Il primo “Woman’s day”, in realtà, non si tenne l’8 marzo bensì il 28 febbraio (negli Stati Uniti), in ricordo di una tragedia che assunse un significato storico e politico.
Celebrazione, Commemorazione: l’8 Marzo è ormai una data che ha un proprio significato nel nostro calendario, con contenuti a piacere dal ludico al consumistici, al commemorativo etc… Non si tratta di semplice rievocazione della lotta al maschilismo o di mancanza di pari opportunità per le donne o altre intangibili rivendicazioni, ma – essendo celebrata in tutto il Mondo ormai – ha assunto l’importanza di giornata per ricordare le donne lapidate, stuprate, infibulate, usate come merce sessuale, di donne contagiate dall’AIDS, che mettono al mondo figli già segnati da un atroce destino. Ecco perché c’è chi prova una certa avversione per l’8 Marzo per come viene ora festeggiato, soprattutto nel mondo occidentale. Vero è che Movimenti di donne ed Istituzioni organizzano in occasione di questa data iniziative culturali, ma per molte donne la festa si riduce ad avere la serata libera per riversarsi in ristoranti e locali dove lo strip maschile pare sia l’unico riscatto alla condizione femminile. Nulla in contrario con le uscite tra donne, né il volersi divertire ad uno strip maschile ma sarebbe bello poterlo fare anche in altri giorni – se di divertimento e non di voglia di trasgressione conformista si tratta – senza dover associare a questo giorno la “libera uscita” per abbandonare il focolare domestico.
Le donne riceveranno tutte (speriamo!) un ciuffetto di mimosa dal collega d’ufficio, dal compagno di scuola, anche da uno sconosciuto passante… ma che senso ha questa fiore? Ad ogni angolo della strada – principalmente nelle grandi città – troviamo improvvisati venditori di mimosa che soddisfano i compratori che fanno mente locale della “festa” solo all’ultimo minuto e che sanno quanto possa esser gradito per una donna – nonostante i pregiudizi – ricevere un fiore . Nei paesi più piccoli invece spesso c’è l’usanza (più a buon mercato ma meno fine) di raccogliere direttamente i fiori dai rami dei malcapitati alberi; ma questa pratica, se pure diffusa, è sconsigliabile, vuoi perché l’albero preso di mira viene letteralmente “depilato”, vuoi perché se è di proprietà privata si commette comunque un furto o quanto meno un’azione sgarbata. Il fiore di mimosa venne scelto come simbolo della commemorazione dell’8 Marzo pare proprio alle donne italiane, forse per via del suo aspetto così fragile e modesto, che richiama simbolicamente il passaggio metaforico dalle tenebre alla luce. La mimosa come simbolo della rinascita e della vittoria per le donne che rappresentano la cosiddetta “altra metà del cielo”.
Come si è giunti a questa – chiamiamola – piacevole usanza? In Italia la Festa della donna è diventata una celebrazione regolare a partire dal 1946 ma storicamente è molto diffusa l’ipotesi che fa risalire l’origine della festa ad un grave fatto di cronaca avvenuto nel 1908 a New York. Alcuni giorni prima dell’8 marzo, le operaie dell’industria tessile Cotton iniziarono a scioperare per protestare contro le condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero proseguì per diversi giorni finché l’8 marzo Mr. Johnson, il proprietario della fabbrica, bloccò tutte le vie di uscita. Poi allo stabilimento venne appiccato il fuoco (fonti parlano di un incendio accidentale). Le 129 operaie prigioniere all’interno non ebbero scampo.
Altra ipotesi è che la storia che fece scaturire poi la commemorazione derivi da un avvenimento non accidentale ma di origine storico-sociale: l’incendio avvenne nel 1911 (e non nel 1908) sempre a New York ma nella Triangle Shirtwaist Company dove le lavoratrici non erano in sciopero, ma erano state protagoniste di una importante mobilitazione, durata quattro mesi, nel 1909. L’incendio, per quanto le condizioni di sicurezza del luogo di lavoro abbiano contribuito non poco al disastro, non fu doloso e le vittime furono oltre 140 [donne ma anche uomini n.d.r.]. I proprietari della fabbrica si chiamavano Max Blanck e Isaac Harris e vennero prosciolti nel processo penale ma persero successivamente una causa civile. Negli anni seguenti al 1908 e al 1911 una serie di celebrazioni circoscritte agli Stati Uniti ebbero come unico scopo il tener vivo nella memoria il ricordo dell’orribile fine fatta dalle operaie morte nel rogo della fabbrica e fu solo più avanti che in ricordo di questi avvenimenti tragici, la data dell’8 Marzo venne proposta come giornata di lotta internazionale a favore delle donne da Rosa Luxemburg [politica, teorica socialista e rivoluzionaria tedesca di origini polacco/ebraiche]. Ma tornando ai giorni nostri, e dopo aver ribadito che in Italia, nel secondo dopoguerra, la giornata internazionale della donna fu ripresa e rilanciata dall’UDI (Unione Donne Italiane), associando nel contempo alla data dell’8 marzo l’ormai tradizionale fiore della mimosa, è bene ricordare che la suddetta giornata è stata istituzionalizzata anche dall’ONU, in ordine a vari crimini che si consumano nel mondo nei confronti della donna.
