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Non è da trascurare il fatto che Taranto abbia avuto intellettuali del Novecento di primo piano che si sono confrontanti con la tradizione letteraria universale. Mi riferisco a Giacinto Spagnoletti e Cosimo Fornaro. C’è un percorso dantesco che ha attraversato alcuni studiosi e scrittori contemporanei nati in terra di Magna Grecia, l’antica Magna Grecia, che ha proposto chiavi di lettura di una acutezza significativa. Sul versante prettamente linguistico. Sul versante estetico e filosofico. Sul versante poetico e metafisico.

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Un Dante che si attraversa grazie a una interpretazione di scelte testuali che indirizzano lungo un viaggio marcatamente poetico e letterario tout court come il caso di Giacinto Spagnoletti (Taranto 1920 – Roma 2003) che, tra l’altro, ha lavorato a un pregevole e “leggero” testo nei Tascabili della Bompiani, nel 1989, dal titolo: “Dante e l’Umanesimo”, curato da Enzo Golino con la consulenza di Maria Corti, un disegno di Tullio Pericoli.

Spagnoletti, in questo lavoro, ha scritto una articolata Introduzione proponendo una precisa scelta dei testi con le relative note. In questo libro c’è, sostanzialmente, il Dante di Spagnoletti che ha una precisa interpretazione, non accademica e “pallosa” che non ha, finalmente, l’obiettivo di una antologizzazione ma di far discutere sulla poesia di Dante. Di un Dante non filosofo e tanto meno meta-linguistico. Ma di un Dante che ha, nel corso del verso, la poesia che resta, ovvero quella poesia che attraversa, senza schemi critici precostituiti, la lungimiranza dell’Umanesimo, superando l’irritabile Illuminismo e le sfaccettature di un Ottocento tutto intriso di Romanticismo e Risorgimento caduto nell’incompiutezza sino ad una proposta di lettura che trova il verso dantesco stesso dentro il Novecento.

Spagnoletti, che è un attento studioso di una letteratura italiana e europea, non si affida e non si fida della storia, ma misura il Dante del legame tra poesia, amore e tempo senza sciogliere le trecce delle filosofie.

Un Dante metafisico, affascinante e mistico lungo le vie del simbolismo esoterico, lo si trova in Cosimo Fornaro (Pulsano – Taranto 1928 – Taranto 1992) nel suo distillato impatto metaforico e mitico – proustiano che si legge nel testo “Costellazione Dante”, Borla, 1989.

Un Fornaro che legge Dante per matrici simboliche proprio servendosi di quella griglia mistico – religioso – archetipica che è la “costellazione”. Un proposta di lettura che si allontana, come quella di Spagnoletti, dal Dante della scuola per farla entrare nella vita. Per compiere questo lavoro si serve di alcuni principì fondanti che sono dettati dal rapporto tra magia e sacro. I riferimenti sottolineano elementi della storia ma vanno oltre e focalizzano l’attenzione su un Dante la cui modernità ha una visibilità antropologica.

Mi sembra che sia Spagnoletti che Fornaro innovano la lettura classica di Dante e colgono nei suoi versi la lingua della poesia e la metafisica dello scavo esistenziale. I due lavori hanno la stessa data, come si può evincere. Ma mentre Spagnoletti fa un lavoro a ragnatela all’interno di una letteratura il cui incipit segna la svolta stilnovista che giunge sino all’Umanesimo, Fornaro crea degli intrecci formidabili come quelli con Pound, nel quale si vive, in un viaggio indefinibile, l’universalità dei “Canti Pisani” e con Kafka, il cui senso è nell’ironia del mistero.

Fornaro “spia” il rapporto che Leopardi e Pascoli hanno con Dante in un passaggio tra l’età pre e post romantica e una temperie decadente.

In Spagnoletti la lezione sveviana si filtra nella proposta coraggiosa di Dante. In Fornaro c’è una lettura della poesia contemporanea che rende Dante contemporaneo in un metafora dello sguardo dell’estetica della critica.

Due aspetti che fanno prevalere in Spagnoletti il sentimento del frammento e in Fornaro la ricerca dei simboli nella “Commedia”. Ma un dato caratterizza e accomuna i due scrittori e studiosi che è quello di rendere non solo attuale ma anche contemporaneo Dante, senza accettare i passaggi della “costruzione” poetica.

Ed è un fatto “liberatorio” per chi non accetta, come me, la complessità o la totalità poetica in Dante. Certo, gli studi di Marti, Binni sino al raccontare “magistrale” di Mario Tobino restano dialettiche critiche ed estetiche, ma entriamo in altri discorsi che qui non mi riguardano.

Nello scrigno del classicismo tradizionale si collocano due altri studiosi che hanno radicamento magno greci: Giuseppe Troccoli (Lauropoli, Cosenza, 1901 – Firenze 1962) che spesso ha avuto rapporti con Taranto insegnando anche al Liceo Ginnasio “Archita di Taranto e Pasquale Lamanna (Amendolara, Cosenza, 1903 – Gragnano 1990), la cui cittadina è proprio uno sguardo nel Golfo di Taranto.

Il primo ha pubblicato nel 1948, con Le Monnier, i suoi “Saggi danteschi” e nel 1951 “Il purgatorio dantesco” con La Giuntina. Sul filo della tradizione e della metodologia rigorosamente cattolica. Annotazioni critiche nel mio saggio su “Troccoli critico”, Prospettive Meridionali, 2011.

Sulla stessa linea è Lamanna nei suoi saggi “Un Dante per noi” del 1965 e “Paolo e Francesca” 1984 – 1985. Ora in Pasquale Lamanna, “Scritti”, a cura di Tullio Masneri, Il Coscile, 1998. Un Lamanna che non ha alcun dubbio: “Noi sentiamo più vicino, più affine al nostro spirito, il poema di Dante, che non il ‘Faust’ di Goethe”.

Una ricontestualizzazione in un processo culturale in cui la letteratura formatasi sulle rive di Taranto ha letto Dante offrendo diverse interpretazioni e questo è una cifra di come il contemporaneo non smette di leggere i modelli della tradizione ma ha anche l’autorevolezza di una interpretazione originale come nel caso di Spagnoletti e Fornaro, scrittori della Magna Grecia, i cui testi andrebbero vissuti in una dimensione sia letteraria che simbolica o simbolista spogliando il tutto dell’“antico” che sfugge alla contemporaneità. Spagnoletti e Fornaro sono stati due intellettuali, scrittori, critici e poeti, che portano alto il nome della letteratura del Novecento.

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