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Giada è una adolescente come tante, con i suoi sogni e le sue paure, le sue speranze ed i suoi dubbi, le sue certezze – forti dell’entusiasmo dei suoi giovani anni – e le sue illusioni – figlie di un mondo che ancora non le ha spente con il caustico acido della realtà.

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Giada ha poche convinzioni, ma tra queste c’è il lavoro che vorrà fare “da grande”: essere una analista nei laboratori del Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri, quel RIS tanto spesso citato nelle cronache ed in alcune fiction di successo.

Con questa certezza Giada ha frequentato le scuole elementari prima e medie poi, preparandosi al meglio per quel percorso di studi che l’avrebbe portata al suo obbiettivo, e poco importava che i suoi brillanti risultati anche nelle materie umanistiche portassero le sue insegnanti a consigliarle di valutare anche altri percorsi di studi.

Una scelta scontata, o forse no

Giunta al momento di scegliere l’istituto superiore, l’iscrizione sembrava poco più di una formalità; Giada – accompagnata dai genitori – partecipa ad un open day della scuola che sembra fatta al caso suo: moderna, dotata di laboratori d’eccellenza, facile da raggiungere al centro di Taranto, con un corso di studi che la avrebbe preparata al meglio per la successiva progressione universitaria.

Ma come spesso accade nella vita, c’è un però. La nostra esistenza – purtroppo o per fortuna – non è una equazione matematica, e negli eventi di tutti i giorni non sempre due più due fa quattro.

Tutto è perfetto eppure nulla sembra come dovrebbe essere, come si dice in questi casi “non scatta la scintilla” e Giada vede crollare in un attimo i suoi sogni senza avere un piano di riserva.

“Crisi, dal greco: giudizio, decisione”

E’ crisi, crisi profonda. Il progetto perseguito per anni sfuma in un soffio, ed al suo posto nulla, nessuna alternativa. Il tempo passa, Giada partecipa ad altre giornate di presentazione di numerosi istituti della provincia ionica, ma quella benedetta scintilla non scatta, e Giada si trova a dover abbandonare il sogno della bambina senza avere ancora l’obbiettivo dell’adulto.

Gennaio sta per finire i suoi giorni, il “Moscati” di Grottaglie organizza anche il suo “open day”, si presentano i corsi del liceo scientifico e del classico. Giada non ha mai pensato ad un liceo ma la madre la invita a partecipare lo stesso, oramai il tempo stringe e lo scientifico internazionale – con il suo curriculum di scienze applicate – può essere una buona alternativa. Nel programma della giornata però c’è prima la presentazione del classico; oramai che ci siamo – avrà pensato Giada – facciamo anche questo.

Giada entra, assiste alle presentazioni di rito, poi una professoressa legge il passo dell’Iliade in cui Achille commemora Patroclo, morto per mano di Ettore. E’ un lampo in cui il tempo si ferma, è una epifania, una illuminazione.

L’eternità di un attimo

Giada sente l’emozione nelle parole di quella insegnante, percepisce che non è arida cronaca, asettico racconto, narrazione ruffiana e viene travolta da sentimenti universali ed eterni: amore, amicizia, dolore, orgoglio assumono un significato fatto di carne, sangue e vita vissuta e sofferta.

In quell’istante Giada decide che quello è ciò che vuole fare, vuole leggere ancora quelle parole, scoprirne il significato profondo, rivivere le emozioni che evocano, sentirle ancora attuali nonostante le migliaia di anni che hanno.

Giada scopre un mondo mai immaginato, impara che i greci avevano quattro parole diverse per esprimere il concetto di tempo, che lo studio di queste lingue – a torto ritenute morte – richiede prima di tutto imparare delle regole che non sono comodi recinti in cui rinchiudere un intelletto pigro ma attrezzi con cui forgiare gli strumenti della conoscenza, ha la conferma che quello che successo nel passato può essere bussola e mappa per esplorare il presente e immaginare il futuro, perché è su quelle lingue, su quelle culture che si è costruito il nostro mondo.

Giada entra alla presentazione del liceo scientifico ma dopo una decina di minuti fa chiamare la madre per farsi venire a prendere, oramai ha deciso, inutile rimanere li.

Metti una sera a cena

Giada mi racconta questo in una sera d’estate, ad una cena tra amici a cui partecipo insieme ai genitori. Con un pizzico di cinica invidia le chiedo se poi il primo anno di studio abbia confermato le sue sensazioni iniziali, se insomma dal colpo di fulmine sia sbocciato l’amore.

Assolutamente si”, mi risponde senza esitazioni, lasciandomi per un attimo sorpreso dalla sicurezza con cui una adolescente pronunci un avverbio che si presterebbe a certezze più adulte. “Anzi – aggiunge – è andata anche meglio, i professori sono fantastici ed io sono felice della mia scelta”.

Il racconto prosegue, scopro che il liceo classico – un tempo fucina preparatoria della futura classe dirigente – oggi sconta una sorta di crisi delle vocazioni a favore di corsi di studi apparentemente più al passo con i tempi, che in classe di Giada – una prima – sono poco più di una decina di alunni, in un istituto che ha da tempo il problema di trovare nuove aule in attesa di una sede unica, la cui promessa ricorre ad ogni campagna elettorale.

La lezione che ho imparato

Lo smartphone di Giada si illumina, lei si scusa e si allontana per rispondere ad una amica, io rimango a riflettere su quanto noi adulti, con un singolo gesto, a volte inconsapevole, possiamo – nel bene e nel male – orientare per sempre la vita dei nostri ragazzi.

Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”, scriveva Plutarco più o meno duemila anni fa, già allora c’era il problema di caricare sulle spalle dei ragazzi un eccesso di nozioni piuttosto che fornire gli strumenti per affrontare il mondo.

Il dibattito tra conoscenza e competenza andrà prima o poi affrontato, anche alla luce di tutti i limiti della tecnologia mostrati dalla Didattica a Distanza nell’era del Covid-19. Fare lezione non è solo affacciarsi da uno schermo sperando che l’audio sia comprensibile, che l’immagine sia chiara, che la connessione regga; fare lezione è assumersi l’onore e l’onere di aiutare un ragazzo a comprendere il suo presente ed a costruire il suo futuro, fare lezione è essere profondamente consapevoli del significato etimologico tra insegnare ed educare, fare lezione significa sapere che tra decine di anni potremo essere ripensati con gratitudine, rimpianti con nostalgia o ricordati con odio, fare lezione – nel senso più ampio e generale del termine, che va bel oltre la scuola e coinvolge l’idea stessa di formare chi a noi si affida – è tutto questo e molto di più.

Mi auguro di ricordarlo quando avrò di nuovo la possibilità di trasmettere la mia esperienza a chi è all’inizio del suo percorso, mi auguro ne siano consapevoli coloro a cui è affidato l’impegnativo ed esaltante compito di decidere come affiancare il percorso delle donne e degli uomini di domani.

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