Per chi ha superato i quarant’anni di età, le scene che quotidianamente ci propongono i telegiornali da Lampedusa come dalle isole greche son un emozionante “deja –vu” di quanto avvenne sulle coste pugliesi agli inizi degli anni ’90.
Allora era dall’Albania che, in pochissimi mesi, giunsero migliaia di uomini, donne e bambini in cerca di un domani di fortunato. Una vera e propria “invasione” a cui la Puglia reagì mostrando tutte le sfaccettature dell’animo umano: generosità ed egoismo, paura ed empatia, accoglienza e chiusura. Non si era allora preparati ad un simile esodo, ci trovammo improvvisamente di fronte ad un ondata umana che ci mise di fronte ad una realtà tanto vicina geograficamente quanto distante psicologicamente. E mentre scorrono in TV le immagini della “Giungla” di Calais o di Idomeni, mentre si è da poco spento l’eco del successo del “Fuocoammare” lampedusano Annalaura Giannelli, con il suo “La figlia del destino” (Adda Editore) ci riporta a quella primavera di venticinque anni fa, quando per tanti tutto cambiò. Lo fa con il tocco emotivo e discreto di una donna che trasponde nello scritto emozioni e passioni vissute nella vita quotidiana, raccontando emozioni, paesaggi, sensazioni e stati d’animo universali ma – allo stesso tempo – personalissimi.
Recensori dal cuore aspro avranno gioco facile ad evocare Liala e Carolina Invernizio, altri – forse più attenti e certamente meno tranchant – sapranno andare aldilà delle inevitabili e veniali ingenuità della scrittura, lasciandosi ammaliare da un fluire caldo e travolgente che inesorabile restituisce – nel bene e nel male – a ciascuno dei protagonisti ciò che è suo, fornendo al lettore diversi esempi in cui specchiarsi ed interrogarsi. Se il romanzo della Giannelli potrà risultare interessante ad un qualunque lettore, l’interesse per “La figlia del destino” non può che amplificarsi per noi pugliesi che quelle vicende le vivemmo più o meno da vicino, finendo spesso per esserne coinvolti, quando non travolti.
L’epoca storica specifica, forse troppo spesso dimenticata, soprattutto da chi doveva fare tesoro ed esperienza di quei tragici eventi per evitarne il ripetersi o per meglio prepararsi ad una loro replica, diventa un palcoscenico su cui già altri – ed in modi diversi si erano cimentati (valga per tutti il geniale esperimento di “Teledurazzo” e la sua straordinaria sigla, che restituì un nuovo ed emozionante significato alla “Meraviglioso” di Domenico Modugno), un palcoscenico ideale su cui l’Autrice mette in scena una commedia umana che ha per protagonisti soggetti che – ciascuno a loro modo – incontrano o cercano una nuova possibilità per dare un senso alla loro vita. Travolgente come la tramontana evocata nelle righe iniziali del romanzo, il Destino compirà il suo “redde rationem”, donando molto anche quando sembra di aver tolto tutto.
1991: fuga verso la libertà, in rotta alla volta di Brindisi, in cerca di una sponda migliore. Quasi trentamila cittadini albanesi – e tra loro studenti, uomini di cultura, giornalisti dissidenti – trovarono in Puglia una terra di pace. Un esodo biblico, per il popolo albanese che vide in Brindisi la terra promessa, cui la città seppe rispondere con grande umanità. In quei famosi cinque giorni molti bambini si erano imbarcati da soli, nella speranza di ricongiungersi poi con i loro genitori.
È questo lo scenario in cui si muovono i personaggi del romanzo. Quasi una biografia corale di uomini e donne apparentemente molto diversi tra loro ma con un unico comune denominatore: la ricerca di se stessi. Nonostante i sogni infranti.
Una ricerca a volte dolorosa, quanto caparbia e risoluta che, per Assunta, la giovane protagonista del racconto diventa memoria, recupero del passato, ma questa volta rivisitato introspettivamente attraverso l’amore. Quello per Anjeza, la bimba dagli occhi di cielo venuta dal mare e per un uomo che, come lei, aveva vissuto un’adolescenza povera e disagiata. Dario, il generale spigoloso e introverso, ma anche sensibile e generoso, che Assunta incontra prima di tutto nella dimensione dell’anima, indecifrabile, ma che tornava a lei da chissà quale viaggio perduto nel tempo.
Infine, Curran, il giovane giornalista albanese in cerca di sua figlia, idealista e reazionario al regime di Ramiz Alia, che si era unito ai ribelli e aveva combattuto in prima linea per la democrazia e la libertà.
Una ricerca spasmodica, che toglie il fiato. Curran, ancora una volta lotta con tutte le sue forze per rintracciare Anjeza, la bimba piccola e gracile che aveva trovato in Assunta la mamma perduta per sempre. Un esule coraggioso pronto a sfidare il proprio destino.