente vede la vittima come un oggetto, una “cosa” di cui disporre a piacimento e di cui sbarazzarsi senza troppi rimorsi. E’ un meccanismo psicologico di spersonalizzazione che si innesca – in misura diversa ma con meccanismi simili – in caso di conflitti bellici e di delitti odiosi come lo stupro o il bullismo.
Ricordiamo che in Italia è solo il 5 agosto 1981 con la legge 442 che vengono abrogatele disposizioni sul delitto d´onore e sul matrimonio riparatore e che, con la legge 66 del 15 febbraio 1996 si afferma il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona, che viene coartata nella sua libertà sessuale, e non contro la morale pubblica, un dato di fatto che può aiutare a comprendere perché ancora oggi la vittima di violenza viene troppo spesso fatta oggetto di sospetti e insinuazioni del tipo “se l’è cercata“.
Importante è – anche in questo caso – la attività di ascolto, tutela e assistenza che molte centri antiviolenza e delle associazioni prestano alle vittime ed ai loro familiari, offrendo tutela legale, supporto psicologico e persino alloggio in strutture protette. Nella provincia ionica è operativa la Associazione Alzàia, organizzazione non lucrativa di utilità sociale, che si pone come obiettivo principale l’affermazione della centralità della persona, dei suoi diritti e della loro concreta attuazione e che a Grottaglie ha uno sportello d’ascolto presso la casa comunale.
Educazione e formazione
Appare quindi evidente che è necessario qualcosa di più che la semplice minaccia di punizione, è indispensabile un lavoro di educazione che miri a fornire i giusti strumenti di valutazione non solo razionale, ma soprattutto emotiva e psicologica, delle modalità di rapporto interpersonale e di gestione dei conflitti.
Questo è ancor più necessario nei confronti di giovani ed adolescenti, la cui unica fonte di informazione sono troppo spesso i video su TikTok o – peggio – quelli sulle varie piattaforme pornografiche, in cui la violenza verbale e fisica è mostrata come componente necessaria per chi la agisce e gradita da chi la subisce.
Scuola, famiglia e istituzioni formative dovrebbero quindi – ciascuna nel suo ruolo, competenze e limiti – fornire una educazione che non sia solo anatomico-sessuale, mirata a mettere in guardia da malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate, ma che punti anche ad una educazione emotiva a tutto tondo, capace di far comprendere come comunicare le emozioni, come gestire il rifiuto, come esprimere i sentimenti, come vivere un periodo della vita che porta così tanti cambiamenti.
L’importanza della prevenzione
Al fianco della educazione (nel senso più ampio del termine), va anche considerata la necessità di una costante e mirata opera di prevenzione dei rischi e gestione delle situazioni potenzialmente pericolose. Una opera di formazione che non può essere fatta “una tantum” con incontri di poche ore una volta l’anno, spesso organizzati più per “mettere a posto le carte” che per adottare serie politiche attive ed efficaci.
Che in Italia manchi la cultura della prevenzione è sotto gli occhi di tutti, e ne abbiamo dolorosa conferma ad ogni alluvione, terremoto o incidente rilevante. Ben pochi sono gli enti, sia pubblici che privati, che hanno implementato procedure che prevedano esercitazioni delle procedure di evacuazione o simulazione di emergenze per testare la preparazione del personale.
Pur senza cedere a deliri complottistici o paure esagerate, ciascuno di noi dovrebbe essere consapevole delle tecniche di base per affrontare e risolvere i piccoli e grandi problemi in cui possiamo incappare nella nostra quotidiana vita di relazioni in famiglia, sul posto di lavoro e nel tempo libero.
Avere una minima conoscenza delle modalità con cui gestire un diverbio stradale, affrontare un soggetto visibilmente alterato o prestare il primo soccorso ad una persona in difficoltà può fare letteralmente la differenza tra la vita e la morte. Non si tratta – anche in questo caso – di trasformarsi in novelli “giustizieri della notte” o in paladini invincibili, quanto piuttosto di essere consapevoli dei potenziali rischi a cui possiamo andare incontro e del modo migliore per risolverli.
