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Il vantaggio della realtà è che non deve essere verosimile per essere reale”. Non c’è forse frase migliore per descrivere il certosino lavoro di Carmelo Currò Troiano, che unisce il rigore filologico dello storico alla passione del ricercatore che indaga le piccole grandi storie del territorio.

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Chiunque sia appassionato di serie TV alla “Dallas” o “Beautiful” dovrebbe leggere piuttosto uno dei suoi libri, frutto di anni di pazienti ricerche e di ragionate ricostruzioni genealogiche per lasciarsi affascinare da storie familiari che nulla hanno da invidiare a saghe letterarie come quella dei Malavoglia di Verga o dei Buddenbrook di Mann, popolate da nobili e avventurieri, alti prelati religiosi e condottieri d’arme, abili mercanti, sottili diplomatici e dame del bel mondo. Esemplare, a questo proposito, la sua ultima opera, dedicata alla storia della famiglia Mirto ed intitolata – non a caso – “La Dinastia”.

Dalle origini calabresi sino ai territori campani di Eboli e dintorni, spaziando sino alla Puglia ionica e adriatica senza dimenticare la principali capitali europee dei secoli scorsi. In questo agile libretto convivono e si incastrano alla perfezione i risultati delle evidenti passioni dell’Autore, supportate dalle sue non comuni capacità. Come rimarca Ronald Ward nella sua presentazione, “Il lavoro di Carmelo Currò fa ancora una volta luce su una famiglia ma anche su molti differenti aspetti di storia religiosa e civile”; un lavoro che non abbiamo dubbi nell’immaginare non facile e neppure breve, che avrà richiesto minuziose indagini genealogiche e puntigliose verifiche in campo, consultazione di vecchi registri e moderni siti internet, analisi lessicali e rigore filologico. Un lavoro certosino e ben lontano da egoistici autocompiacimenti, tanto da portarci a credere che proprio l’essere in qualche modo “parte in causa” abbia spinto Carmelo Currò ad essere – se possibile – ancor più preciso e puntuale. Per crederlo, basta leggere quanto lui stesso scrive nel primo capitolo del libro, dove senza false ipocrisie afferma che: “La filologia, quando non è maltrattata, è una scienza essenziale, un campo da percorrere con spirito critico, in cui una parola può avere un significato ben diverso da quello che si suppone. I sedicenti storici, genealogisti ed esperti, invece, incuranti di ogni diversa possibilità, si innamorano e si stabilizzano sulle loro ipotesi, troppo facili, secondo la legge più elementare della filologia, e quindi sempre false, indimostrabili ed immaginifiche”.

Specie alle giovani generazioni, abituate a consultare un motore di ricerca nella Internet per ogni più semplice domanda, potrebbe non essere da subito evidente la portata di un simile lavoro; una indagine genealogica è ben più che l’esplorazione a ritroso di un lignaggio familiare. Come ben spiega proprio Carmelo Currò, quando nota che: “Naturalmente esistono moltissimi cognomi identici al nostro Mirto, senza che l’origine familiare sia la stessa. Le cause sono sempre simili a quelle che si verificano per ogni cognome”, condizione che si verifica in maniera molto frequente quando ci si rifaccia ad onomastici, a toponimi, a mestieri o ad animali veri o immaginari. Occorre allora separare il grano dalla crusca, evitare di cedere alla tentazione di concedersi passati meravigliosi ed attenersi ai fatti documentati, che – ripetiamolo – forniscono comunque materiale in abbondanza a chi voglia e sappia cercare.
Carmelo Currò, nel centinaio di pagine de “La Dinastia”, prende il lettore per mano, lo guida con una prosa limpida e scorrevole attraverso pagine di storia familiare e mondiale, gli mostra gli intrighi del potere e la difficoltà del governo, gli racconta di matrimoni d’amore e di interesse, di eredità contestate e di nepotismi che erano la regola, narra di figli di papi e di vescovi in odore di santità, il tutto con una dovizia di note e di date in grado di soddisfare anche lo storico più esigente.

In altre e semplici parole, per dirla ancora come il Ward: “Carmelo Currò ha saputo indagare, far riemergere storia e storie, restituire memoria a grandissimi uomini che da Parigi ad Eboli si comportarono come erano soliti fare i nobili veri, così lontani dalle immaginazioni cinematografiche comuni e dalle invenzioni risorgimentali. Uomini i cui ideali furono lotta, obbedienza, sacrificio, amore per i poveri, devozione alla Chiesa. Ci crediate o no”.

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