Spostandoci in Europa, vediamo che in Russia, così come in molti altri paesi dell’ex Unione Sovietica, l’8 Marzo è preso molto seriamente, sicuramente per via della politica del governo comunista che ha sempre dato molta importanza alla posizione della donna nella società. E’ però più che altro una cerimonia ufficiale e molto formale a livello di Governo ma non molto sentita dalla gente: non si hanno manifestazioni spontanee né altri tipi di aggregazione popolare. Trasferiamoci nel continente Africano dove l’8 Marzo è festeggiato soprattutto nei paesi con una forte tradizione di lotta per rivendicare i diritti civili e morali delle donne. In Cameroon, ad esempio, le associazioni di donne organizzano dei festeggiamenti che durano tutta la settimana a cavallo dell’8 marzo, con vari eventi e iniziative artistiche e culturali.
Nello Zimbabwe si festeggia, con qualche manifestazione all’aperto, pur non avendo le donne grossi motivi per rallegrarsi del proprio status sociale! In Kenya hanno invece deciso di promuovere una festa davvero vivace: calcio, pallavolo, lotta libera, tiro alla fune, corse e concorsi di danze tradizionali. Il Sudafrica invece approfitta della festa della donna per parlare e tenere viva l’attenzione su temi di scottante attualità. In Ruanda l’8 marzo si festeggia quasi come in Europa, nel senso che gli uomini si sentono in dovere di essere un po’ più cordiali e magnanimi, e dimostrano la loro ampiezza di vedute tributando qualche attenzione in più ed offrendo qualche complimento alle donne [il giorno dopo però pare che ricominci tutto come prima, con le donne che provvedono a tirare avanti la baracca e i loro mariti che bevono birra di banana! N.d.r.].
E in Asia, dove la donna non può certo vantare di godersela? Non si “festeggia” molto! In Thailandia ad esempio la donna non e’ affatto valorizzata, ma al contrario è spesso sfruttata. Qui l’uomo e’ ancora considerato come padrone e la donna e’ al suo servizio. Se sposata si deve occupare anche della famiglia del marito oltre che della propria. E’ spesso vittima di violenza all’interno delle mura domestiche. La donna thai appartenente alla più infima classe sociale: svolge i lavori più umili e duri ed e’ spesso meno pagata rispetto ad un uomo [cosa che però accade anche in Italia n.d.r.].
Ci sono donne thai che arrivano a lavorare in cantiere per circa 12 ore al giorno mescolando il cemento con le mani e, a fine giornata, il loro salario e’ di soli 170-180 Bath, nemmeno 4 Euro… Inoltre nel caso voglia divorziare dal marito, la donna appartenente alla classe media, resterebbe sola con i figli da crescere, senza casa, senza soldi e senza possibilità di trovare un altro uomo perché, essendo divorziata, viene sempre vista in modo negativo all’interno della società. L’uomo invece può, oltre che risposarsi dopo un divorzio, essere poligamo. Quello che più sconvolge e’ che queste situazioni citate sono considerate normali in Thailandia.
Sarà questo senso di “normalità” che fa sì che in Asia l’8 marzo è molto sentito? In Indonesia è tutto un pullulare di feste, mostre di donne artiste, eventi culturali. Donne artiste e intellettuali si incontrano per dibattere, e per ricordare e le riunioni hanno un carattere politico molto forte. Lo stesso dicasi per le Filippine dove le donne sono molto forti, tra le più istruite di tutta l’Asia, e ben determinate a far sentire la loro voce. Anche in Vietnam, dove le donne sono importanti in quanto anche grande forza lavoro, dove c’è la Women Union, un vero caposaldo della cultura comunista, l’8 Marzo si festeggia regalando dei bei mazzi di fiori a tutte le donne, le quali festeggiano anche sul luogo di lavoro portando delle cose da mangiare per stare tra loro in maniera conviviale.