Quanti ad esempio, sanno se e quando la difesa di un bene può essere legittimamente adottata senza dover passare dalla ragione al torto, affrontando una accusa di eccesso di legittima difesa (o peggio)? Quanti sanno interpretare il segnale universalmente adottato per chiedere aiuto? Quanti hanno memorizzato sul proprio smartphone un numero di telefono da chiamare in caso di emergenza?
Queste ed altre nozioni fanno parte di una corretta formazione nel campo della Difesa Personale che non può e non deve essere limitata ad una mera ripetizione passiva di tecniche fisiche a volte più simili ad acrobazie da circo che ad azioni efficaci, ma deve stimolare la elaborazione di strategie personalizzate piuttosto che offrire risposte preconfezionate, perché i rischi e le conseguenti soluzioni che deve adottare una giovane donna sono ovviamente diversi da quelli che si può trovare ad affrontare un adolescente o un uomo maturo.
Anche per questo motivo, è bene prestare molta attenzione alla scelta di un corso di Difesa Personale; in questo campo molti insegnanti improvvisati fanno più danni delle aggressioni che vorrebbero insegnare ad affrontare ed è per questo che è più che opportuno scegliere chi ha seguito un corso di formazione certificato, si aggiorna costantemente ed è riconosciuto e certificato da Enti affidabili, come avviene per gli insegnanti del Metodo Globale Autodifesa della FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate e Arti Marziali).
Uniti, possiamo fare la differenza
Il compito di programmare ed attuare serie ed efficaci politiche di prevenzione e gestione delle emergenze è, ovviamente, degli enti pubblici e governativi, ma è altrettanto evidente che in uno scenario così variegato e complesso ciascuno può e deve fare la sua parte.
Per questo motivo, anche aziende e industrie private stanno prevedendo nelle loro organizzazioni delle procedure che prevedono la formazione del personale nell’ambito della sicurezza, aldilà degli obblighi previsti per legge.
Si tratta di una scelta di grande valore pratico, perché un ambiente di lavoro più sicuro migliora evidentemente la percezione che il personale ha della direzione aziendale e di conseguenza contribuisce ad aumentare la produttività, la fedeltà aziendale e lo spirito di corpo, diminuendo al contempo la possibilità di mobbing e relative cause legali ed i sempre più frequenti dimissioni volontarie per migliorare la qualità della vita note come “Great Resignation“, un fenomeno sociale ed economico che ha avuto un forte impatto sul mercato del lavoro in Italia e nel mondo.
Significativo è, in proposito, il caso della Knorr-Bremse Rail Systems Italia, una azienda toscana specializzata nella progettazione, produzione ed integrazione di impianti freno di tipo pneumatico, elettro-pneumatico ed elettro-idraulico per veicoli ferroviari, metropolitani e ferrotranviari, che in occasione della Giornata Internazionale della Donna, ha voluto offrire alle dipendenti dello stabilimento di Grottaglie una serie di incontri di formazione sui principi della Difesa Personale.
Una iniziativa che è l’ulteriore dimostrazione di un impegno sociale testimoniato dal quadro che accoglie i visitatori all’ingresso dello stabilimento pugliese, che vede un disco frenante con diverse mani poggiate sulla sua circonferenza ed al centro un fiocco rosso. E’ una immagine che ha un titolo evocativo, “Brake the silence“, che con un efficace gioco di parole richiama il core business aziendale e la necessità di “rompere il silenzio” che spesso sommerge e travolge le vittime di violenza; un disegno in cui il disco freno rappresenta il potere e la forza dell’impegno aziendale nel mettere tutta la forza necessaria per fermare la violenza, con le mani unite e resilienti a simboleggiare la determinazione a bloccare il silenzio che circonda questa sfida.
“Uniti, possiamo fare la differenza”, recita la didascalia che presenta quel quadro ed è un concetto che dovrebbe essere ricordato più spesso in famiglia, a scuola, in azienda e dalle istituzioni per aumentare la consapevolezza di un problema ancora troppo spesso sottovalutato.