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Il falò nella ritualità delle feste assume un’importanza particolare, ma, a volte, si veste di una ambigua interpretazione.

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Il falò è il fuoco della purificazione, ma anche della perdizione. Nelle culture primitive si viveva un passaggio in cui le civiltà assorbivano il senso delle stagioni. I territori italiani, durante le feste religiose, assumono contorni e dimensioni abbastanza articolate nella ricchezza eterogenea delle tradizioni.
Il concetto di festa viene vissuto attraverso una “regola” di modelli in cui la tradizione diventa fondamentale. Insiste una religiosità popolare che non è mai pagana tout court, perché ha sempre contorni che rimandano alla tradizione cristiana e, chiaramente, pre-cristiana.

C’è una ritualità che diventa espressione antropologica all’interno dei vissuti delle comunità. Si pensi, appunto, ai falò delle feste religiose. Il mondo pagano diventa religiosità popolare. Un appuntamento di primaria importanza attraverso il quale si intrecciano tradizioni popolari ed espressioni cristiane. Religiosità antropologica e “carisma” cristiano. Il falò di San Ciro a Grottaglie diventa l’espressione di tutto ciò. Come i falò di San Giuseppe durante il mese di marzo.
La religiosità popolare trova una delle sue espressioni più altre in forma etno – antropologica nella Settima di Pasqua e nei Riti Santi e nelle celebrazioni in cui il falò è elemento, appunto, di visione rivelante. Si pensi a quelle comunità in cui i riti e la liturgia si svolgono ancora secondo i canoni bizantini e ortodossi nella concezione cristiana.

Si riporta nella trasparenza del fuoco del falò il volto della santità cristiana ed è una riflessione profonda che si distacca completamente dal rito che si intreccia in un vocabolario che è quello mitico, archetipico, simbolico applicabile nelle letture primitive e pagane.
La Chiesa si spiega anche attraverso i simboli. La distinzione è fondamentale. Io credo che è giusto vivere i due momenti separati, comunque articolati in un humus umanizzante. La Chiesa ha la sua storia che è dentro la sacralità dell’Evento. Ogni festa ha i suoi riti e le sue sagre. Si pensi alle culture primitive.
Si pensi ai racconti pavesiani e demartiniani. Il sacro, come ontologia rivelante, non ha sagre collegabili alla santità. Paolo parlava le lingue del mondo e in ogni agorà trovava il giusto scavo per comprendere le comunità nel segno di Cristo nella fede. Il sacro sottolinea la sacralità. Il “profano” che si lega al sacro è altra cosa. Nella società delle antropologie comparate non si possono scindere i due aspetti. D’altronde è, tale rapporto, una componente fondamentale per tutte quelle etnie storiche, il cui valore emblematico è dato anche dai codici culturali. Il falò resta legato alla contaminazione delle etnie in una chiave di lettura che permette di collegare la visione del fuoco a quella del canto e questo alla danza.

In tale contesto rientrano anche i fuochi pirotecnici, ovvero gli “spari” colorati che hanno la griglia simbolica della festa, ma la metafora del “botto” con i colori porta ad una interpretazione multietniche. I colori di tali lanci pirotecnici forma un arcobaleno ed è qui che avviene la contaminazione dei colori, ovvero delle civiltà, ovvero della complessità della diversità degli incontri tra appartenenze di popoli.
L’influenza delle tradizioni mediterranee trova una chiave di lettura significativa nel rispetto delle cesellature rituali e nelle funzioni delle festività (laiche o religiose). Il Mediterraneo trasmette una cultura che è quella del mare inteso in senso geografico e reale, ma anche considerato come proposta metaforica nel senso che traccia itinerari di viaggio.

I fuochi di terra e i fuochi di mare sono un ulteriore intreccio metaforiche di incontri di popoli. Soprattutto queste tre realtà: Taranto, Brindisi Lecce e la Calabria, in una geografia popolare del Mediterraneo, sono culture della tradizione che provengono dall’attraversamento del mare, al di là di una definizione prettamente cronologica, e giungono a fermarsi in un porto chiamato terra.
In Sicilia il rito interagisce con il mito. Come in Calabria. Come in Puglia. Sono Feste legate ad una antropologia del territorio in cui convivono antropologia, paganesimo (mondo pre-cristiano) e cristianità. Dal misto al sacro. Coesistono e convivono nelle “liturgie” delle feste. Il punto centrale resta la Festa. Il concetto di festa è un insieme di mito e sacro che si adagiano sul Rito.

Ci sono rimandi e modelli originari di primaria importanza. Il mondo dei culti mediterranei nella civiltà religiosa diventa un emisfero, in cui le antropologie interagiscono con una religiosità ufficiale: quella pagana, appunto, e quella teologica. Si tratta, chiaramente di un bene immateriale che si serve del bene materiale. Si incontrano due elementi importanti: la storia e la letteratura.
Il mondo Mediterraneo è una eredità neolitica che si intreccia a usi e costumi, riti e tradizione del Regno delle Due Sicilie, il quale ha assorbito la grecità come scavo classico e la Mesopotania e l’Egitto come fulcro pre-classico e primitivo – selvaggio. In quelle realtà territoriali in cui non è presente la religiosità popolare cristiana si avverte la necessità di riproporre una precisa ritualità rispettando un confronto che è diventato storico ed epistemologico.
I Riti sono diventati tradizione in un vissuto prettamente antropologico. Anche la “teologia” si serve dell’antropologia. Il falò e i fuochi hanno intrecciato il senso storico e quello che ha come centralità il mistero.

La storicità è dentro la cultura popolare cristiana. Il mistero è una componente delle civiltà avanti Cristo. Una tradizione dei rimandi e delle comparazioni nella composizione delle feste che vivono il rito come dimensione delle civiltà oranti e delle civiltà greco – latine, le quali hanno radici nel tempo della pre – storia. In fondo l’antropologia del falò e dei fuochi è un tracciato di una ritualità che diventa tradizione.

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