Molto sentito è invece l’8 marzo in tutta l’America Latina: in Ecuador, ad esempio, c’è un parco dedicato alla donna, “El Parque de las Mujeres” dove hanno luogo iniziative culturali, spettacoli e movimenti mentre nel resto della città pullulano eventi di ogni tipo: film, spettacoli, mostre. I ristoranti offrono dei menù speciali, e negli uffici e in altri luoghi di lavoro si organizzano piccoli eventi per festeggiare: un brindisi, un regalino alle donne, l’offerta di fiori. In Colombia le donne si spingono anche più in là, e non ammettono gli uomini ai festeggiamenti [come in Italia n.d.r.]: in ogni quartiere si riuniscono e organizzano la “pollada” (vendita di patate, pollo etc..), e usano i fondi raccolti per rafforzare le attività delle organizzazioni di donne.
A proposito di organizzazioni femministe, non si può dimenticare l’attivismo delle donne del Perù dove si svolgono iniziative interessantissime dalle prime ore del mattino fino a notte inoltrata. In Brasile l’8 marzo di quest’anno assume un significato speciale poiché marca l’inizio del cosiddetto “Anno della Donna in Brasile”, istituito inoltre tramite legge federale. Azioni un po’ meno concrete invece nella Repubblica Dominicana le manifestazioni son abitualmente mal viste, da qui il fatto che l’8 Marzo ci si limita a deporre dei fiori sull’altare dei “padri della patria”, nella piazza dell’Indipendenza.
In Guatemala l’8 Marzo si festeggia solitamente tra espatriati e in circoli ristretti. In Honduras c’è addirittura un giorno dedicato per festeggiare la donna che non è l’8 Marzo ma il 25 Gennaio. In Messico la celebrazione dell’8 Marzo è festeggiata: sfilano carri allegorici e le donne sono invitate a mascherarsi con costumi che simbolizzino la presenza e la forza delle donne nel processo di ampliamento e nell’esercizio dei diritti in Messico. Passando in America del Nord arriviamo a vedere come si commemora – o si festeggia – negli Stati Uniti l’8 Marzo. A New York il Code Pink Women for Peace organizza una serie di attività che vanno dal 6 all’8 Marzo: manifestazioni a favore dei diritti delle donne e per la pace.
In Quebec (Canada) invece l’8 Marzo assume sempre un carattere culturale. Anche se non viene festeggiato nelle strade, si hanno sempre delle conferenze, dei seminari, degli incontri culturali, e la televisione e le stazioni radio trasmettono programmi speciali dedicati a temi legati alla condizione della donna.
Dopo questa panoramica mondiale ritorniamo nella nostra patria – forse un po’ più consapevoli e meno superficiali – Alla luce, adesso, della nostra condizione locale ci si chiede: che senso abbia “festeggiare” l’impagabile ruolo svolto dalle donne nella nostra società nel momento in cui una donna per lavorare (salvo che mostri le irrinunciabili doti di “avvenenza” e “sottomissione” al capo, e che accetti un salario “inferiore” a quello del proprio collega) vede sovente sbarrare le porte da una “casta maschile”, sempre pronta a fare ostruzionismo?
Che senso ha “festeggiare” per chi vorrebbe divenire madre ma deve programmare i tempi della propria maternità in funzione delle superiori esigenze del mercato (salvo che non voglia rischiare di essere licenziata, essendo considerata ogni donna in dolce attesa solo come un “peso” per ogni azienda privata)? Che senso ha “festeggiare” se desidera realizzare il sogno della maternità, anche ricorrendo alla fecondazione assistita (e senza recarsi in una clinica estera), deve subire sulla propria pelle una legge “maschilista” in materia (la n. 40 del 2005), che rende tale intervento più difficile, invasivo e rischioso per la sua salute?
O ancora, che senso ha “festeggiare” se si reca in un ospedale pubblico dopo aver dolorosamente scelto di interrompere una gravidanza indesiderata o rischiosa, può ulteriormente subire la “violenza psicologica” di medici obiettori di coscienza pronti a colpevolizzarla? Si potrebbero porre infinite domande in terza persona ma ciascuno faccia le proprie considerazioni – come detto in premessa – , uomo o donna che sia, e festeggi, celebri, commemori o anche ignori questo benedetto 8 Marzo, purché cosciente che un senso questo giorno lo ha!