Con il passare del tempo sono sempre di meno le pubblicazioni di testi in forma dialettale, presentati in molte zone della penisola.
In questo articolo saranno analizzati le opere del prof. Luigi Vellucci, tarantino, che ha iniziato, con gran successo, la pubblicazione , a partire dal 1990, restando ligio a quella lingua madre che egli aveva appreso giocando nei vicoli del borgo.
Ad una creazione inizialmente in vernacolo, che è un voler scandagliare nella sfera dei ricordi, si sono succedute opere di narrativa e di poesie, in lingua italiana.
“’A scogliera d’ore”, “Tarde…A piccenna meje”, “Fantasia Tarantina”, “Natale de ‘na vote”, “Il braciere”, “Settimana d’amore (U trucculande)”, “Eleonora” e “Sulle ali del cuore”, “Io FedericoII”.
L’autore è sempre alla ricerca della parola giusta e ad effetto, che riesce a trovare, facilmente, da una lingua parlata, quella tarantina, non ricca di molti vocaboli, e collocare, al punto esatto, con facilità ed efficacia. E’ necessario ringraziare, più volte, gli studiosi dell’idioma per l’opera di ricerca, meritoria, che essi svolgono e per il messaggio che, alcuni di loro, portano nelle scuole.
Per scrivere in dialetto occorrerebbe pensare nello stesso modo e soprattutto avere una grammatica. La generazione degli anni quaranta, forse è quella che può ancora esprimersi nella lingua paterna. Dopo, i ricordi non prendono più forma e sono come la sabbia che, stretta tra le mani, sfugge. Non è un caso che i tempi “de ‘na vota” siano quelli sui quali si sofferma e scava, in profondità, il poeta e scrittore Vellucci per riportare alla luce sentimenti religiosi e popolari legati alle tradizioni e per descrivere i vari personaggi tipici della città. Capita leggendo i libri di sentire il profumo delle pettole, di vedere le carteddate e le “sannacchiudere” ben appoggiate sopra “o cascione” nella casa della nonna. Passeggiando per le strade s’incontra Marche Polle “ca camine chiane chiane trascenanne le cepòdde. Uè ‘na bbuste? Addummanne a tutte quante”; Don Cataldine “tazze e buttiglie”, Ciccio Cauro, Finanicchio ed altri personaggi che la fantasia dell’autore ha creato; per le strade si ascoltano quei suoni gutturali dei tanti venditori che si aggirano per la città proponendo la propria mercanzia. Quei suoni sono quelli de “na vote”, quelli dei ricordi, che ritornano come per incanto. Le vie si animano al passaggio delle carrozze, i taxi di tanto tempo fa, e lungo queste strade acciottolate i bambini imparano e si divertono con i giochi appresi dai loro genitori:”Manuè zzozzò”, ‘A livoria”, “’U spezzidde”, ‘U turnijdde”, ‘U currucolo”, ‘U zippere”, “’U palme”, “le Cinque petre”.
La strada è la casa di tutti e lì si materializzano anche le voci di mestieranti: ”il carbonaio”, “l’impagliaseggie”, “lo stagnino”, “il cestaio”, “L’aggiustapiatti e recipienti di terracotta”, “’O mola forbici”, ”’o Mbrellaro”. Dalle tante porte lasciate tutte aperte si odono le voci delle donne che, cucendo o ricamando, parlano con la “comare” della porta accanto. Dalle case escono quegli odori di una cucina povera ma ricca di aromi particolari che stuzzicano l’appetito.
Come fare a descrivere tutto questo alla nuova generazione che vive in un altro mondo fatto di smartphone, Pc, o di notte nei pub o discoteche, sorseggiando un drink?
• Come fare per riproporre quelle sensazioni che i ricordi infantili tendono ad enfatizzare ancora più?
• Come fare per raccontare il silenzio di una città che poco per volta si sveglia al rumore degli zoccoli dei cavalli o al canto del gallo e che si anima con le modulazioni dei venditori ambulanti?
• Come fare a descrivere il dolce suono di una serenata e di un canto che un innamorato faceva sotto la finestra della donna che amava.
Questo è “‘o tiempo de ‘na vote” che deve essere esposto nella sua semplicità, al pari di come si racconta una favola, poiché di una favola si tratta!
La storia di una generazione che sta scomparendo stritolata dall’avanzare di una tecnologia che consegna alle future generazioni, un mondo nuovo, in cui le favole non possono esistere più.
Chi ha la capacità ed il dono di scrivere e raccontare storie, tradizioni, poesie in dialetto deve farlo poiché sarà, il suo, un testamento ed un atto d’amore verso i nuovi cittadini.
Con l’allargamento dell’Europa e con la necessità di dover parlare un linguaggio comune, si corre il rischio di far scomparire, nel tempo, tante lingue, così com’è avvenuto con i dialetti. Per questo motivo, ogni nazione, in sede del parlamento europeo, almeno in parte, dovrebbe esprimersi, negli atti ufficiali, nella propria lingua ed in quella universalmente scelta, l’inglese.
La storia, che è anche fatta di tanti linguaggi non può essere cambiata con un colpo di spugna.
(Si ringrazia il Sig. Michele Santoro, della associazione “Presenza Lucana”, autore del presente articolo)