«Il 21 gennaio 1921 nasceva il Partito Comunista Italiano.» Lo ricorda in una nota l’assessore regionale allo Sviluppo Economico Mino Borraccino.
«Al di là dei giudizi che ciascuno può dare oggi di questa grande forza politica – prosegue Borraccino, resta un fatto incontrovertibile: il PCI è stato una grande scuola culturale di massa. E’ quello che oggi manca alle persone e soprattutto alle giovani generazioni, così disorientate dalla baraonda mediatica in un’epoca in cui la mole confusa dei messaggi brevi e taglienti fa impressione, ma fa perdere di vista il contesto, le prospettive e, in definitiva, la lucidità.
Quello che manca oggi è un nuovo orizzonte culturale a cui attingere per tornare a quei sogni e di quegli ideali che hanno animato due secoli di lotte e di speranze, sopraffatte da dosi sempre più massicce di realpolitik.
Il PCI esprimeva una grande scuola culturale e politica. Una realtà che hanno vissuto quanti, come me, sono stati iscritti al PCI, alla Federazione Giovanile (l’indimenticabile FGCI) e hanno avuto la grande opportunità di seguire i corsi formativi che il Partito organizzava alle Frattocchie.
Una scuola culturale e politica che faceva paura sia ai sovietici che agli americani: non è un caso, infatti, che sia l’URSS che gli USA guardassero con preoccupazione ai cambiamenti politici che avvenivano in Italia. Basta osservare con attenzione l’esperienza che l’on. Gero Grassi ha fatto come membro della commissione d’inchiesta sul caso Moro, per scorgere anche in quella tragedia il ruolo opaco svolto dalle due grandi potenze.
Il PCI è stato un riferimento importante nelle storie individuali di milioni di donne e di uomini del nostro Paese. Nella seconda metà del secolo scorso ”essere compagni” ed avere in tasca la tessera del PCI costituiva un preciso segno distintivo. In qualsiasi città italiana si trovasse, anche la più sperduta, un compagno del PCI poteva recarsi in una sezione del Partito, sapendo di esservi accolto con cordialità e affetto. Tanti meridionali emigrati al nord hanno ricevuto la prima accoglienza nella locale sezione del PCI.
E poi al PCI hanno guardato con speranza i tanti contadini che hanno imparato “a non togliersi il cappello davanti al padrone” e a chiedere, con dignità, il rispetto dei propri diritti, diventando finalmente dei cittadini a tutti gli effetti. La figura e l’opera di Giuseppe Di Vittorio resta indimenticabile, da questo punto di vista, non solo per noi pugliesi, ma per tutte le masse degli sfruttati nel nostro Paese. Da grandi speranze come questa nasce quel clima politico che portò a inserire nella nostra Costituzione quell’art. 3 tuttora insostituibile riferimento per i sinceri democratici.
E’ semplicemente per questo – conclude Borraccino – che anche chi non è mai stato comunista e chi non ha potuto esserlo, come i tanti giovani di oggi, ricordano con rispetto il PCI e spesso lo rimpiangono.»