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Il presepe natalizio è una vera e propria tradizione italiana, che resiste – generazione dopo generazione – nonostante gli stravolgimenti sociali e tecnologici che caratterizzano gli ultimi decenni. Tanti di noi ricordano la commedia forse più famosa di Eduardo de Filippo, “Natale in casa Cupiello”, in cui il presepe è un vero e proprio “protagonista”, così come in tante famiglie la realizzazione del presepe diventa una vera e propria opera di ingegneria meccanica ed idraulica, in cui carta-pesta, polistirolo, legno e cartone danno forma, lavorati con pazienza ed attenzione, a veri e propri capolavori.

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Grottaglie ha con il presepe un legame- potremmo dire – privilegiato, sia perché ospita un vero e proprio capolavoro in pietra policroma realizzato da Stefano da Putignano e risalente al 1500 sia perché oramai da più di trent’anni al presepe viene dedicata una mostra-concorso che continua a riscuotere i consensi del pubblico e l’attenzione degli artisti partecipanti. Caratteristica comune dei presepi sono solamente le scenografie più o meno elaborate che riproducono la grotta-stalla della Natività ed i personaggi principali: la Madonna e San Giuseppe, il bue e l’asino, la cometa ed i magi; a distinguere invece un presepe dall’altro sono invece i personaggi di contorno, a volte poche figure, altre volte un vero e proprio “esercito” di comparse che anche a Grottaglie, rievocando la tradizione napoletana, vengono chiamati solitamente “pastori”, anche quando riproducono altre attività artigianali o quotidiane: falegnami, maniscalchi, lavandaie o fornai.

Alcune città o territori hanno nei loro presepi personaggi specifici: il “Festoso” o “Giocoso” toscano che rappresenta un giovanetto davanti alla capanna che gioisce per la nascita di Gesù e il “Caganer” catalana che rappresenta una persona intenta a defecare o lo “Zu Innaru” (Zio Gennaio) siciliano che riproduce un vecchietto che si riscalda di fronte ad un fuoco acceso.

Una delle figure diffuse in molti presepi, specialmente meridionali, è invece il personaggio che a Grottaglie viene chiamato “Lu Sbantuso” e che viene solitamente ritratto in due momenti specifici. Leggiamo insieme come li descrive Alfredo Camassa, con un pizzico di nostalgica memoria: ”Lontano da Grottaglie da più o meno mezzo secolo, ho mantenuto intatto il legame con la mia terra d’origine. Grazie ai miei familiari rimasti nel paese ed oggi, grazie alle notizie ed informazioni che raccolgo sul vostro gradevolissimo sito.

In una recente conversazione telefonica intercorsa con la mia sorella maggiore, abbiamo toccato l’argomento del presepe e dei suoi personaggi. Negli anni ’50, ricordavo, c’era una minuscola bottega alla discesa della Croce (basciu la Croce) e lì ci soffermavamo ad ammirare l’opera dell’artigiano che, dalla creta viva, mediante antichi stampi, faceva nascere pastori, pecorelle, angeli e Re Magi i quali, cotti e colorati, davano vita ai presepi più ricchi come ai più disadorni e modesti.

E già, pastori, Gesù Bambini, buoi… e “Lu Sbantusu”?? “No” fa mia sorella “lu Sbantusu non si trova più e quelli del presepio dei nonni, tra i nostri viaggi tra Grottaglie e Milano, tra un trasloco e l’altro sono andati perduti.” Concludeva la frase manifestando il timore che le statuine de “Lu Sbantuso” fossero irrimediabilmente cadute nell’oblio. Riandando a quella chiacchierata e ricollegandomi alla meritoria nuova rubrica di GIR sui vecchi ricordi e le antiche tradizioni grottagliesi, mi son detto che nessuno meglio di voi può essere in grado di riannodare fili della memoria, trovare tracce e ridare vita a questa figura ormai sbiadita.

Nei miei ricordi ed in quelli di mia sorella Maria, “Lo Sbantuso” è un personaggio costituito da due figure: la prima, consiste di un individuo disteso, appisolato, meglio, perso in un sonno profondo; trovava posto in una zona defilata della scenografia presepistica, meglio se collocato in alto, su una collina, un promontorio; la seconda immagine si presentava come un uomo stupito, quasi spaventato che, in piedi, le braccia allargate, il viso trasfigurato da emozione e paura, guardava verso il cielo, là dove brillava la stella cometa.

A casa mia, il cambio tra le due statuine avveniva, a cura dello zio Cosimo, nella notte tra la Vigilia ed il Natale e al mattino era motivo dello stesso stupore ed emozione anche tra noi bambini. Che bei tempi, più semplici, più veri, più profondi!

La descrizione di Alfredo Camassa richiama un personaggio che – come abbiamo detto – ricorre spesso nei presepi meridionali, sia pure con altri nomi: a Napoli è “Benino”, pastorello che dorme beato in un angolo ignaro di tutto che a Bologna diventa “Dormiglione” mentre nel presepe siciliano prende il nome di “Susi Pasturi” mentre, sempre in Sicilia, lo “Sbaundatu ra stidda” è il personaggio che stupito guarda per primo in lontananza la stella cometa, richiamando nel suo atteggiamento di sorpresa la “Meraviglia”, figura femminile della tradizione bolognese che, in segno di stupore, agita le braccia.

Con l’Epifania giungerà al termine il lungo viaggio dei Magi che recheranno i loro doni al Bambinello, e si comincerà a ritirare fuori scatole e imbottiture per riporre le statue ed i decori presepiali, in attesa che – tra meno dodici mesi – la magia si rinnovi.

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