Ogni decennio ha l’acronimo che si merita.
Quello che nel secolo scorso seguì la ribellione del maggio francese in attesa della immaginazione al potere aveva l’ODG, abbreviazione che indicava l’ordine del giorno che scandiva riunioni, assemblee e comitati centrali. Seguì ODB, sigla che spesso usava per firmare i suoi scritti Oreste del Buono, mai troppo compianto e ricordato scrittore e giornalista che ha tra i tanti meriti quello di aver dimostrato che anche con i fumetti si possa far cultura (la citazione – neppure troppo nascosta – è del tutto volontaria). Ad aprire il decennio del nuovo secolo è ODP, quello che diventerà un vero e proprio logo dei reggiani Offlaga Disco Pax, che con il loro “Socialismo Tascabile (prove tecniche di trasmissione)” nel 2005 deflagrarono in un panorama italiano orfano di troppe attese.
Nel 2014 gli Offlaga Disco Pax si sciolgono a causa della morte per malattia del bassista Enrico Fontanelli e per precisa e coerente scelta degli altri due membri del gruppo – Max Collini e Daniele Carretti – che proseguiranno lungo altre strade musicali. Cosa avrebbe potuto ancora produrre il progetto ODP non lo sapremo mai, quante altre storie ha da raccontare Max Collini invece lo sappiamo grazie alla sua partecipazione al progetto “Spartiti” con Jukka Reverberi ed altre iniziative che lo vedono in qualche modo protagonista.
Ultima in ordine di tempo è “Dagli Appennini alle Ande”, uno spettacolo teatrale approdato al circolo ARCI “Il Circo della Farfalla” di Francavilla Fontana per la sua unica data in Puglia. Un’ora di racconti e letture, ricordi e aneddoti che restituiscono il clima di anni appena trascorsi eppure – a volte – apparentemente lontanissimi. Che racconti con parole altrui della disavventura che coinvolse alcuni ultras del Bologna nella alluvione del Tanaro che colpì Alessandria nel ’94 o del fascistissimo personaggio che alla fine della guerra dovrà scontare una improvvida affermazione che lo accomunerà – obtorto collo – ad alcuni personaggi della Justine di De Sade piuttosto che di sue personalissime esperienze, come l’incontro a distanza di anni con una ex fidanzata citata in una canzone o il colloquio durante un viaggio in treno con una giovane ammiratrice che si rivelerà poi la fidanzata del frontman di un (abbastanza) noto gruppo musicale italiano, Max Collini dà il meglio di sé, amplificando ed esaltando la sua vena istrionica, ancor più evidente grazie alla mancanza del sottofondo musicale.
Per chi ha da tempo superato gli “anta”, per chi sa che quando si parla di “Sol dell’Avvenire” non ci si riferisce alle previsioni meteo, per chi oggi ricorda affermati cantanti quando erano sconosciuti tecnici del suono o sedicenti leader imbolsiti quando erano giovani di più o meno belle speranze questo spettacolo è un vero toccasana. Il titolo dello spettacolo – smaccata citazione deamicisiana – fa riferimento a un brano che da solo varrebbe prezzo del biglietto e viaggio per parteciparvi, ma sul palco c’è di più, molto di più, a cominciare da un totem di libri muto ma espressivissimo, che nei titoli e autori presenti racchiude il fil rouge dello spettacolo (e non solo).
Parlando di ieri Max Collini fa riflettere sull’oggi i suoi coetanei e quelli che potrebbero essere suoi nipoti, se “Sendero Luminoso” richiede forse conoscenze storiche che non appartengono a tutti, la gag del sondaggio finale per far scegliere al pubblico l’ultimo brano da interpretare è una stilettata nel più limpido esempio del “castigat ridendo mores”.
Ci si diverte – e tanto – durante lo spettacolo, ma altrettanto si ricorda e si riflette, si ricordano scelte di campo, a volte si perdona ma mai si dimentica, raccontando episodi che – per dirla con Collini – sono “storie e non Storia”.