Leonida di Taranto
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È morto lo scrittore spagnolo Juan Goytisolo. Nato a Barcellona, si è portato nella scrittura e nell’anima i Mediterranei.

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Quei Mediterranei del Marocco, di Algeri, delle Afriche che tagliano le acque e i deserti. Immaginari e reali. La coralità dei suoni e delle voci sono nella pazzia e nella Medina di Marrakech. Il deserto e i cammelli. I canti che riportano echi degli Orienti che non hanno ripescaggi di linguaggi negli Occidenti.
Uno scrittore che non ha mai dimenticato la sua Barcellona, il suo catalano, la sua Spagna ma, portandosi dentro i tocchi delle preghiere musulmane e islamiche di una Spagna che ha tocchi profondamente mediterranei nel segno di un barocchismo mistico e misterioso…
Uno scrittore che ha posto al centro i linguaggi della piazza perché è la piazza che intreccia i vocabolari dei popoli e delle civiltà in una espressione di coralità letterarie e antropologiche.
Qui la letteratura si fa rivelazione di una antropologia delle genti. Città e luoghi. L’Europa di Parigi con i paesaggi di Tangeri. La sua Barcellona catalana con il mondo arabo. Dagli Oceani ai Mediterranei Juan Goytisolo ha tracciato un percorso di esistenze, di vissuti e di memorie. Il dolore della separazione e il vivere come isola sono anche nel suo ultimo testo pubblicato in Italia nel 2017 dal titolo: “Don Juliàn”, nel quale la sua terra diventa disperazione e lirismo.

Si porta dietro Cervantes. È il centro del suo essere scrittore e lo rivive nelle piazze dei Mediterranei diffusi come luoghi di esistenza e di esistere. Visse anche nel quartiere parigino del Sentier. Dirà: “Abitare in quel quartiere e la lettura di Cervantes sono state due cose decisive per la mia vita”.
I suoi romanzi non sono fatti di ambienti e personaggi soltanto. Ciò che contano sono le voci. Appunto intorno alle voci disegnerà tutto un profilo archetipicamente simbolico.
Romanzi che restano e segnano un passaggio di lungimiranza metafisica sono «La risacca», «Per vivere qui», «Lutto in paradiso», «Giochi di mano», «Juan sin tierra», «Don Julián» e «Carajicomedia».
Ricordo di aver letto più volte «Fiestas» che risale al 1959, nel quale l’intreccio tra il suono e la parola diventano battiti di tempo e di disarmoniche armonie di esistenza. Così come «L’isola» che risale al 1964. Pagine in cui le metafore sono una forza letteraria da spingere la parola stessa verso gli estremi nerudiani.
Ma sono gli Orienti che camminano tra il senso e gli orizzonti nei quali civiltà e contaminazioni diventano chiavi di lettura di un umanesimo delle antropologie letterarie.
Sempre su questo scavo Juan Goytisolo ha esercitato la sua funzione di scrittore e il suo trasferimento in Marocco, a Marrakech, ha rappresentato una condivisione non solo nel pensare mediterraneo ma anche una condivisione geo – politica.
Molto originali sono le pagine di «Le settimane del giardino» del 2004. In Italia lo stesso anno venne pubblicato, tradotto in italiano, «Oltre il sipario», mentre l’anno successivo vede la luce, sempre in Italia, «Karl Marx Show». Dalla sua formazione marxista esce con il conflitto di una visione completamente contrapposta e la percezione ideologica diventa comprensione delle civiltà che trasformano il dato sociale in una interpretazione demo – etnoantropologica.
Sono un esempio i libri ultimi come «Paesaggi dopo la battaglia» del 2009. Oppure «La Spagna e gli spagnoli» del 2005. Nove anni dopo in Italia viene tradotto «Esiliato di qua e di là. La vita postuma del Mostro del Sentier», in cui si riprende il viaggio intorno alla metafisica dell’esilio. Un esilio dalla sua Spagna ma al centro del suo cuore nella Medina che ha sempre amato.

Era nato a Barcellona il 5 gennaio del 1931. È morto il 4 giugno del 2017 a Marrakech. Era fratello di José Agustín e di Luis.

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