defunti
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Per antichissima tradizione storica, la giornata odierna è dedicata al ricordo particolare dei defunti cari e di quelli dimenticati. È necessario però precisare che il nostro atto commemorativo non ha bisogno tanto del tratto nostalgico che nasce dal distacco, bensì si apre al futuro e alla vita; crediamo questo poiché la memoria cristiana di oggi ci dice che c’è un di più dopo la morte: la vita eterna.

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La commemorazione dei defunti come pratica liturgica annuale nasce nel 998 per una disposizione dell’abate Odilone del monastero di Cluny (Francia). Egli, che sotto la sua giurisdizione contava un migliaio di fraternità monastiche all’incirca, volle che, con ricorrenza annuale, si pregasse per le anime dei defunti, al fine di ottenere per loro purificazione e indulgenza. Strettamente legata a questa possibilità della purificazione è la dottrina del Purgatorio, la quale ha spunti biblici e patristici e si è ben definita nei Concili di Firenze (1439) e Trento (1545-1563). San Gregorio Magno spiega così l’esistenza del Purgatorio e la possibilità che i vivi possano pregare a beneficio dei morti: “Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c’è, prima del Giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12,31). Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro” (Dialogo n. 4).

Ecco dunque che la preghiera nostra può essere intercessione di bene per i defunti come, viceversa, quella di chi già gode il Paradiso può volgersi a vantaggio nostro (di questo secondo aspetto ne abbiamo parlato ieri a proposito dei Santi e della solennità dedicata). Dopo la riforma dell’abate Odilone, la novità si estende facilmente in Europa, soprattutto per la presenza capillare dei monasteri legati a quello cluniacense. Nei calendari romani si inserisce la commemorazione attorno al XIV secolo; dal canto suo la Spagna godeva il privilegio della possibilità di celebrare tre messe il 2 novembre. L’ultima e definitiva modifica al calendario è ad opera del Papa Benedetto XV il quale nel 1915 estese la giornata odierna a tutta la Chiesa universale. Il fatto che le memorie dei Santi e dei defunti siano messe l’una accanto all’altra ci porta a riflettere su alcune verità teologiche di fondo della vita cristiana. Anzitutto trattiamo di due memorie affini, in quanto i destinatari del ricordo sono uomini e donne non più presenti tra noi. Altra caratteristica comune è che hanno uno spazio intangibile nell’anno liturgico, in quanto la realtà della santità e la realtà della morte sono proposte alla celebrazione dei fedeli alla luce della morte e Resurrezione del Signore.

Gesù, che durante la sua vita terrena ha predicato il Regno dei Cieli, con la sua Resurrezione lo ha inaugurato e così ha trasformato anche la morte. Ed è questa dinamica di morte e Resurrezione che l’anno liturgico vuole mettere in risalto dato che, come abbiamo ribadito già altre volte, è il mistero della Pasqua che sta a suo centro e vertice. Infatti, ciò che sta alla base del cristianesimo è l’intervento decisivo di Dio nella storia dell’uomo, il cui momento culmine è l’evento pasquale. L’insegnamento della Scrittura sul mistero della morte porta con sé un grande messaggio di speranza. Essa infatti è stata sconfitta da Cristo una volta per tutte. Proprio perché Dio ha potere sulla vita e sulla morte, Egli ha cancellato la paura del morire svelando la certezza della vita eterna e mostrando il primo frutto proprio nel Figlio, Gesù. Con alcuni passi voglio mostrare quanto ho appena scritto sopra. Anzitutto, iniziamo con il libro della Genesi nel quale leggiamo in 1,27: “E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò”. Il termine “immagine” è tradotto in greco con “eikona” ed è interessante questo perché diversi secoli dopo anche l’autore del libro della Sapienza scriverà in 2,23-24: “Si, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono”. Prendendo in mano i testi originali notiamo che anche qui il termine “eikona” si ripete e scopriamo un nuovo tratto dell’uomo: egli è stato fatto per l’incorruttibilità o, se vogliamo, per la vita eterna.

Che in ciascuno esista il germe della vita eterna è dunque chiaro; Cristo ci permette di andare oltre nella riflessione perché Egli con la sua Risurrezione ha stabilito il principio della nostra. Comprendiamo perché allora San Paolo scrisse a Timoteo che “Se moriamo con Lui, con Lui anche vivremo” (2Tm 2,11) e il carattere nuovo della vita eterna sarà che allora vedremo Dio “faccia a faccia” (1Cor 13,12). Sul mistero della morte molti filosofi e pensatori si sono avventurati, ma l’evento cristiano ha posto uno spartiacque nella riflessione, che nessuna filosofia o religione ha potuto provocare. Questo perché è quanto mai vero che con la Risurrezione di Cristo tutto cambia nella vita personale e nel considerare l’umano. Davanti a tale verità di fede cambia anche la stessa visione della persona umana poiché si comprende che essa non è un mero “incidente della storia o del fato”, bensì risponde ad un progetto eterno inscritto nella mente del Dio Creatore e Padre di tutte le cose.

Davanti a questo mistero è ancora svelato un altro tratto dell’umano per cui comprendiamo quanto vera sia l’affermazione per cui Dio non solo rivela Se stesso alla persona umana, ma anche l’uomo all’uomo stesso. “Socrate ci ha insegnato ad affrontare la morte. Cristo invece ha vinto la morte” scriveva il pastore protestante D. Bonhoeffer. Il senso della morte cristiana è dunque rinnovato perché si comprende solo alla luce della morte di Cristo, unica speranza. Allora un rito che non deve passare inosservato è per esempio quello delle esequie durante la celebrazione della Messa. Infatti, celebrare il mistero del Corpo e Sangue di Cristo offerti per noi, ci dice anche il senso pasquale del passaggio del defunto da questa vita a quella eterna. Esso da inoltre un senso di comunione con il defunto perché la nostra preghiera si rivolge a Dio per la purificazione della sua anima.

Si, noi tutti moriremo – scrive A.Bloom nel suo famoso libretto “Alla sera della vita” – Ma morire… è entrare nella vita eterna, dove ogni anima vivente conoscerà faccia a faccia il Dio vivente. Più ancora, è attendere la resurrezione. Nel Credo, infatti, non proclamiamo l’immortalità dell’anima, ma la risurrezione dai morti. Noi crediamo a questa resurrezione, l’aspettiamo. Si potrebbe dire, al limite, che noi siamo gli unici veri materialisti, perché crediamo alla possibilità per la materia di essere trasfigurata, in Dio, per l’eternità”.

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