I beni culturali hanno bisogno di una filosofia ben inserita nella geoeconomia dei processi culturali internazionali.
Bisogna guardare con molta attenzione ai fenomeni posti dal Codice dei Beni culturali e dalla Riforma, che nasce all’interno del recupero giuridico di tre Ordinamenti: quello del 1939 (Riforma Bottai in sintonia con la Riforma Gentile sulla scuola); quello inerente la nascita del Ministero dei beni culturali e ambientali (1974 – 1975, nella logica riformista – liberale di Spadolini) e il Codice del 2005 che recepisce il T.U. sui beni culturali con l’accorpamento delle culture e del paesaggio – ambiente.
Da qui bisognerebbe partire per indirizzarsi sul tracciato di come si organizza, si gestisce, si promuove la cultura di una città? Interrogativo che costa fatica capacita volontà. La valorizzazione culturale di un territorio è certamente conoscenza ma parimenti è progettualità attraverso i nuovi saperi che si articolano su due direzioni.
1. La strategia degli interventi per rendere una cultura valorizzata e valorizzante e quindi fruibile.
2. L’ideazione, e quindi una chiave di lettura moderna e innovativa, di un indotto sulle culture che possa permettere di trasformare quella che chiamiamo tradizione in Identità per le Economie esportabili.
La cultura se non è esportabile come pensiero e come evento resta soltanto una nostalgia chiusa nella nicchia del c’era una volta.
Quindi le culture dei beni culturali sono strategia innovazione forza per una politica della produttiva. Esportare fenomeni culturali significa dare un senso al futuro e non solo alla memoria che già di per sé è un depositato della e nella storia.
Allora. Lascio da parte ciò che non è stato fatto, ovvero ciò che non si è stati capaci di produrre. Ripeto. Il Museo entra ora nelle piene funzioni manageriali. L’ufficio di tutela non è una struttura produttiva e non porta valorizzazione.
È UNA STRUTTURA INUTILE PER UNA CITTÀ CHE HA BISOGNO DI ESSERE VALORIZZATA CON LE CULTURE.
Si pensi a creare legami tra eventi europei e unicità di eventi per Taranto come negli anni 1995-1999. UNICITÀ DEGLI EVENTI.
Si dia, dunque, una struttura di pensiero a ciò che ancora rimane dell’università: chi sono e quanti sono i docenti che insistono nell’università di Taranto? Quale è la loro storia curriculare: dalla ricerca alle pubblicazioni? Sarebbe opportuno conoscere la struttura scientifica tarantina dalla formazione ai formatori in modo pubblico diretto oltre alla pubblicazione sul sito. Diamo scientificità ai processi culturali di una città. Diamo testimonianze. Diamo esempi. Creiamo un Pensiero forte sui beni culturali e sulle culture elaborate dall’università tarantina. Siamo in grado? Intellettuali, pensatori, ricercatori dell’Università dovrebbero avere un compito estremamente “testamentario”.
Si lavori per un Polo bibliotecario sui beni archeologici collegandolo alle biblioteche europee. Si dia un progetto Mediterraneo al Pensiero Mediterraneo senza doppiare il pensiero meridiano che non appartiene alla Università di Bari ma allo straniero Camus e ad ina scuola di pensiero schimittiano.
Si abbia coraggio non per le nostalgie ma per “inventarsi” il Futuro.
Il bene culturale oggi non è un “monolito” monolitico, ma una organicità comparata e articolata.
Innoviamoci per essere competitivi non nella storia della Magna Grecia, ma nel futuro delle economie. Il concetto di Magna Grecia deve essere spendibile nei “mercati” delle culture. Spendibile significa anche comprendere il significato del bene culturale vissuto dal vivo.
Il Codice fa delle distinzioni precise e crea collegamenti che pongono in essere il concetto di “mercato” della cultura. Da questo punto di vista Taranto deve poter elaborare una cultura spendibile nei mercati internazionali. Un fenomeno o un fattore che esula dalle Soprintendenze, ed è per questo che Taranto deve sapersi giocare una partita importante, forte, innovativa. Occorrono capacità, professionalità, managerialità.
L’università del Mediterraneo quale compito svolge per essere ponte di civiltà tra le strategie culturali di una città che è Occidente ma anche Oriente. I beni culturali si inseriscono in un tale contesto. Ecco perché allargherei la chiave di lettura ad un processo molto più ampio. Quale cultura Mediterranea del bene culturale è in grado di elaborare Taranto?
Al di là della questione Soprintendenza a Taranto o a Lecce o meno. C’è un pensiero forte a Taranto che possa svilupparsi dal rapporto università – bene culturale su un argomentare teorico e pragmatico che non sia legato alla archeologia del sapere nostalgico? A Bari c’è! A Lecce anche. A Taranto qual è? Apriamole queste porte con le dovute capacità culturali e la forza della progettualità e di quella filosofia che sia filosofia del diritto moderno.