Ci sono libri che scegli, altri che possiamo credere ci scelgano, altri ancora che per noi scelgono altri.
In qualunque caso possiamo credere che questo incontro avvenga per una casualità più o meno fortunata oppure – junghianamente – immaginare una sincronia ed un avverarsi di appuntamenti scritti da sempre.
Nella “Geografia di un dolore perfetto” di Enrico Galiano incontri e scontri, separazioni e abbracci, lacrime e risate si sfiorano, confliggono, lacerano il tempo e lo spazio cercando poi di rimettere insieme i pezzi di un puzzle di cui non conosciamo l’immagine originaria e dubitiamo di possedere tutte le tessere.
Un atlante dei sentimenti
Come orientarsi in un mondo ondivago come quello dei sentimenti? Esiste un navigatore per traversare la vita? Qualcuno ha mai compilato un atlante delle emozioni? Si possono affermare dei teoremi apodittici su quanto ogni giorno abbiamo occasione di vivere?
Enrico Galiano ci fornisce la sua risposta, partendo da una intrigante analisi etimologica del termine “geografia”, e ci mostra un percorso di giorni e di anni, in cui il tempo gioca il ruolo di dottore e carnefice, intimando scadenze e concedendo dilazioni.
Al gelo polare di Nando sembra contrapporsi la calda umanità di Paco, ma Uroboro si morde la coda e – ironia della sorte – potremmo scoprire un giorno che la Terra del Fuoco è, nonostante in nome, tutt’altro che calda.
Leggere questo romanzo significa concedersi la possibilità di percorrere una via consolare (e il gioco di parole è voluto) in cui la “regina viarum” ha partenza e arrivo uguali per tutti, ma che ciascuno percorre col suo passo, concedendosi tappe e deviazioni, soste necessarie e improvvise accelerazioni.
Strade e Vie
Il pellegrino si muove su un percorso che è prima di tutto intimo; in fondo non importa “dove” si arriva, quanto “come” e – soprattutto “chi” giunge a quello che riterrà essere il suo traguardo, definitivo o provvisorio che sia.
Ad orientarlo potranno essere i consigli dei viandanti più esperti, le tracce lasciate da chi lo ha preceduto ma – soprattutto – le sensazioni che proverà nel muovere i suoi passi perché, parafrasando Castaneda, una Via che non ha cuore, non ci porta in nessun luogo che valga la pena raggiungere.
Potremo viaggiare in auto o in aereo, essere in un bel villaggio vacanze in una isola croata oppure nella sala di aspetto di un aeroporto spagnolo, in una stanza d’ospedale in cui un uomo anziano strappa gli ultimi momenti alla vita o nella penombra di un corridoio in cui un bambino oscilla tra sogno e veglia, tra desiderio e realtà, tra ciò che è e ciò che vorremmo fosse, coniugando a nostre spese un neologismo come “spezzanza”.
Mappe e segnali
La mappa non è il territorio, ammonisce Gregory Bateson; e la parola non è la cosa, gli fa eco Alfred Korzybski. Vale per la geografia fisica e vale per la geografia emotiva.
Con un linguaggio semplice (ma tutt’altro che banale…) Enrico Galiano parla di sé e parla di tutti, raccontando una storia in cui realtà oggettiva e memoria collettiva si fondono in un atanor alchemico da cui scaturisce la pietra filosofale in grado di inumidire gli occhi e sorridere il cuore.
Se amate le canzoni di Vasco Rossi e Gianluca Grignani, se allontanate gli altri per timore che vadano via, se non fate domande per paura delle risposte ma anche se per voi è vero esattamente il contrario, “Geografia di un dolore perfetto” è il libro che dovreste leggere.
Scoprirete che – per dirla con Nietszche – il dolore non fa da opposizione alla vita e che soffrire ci permette di scoprire cosa è davvero la felicità. Potremmo poi dolerci di aver perso troppo tempo o essere lieti per non averne perso di più; in questi casi il tempo è relativo e ciò che conta è il qui ed ora.
“Geografia di un dolore perfetto” è un romanzo con tre (o due?) protagonisti, ma non commettete l’errore di trascurare i personaggi femminili solo apparentemente in sottofondo, che sono poi quelli che completano e danno spessore all’ordito della trama: madri, mogli, zie, amanti, cugine; ciascuna a suo modo attende e sprona, indica e guida, accoglie e lascia, un po’ Penelope e un po’ Parca, capace e consapevole di dover fare ciò che va fatto, nonostante tutto.
Quando sei bambino tuo padre è un supereroe. Nessuno ti spiega che anche i supereroi possono cadere e farsi male, e soprattutto farti male. Pietro lo sa fin troppo bene: suo padre lo ha abbandonato quando era ancora un ragazzino. L’unica cosa che gli ha lasciato è quella che lui chiama spezzanza, la sensazione di essere spezzati, di vivere sempre a metà. Eppure Pietro ha un vita perfetta: è diventato un professore universitario e ha una moglie e un figlio che ama. Fino a quando riceve una telefonata che cambia tutto. Deve andare a Tenerife il prima possibile: un viaggio in aereo attraverso il mare lo divide dall’attimo più importante della sua vita. Pietro corre, e più corre più si rende conto che sta andando incontro al vero sé stesso e ai suoi fantasmi. Sono lì a ricordargli che capita, a volte, di trovarsi all’improvviso lontanissimi da sé stessi, così tanto da non sapere più chi si è veramente: come i punti che gli atlanti chiamano «poli dell’inaccessibilità», quelli più lontani e irraggiungibili del globo. Quando succede, i geografi dicono che, per salvarsi, l’unica cosa da fare è guardare su. Cercare una stella, e poi andare dritti dove dice lei. Può avere i contorni di un amore o di un dolore. Di un desiderio o di una paura. Perché a volte non siamo nel posto sbagliato, stiamo solo cambiando. A volte arriva il momento di fare pace con tutte le ferite di quando si era bambini.
Enrico Galiano apre la sua anima ai lettori in un romanzo che indaga il rapporto più antico, autentico e complicato: quello tra figlio e genitore. Un romanzo che pone una domanda che va dritta al cuore: quando si smette di essere figli? C’è un giorno, un momento, una linea che si supera e poi non si è più figlio di qualcuno, ma solo un uomo o una donna? Con la sua inconfondibile delicatezza, Enrico Galiano ci regala una prova di narratore maturo con una storia avvincente e coinvolgente. Una storia che, pagina dopo pagina, diventa sempre più la storia di tutti noi.
(Dal risvolto di copertina)