«Dal 2012 ad oggi, le vicende dell’Ilva di Taranto hanno prodotto un susseguirsi infinito di capriole e giravolte da parte dei governi nazionali che, invece di attuare tutte le misure adeguate all’abbattimento dell’inquinamento ed alla salvaguardia della salute di cittadini e lavoratori, si sono adoperati per procrastinare i termini per l’attuazione delle stesse, cancellando, pezzo dopo pezzo, tutti gli obiettivi di ambientalizzazione più importanti.» Lo dichiara il consigliere regionale Mino Borraccino, Presidente della II Commissione (Affari Generali e Personale) Regione Puglia.
«L’obiettivo di raggiungere la compatibilità ambientale tra produzione di acciaio e qualità della vita dei tarantini – afferma l’esponente ionico di SI, messo a fuoco dopo decenni di lotta dentro e fuori dalle Istituzioni, è stato anestetizzato con 11 Decreti dal Governo e, quindi, definitivamente stroncato, attraverso le nuove regole per l’AIA che il Ministero ha emanato. La copertura dei parchi minerari e la valutazione delle ricadute sanitarie sulla popolazione sono state allontanate o scomparse (nel caso della valutazione sanitaria), invece di essere imposte come condizioni essenziali per il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale; inoltre, non è stato mai reso disponibile un piano industriale attraverso il quale individuare un cronoprogramma per l’applicazione delle BAT.
L’indicazione dei livelli produttivi compatibili con la tutela della salute pubblica, così come indicato dalla Legge Regionale n.21/2012 sulla Valutazione del Danno Sanitario (e richiesto più volte da ARPA Puglia), e il tipo di tecnologia con la quale riconvertire gli impianti produttivi, sono argomenti oramai scomparsi dall’agenda del Governo. Le nuove Norme sull’AIA per il siderurgico non prevedono la valutazione sanitaria all’interno della procedura che riguarda solo i criteri ambientali dell’attività.
Dopo un quinquennio di commissariamento, che doveva servire allo Stato per mettere in atto quello che la proprietà Riva non aveva fatto e, quindi, per porre riparo alla situazione di mancato rispetto dell’ambiente e della salute pubblica, in conseguenza della quale la Magistratura era giunta al sequestro della fabbrica – afferma Borraccino, non solo non è stato fatto nulla di tutto quanto sin qui detto, ma siamo tornati alla casella di partenza, con l’aggravante di aver messo nuovamente sul mercato, al miglior offerente, la più grande acciaieria d’Europa, senza aver ottenuto, prima, tutte le opportune garanzie sugli elementi essenziali che in questi anni hanno aperto una crisi profonda tra produzione e salute.
Il Governo, durante questi anni, ha prodotto solo atti mirati a garantire all’acquirente privato, come:
la piena autonomia nell’individuare i livelli occupazionali che esso avrebbe ritenuto congrui: quindi, niente certezze sul mantenimento dei posti di lavoro attuali;
l’assenza di obblighi nel rispettare la Legge Regionale che individua in 0,4 ng per metro cubo il limite per le emissioni di diossina (quindi valgono i limiti nazionali, 100 micro grammi per metro cubo) e la Legge sulla Valutazione del Danno Sanitario, la quale prescrive che i livelli di produzione massima devono essere tali da garantire la compatibilità con la salute pubblica;
nessun obbligo di copertura dei parchi minerari, che restano ancora la causa principale dei gravi fenomeni di inquinamento dell’ambiente circostante, inondando di polveri il quartiere Tamburi.
Se consideriamo che nel territorio dove questa fabbrica è attiva (dal Luglio 1962) secondo i dati diffusi dall’Istat, si registra un aumento del 28% dei tumori, rispetto al 1990 (cioè quasi 1.500 l’anno), non possiamo rimanere in silenzio, mentre va in scena un film dal copione che sembra già scritto e già visto.
La politica deve riappropriarsi del suo compito e deve avere il coraggio di rimettere al centro il bene comune.
Dopo l’evidente fallimento delle scelte con le quali lo Stato ha delegato ai privati la necessità di produrre acciaio, all’interno delle quote che l’Italia detiene nell’ambito della UE, rispettando i parametri di salvaguardia della salute e i livelli occupazionali, se non è possibile imporre il rispetto di quanto pacificamente individuato come indispensabile per un’attività dichiarata di “interesse strategico nazionale”, la soluzione da percorrere è quella della nazionalizzazione. Sappiamo che molti esperti di finanza moderna si opporranno a quest’idea, perchè profeti della sacralità del libero mercato, ma, ricordando che la condizione attuale di crisi economica e sociale la dobbiamo esattamente all’esasperante applicazione di quella ricetta liberista, riteniamo che sia giunto il momento di invertire la rotta. Del resto, se il nuovo Presidente Francese, Macron, indicato da tutti come un campione della politica moderna, così fieramente ispirata alla sacralità dei mercati, è intervenuto direttamente per aumentare la presenza dello Stato in aziende e settori ritenuti strategici (vedasi i casi Cantieri Navali e Renault), non ci è chiaro il motivo per cui l’Italia non debba poter discutere di controllo pubblico sulle aziende strategiche, qual’è l’ILVA di Taranto.
Noi – rimarca Borraccino – siamo favorevoli all’intervento pubblico e proponiamo di fermare la privatizzazione per mettere al centro della discussione politica nazionale l’opportunità di ri-nazionalizzare la produzione dell’acciaio.
La logica dovrebbe condurci a questa soluzione, anche perchè sarebbe curioso se l’idea di dichiarare di interesse nazionale una fabbrica e, quindi, mettere in atto un intervento pubblico, fosse considerato necessario solamente quando la Magistratura interviene per applicare la Legge nei confronti di un’azienda privata, accusata di averla violata.
Se così fosse, saremmo di fronte ad una operazione che avrebbe visto, per un verso, i Riva andar via senza esser costretti ad ambientalizzare l’Ilva con i miliardi provenienti dal fatturato della fabbrica e, per l’altro, una nuova proprietà privata, con interessi reali fuori dal contesto nazionale, alla quale è consentito acquisire (a basso costo) un’azienda svincolata dal mantenimento della forza lavoro attuale, nonchè libera dai limiti stringenti, a tutela di ambiente e salute, che gli Enti pubblici, a partire dalla Regione Puglia, spinti da decennali lotte ad opera dei cittadini, erano riusciti a tramutare in norme da far rispettare. »