Al momento della predisposizione di un bilancio, considerandone le componenti si determina il reddito generato: il 2007, scaglionandone lo stato di salute, si è consacrato gloriosamente alla storia come anno di màxima proliferazione, qualitativa e quantitativa, di indie-idols ed indie-anthems, lì dove guadagnarsi la copertina del New Musical Express costituiva l’equivalente in cellulosa del permesso degli dèi a scalare la vetta dell’Olimpo. I The Horrors tentacolarmente dilagano, ammiccando benevoli all’equiparazione -ben cercata- con i Ramones, debuttando nel mondo con un singolo (Sheena Is A Parasite), che è manna per l’altare dei golosi di nuove icone da adulare, a colmare il vuoto delle vecchie che mai più identiche in carisma si riprodurranno.
Il processo di assemblaggio del successo è meccanicamente duplicato come fosse una catena di montaggio fordiana: provenienza britannica; sottesa e costante iconografia oscura (di rimando agli anni Ottanta – Fuzztones su tutti), visivamente manifesta per scelte d’abbigliamento, denominazione e concetto; caratterizzazione sonora precisa e riconoscibile nell’oceano di band precedute dall’articolo denominativo, elemento che ne avrebbe assicurato, al tempo, il favore di pubblico e redazioni, ma anche, inconsapevolmente, la cristallizzazione in un’era geologica musicale destinata al tramonto e al malinconico accantonamento nei meandri dell’oblio. Unici sopravvissuti al trapasso di genere, scaltramente si abbeverano alla fonte dell’eterna giovinezza cambiando l’ordine dei fattori di ogni lavoro, produzioni rinnovate -lievemente- nel sound e nella ricerca, scialuppa di salvezza per emergere illesi da dieci anni di molestie della critica, in prima fila a presenziare al capezzale del decesso.
Nell’intento di alterare la formula o la sua apparenza, già l’artwork di un -non primo ed acerbo, ma quinto e navigato – album in studio quale V rappresenta in sé, una progressione e un passo indietro, rifinendo l’evanescenza di Skying e Luminous, ma attingendo ad una matrice già consumata nei riferimenti nipponici di Grimes (quella di Art Angels) e in quelli plastici delle costruzioni materiche di Battles e Jesse Kanda. Occorre, dunque, una lama brillante a fendere il buio dell’ovvio, un orizzonte di varietà approdabile che rassicuri sulla fiducia accordata, ancora una volta, ad una biografia già nota e ad una curiosità ormai tiepida: ogni popolo ha bisogno di eroi, ma non riescono gli Horrors a vestire i panni dell’avanguardia creativa, pur nello sforzo di varcare la soglia maestosamente, intrisi di garage punk in pompa magna (Hologram). La distinta presenza di Faris Badwan cuce le tracce come bottoni alle asole del disco, esploratore di una galassia melodicamente spaziale, il cui vuoto cosmico si colma di sintetizzazioni elettroniche e suggestioni di un passato evocativo, mescolando l’intonazione di Tony Hadley alla new wave dei Simple Minds (It’s A Good Life).
La drum machine scandisce l’andamento di un corteo a volte lento e processionale (Ghost), altre delicato nella sua tenebrosa stravaganza, come a danzare con le labbra le note di dolci ballate su un volto (Point Of No Reply, Gathering), che esplodono in scoppi noise e psichedelici quando le mani lo afferrano appassionatamente. Non vi è latenza di residui pop, se non nella logica di includere nel complesso anche composizioni commercialmente più comprensibili, per definizione semplici da viralizzare nella loro spendibilità (si veda il caso di Press Enter To Exit, impressionante nell’istante in cui si eleva e schiude come la D’you know what I mean? di Liam Gallagher e quello, diametralmente opposto, di Something To Remember, catalogabile come hit dance in puro stile Cut Copy / 2007).
Chi siano gli Horrors a dieci anni di distanza non è ancora divenuto un interrogativo retorico, e questo è da leggersi in positivo: chi siano stati nel frattempo, è capitolo trascorso e in che modo lo siano stati è il filo di una matassa aggrovigliata su sperimentazioni differenti. Ad oggi, guardando oltre, risulta così più facile apprezzare un lavoro consapevole, seppur poco futurista, che è ancora in grado di stimolare la domanda su chi potranno essere.
ETICHETTA: Caroline Distribution
ANNO: 2017
SIMILE A: The Rapture – Echoes
A Place To Bury Strangers – Exploding Head
Wild Beasts – Boy King
Tracce consigliate: Something To Remember, It’s A Good Life, Hologram