La lingua ha una funzione particolare nella scrittura di Pirandello. Le opere teatrali definiscono il percorso semantico, ma è in “Mal giocondo” che si enucleano i “gruppi” tematici che si regolarizzano nella struttura della lingua. Il “ceppo” linguistico ha una sua koinè nella matrice della lirica greca.
È proprio la grecità il dato centrale che lega la presenza del verso dei lirici greci con un modulare linguistico dentro il classicismo di un Pirandello poeta. Un Pirandello che disegna già un percorso, perché la chiave di lettura della sua produzione poetica è una memoria quasi “arcaica” che si inserisce in un verseggiare che ha, comunque, le caratteristiche tardo Ottocento.
Il suo linguaggio poetico risulta motivato grazie al rapporto tra il recupero della tradizione greca, non solo nel contesto linguistico ma anche nella forma, e la parola stessa mutuata con i suoni e i ritmi di un pre – decadentismo che pone al centro la griglia emozionale e la parola stessa come immagine. In realtà le poesie di “Mal giocondo” sembrano rompere con una impostazione del tutto romantica che ancora aleggiava nella temperie degli ultimi anni dell’Ottocento.
Se il Novecento poetico si apre con D’Annunzio (valgono in questa tesi le presenze del ritmo del verso e le assonanze forti di Pascoli che è un traghettatore di musicalità della parola) c’è da dire che la poesia di Pirandello, nel suo incastro mediterraneo, è un vissuto da anticamera, ma un vissuto consistente, di un Novecento annunciato e che si va perfezionando nella modernità degli stili che sono dati dall’estetica della parola.
Infatti, in Pirandello, la parola diviene un’estetica del dire oltre che un’estetica del recitativo poetico e dialogante successivamente. Un eros sottile è nella complicità di quel dettato poetico che trova nel “femminino” un affascinante mosaico rivelante. La donna è, certamente, eros e in virtù di ciò è avvolta da un misterioso alone che coinvolge fisicità e parola, attrazione e pensiero, divagazione e tensione.
Quando dedica i suoi versi a Jenny Schulz-Lander si avverte l’attrazione nella tensione. Si pensi a questa toccante immagine: “Giù per la scala di legno/furtiva tu scendi la notte./Tremi e nel profondo amplesso/soffochi la paura…”.
In fondo Montale nasce anche da qui. Ciò significa che, nonostante la sua grande importanza teatrale e narrativa, Pirandello ha lasciato dei segni significativi anche sul tessuto direttamente lirico – poetico. Ma questa chiosa è soltanto un piccolo elemento di una interpretazione più vasta del ruolo che ha avuto Pirandello nel “gioco delle parti” del Novecento poetico.
Se la lingua ha avuto una funzione centrale nel Pirandello poetico e nel Pirandello della recita è necessario ribadire che tutta la sua proposta letteraria non solo ha rinnovato un modo di pensare la letteratura stessa, ma ha innovato la letteratura.
La vera modernità, in fondo, è che Pirandello ha reso tutto contemporaneo non tralasciando mai la forma, l’immaginario, la comunicazione, il destino di una tradizione che ha unito l’estetica del raccordo tra sentimento e lingua e il “bisogno” di essere inquieti nel tempo in cui si vive, in quanto soltanto lo sguardo dell’inquietudini permette l’osservazione e l’ascolto.
Pirandello è come se avesse sparso, nell’intreccio della scena tra retroscena e ribalta, i petali di una rosa su un tappeto sul quale, però, sono cadute le spine di un’intera pianta di rose. Se raccogli un petalo, non rischi le spine, raccoglierai tante spine. La metafora divagante è tra l’attrazione, che ha il desiderio del possibile con l’impossibile, e l’inquieto dell’esistere.
Si può superare una tale metafora?
In Pirandello si supera nel momento in cui la metafora stessa diventa vita. Ovvero i petali e le numerose spine sparse lungo il cammino sono il conturbante immaginario dell’assurdo, che è la costante cifra del ritrovarsi di fronte ad uno specchio e non vedersi più. Non vedersi più non è la stessa cosa del non riconoscersi.
Il personaggio pirandelliano non si vede più, diventa, quindi, un volo in trasparenza e, comunque, invisibile. È dunque una metafora che si vive anche nella sua poesia dalla quale si “scende” di notte in modo furtivo. Anche nella poesia insiste la “formazione” del personaggio che si confonde nei luoghi la cui grecità è un recitativo tragico. Senza questo recitativo tragico non ci sarebbe stato il “Così è…”.
Il “giocondo che diventa “mal” di esistere. “Come durare a lungo in questa condizione?”. Si domanda, Pirandello, nella novella “O di uno o di nessuno”. E la risposta sarebbe nel non domandarsi una risposta. O meglio consolidare una considerazione consolatoria: vivere in quella condizione. O forse una risposta si potrebbe ricavare dalla battuta finale di un’altra novella che dice: “La sera è mite. Il cielo è stellato. Domani sarà quel che sarà./Non ci pensa” (da “Fortuna d’esser cavallo”). O forse ancora, per restare sempre alle novelle, il tutto delle domande e delle risposte potrebbe contestualizzarsi (concretizzarsi) in “Pensaci, Giacomino!”.
Comunque, ci sono percorsi rocciosi in Pirandello. Occorre che quel mare della sua isola resti mare d’isola. Sfiora e scava tra le onde del suo Mediterraneo. Offre sempre voce ad una poesia che ha aperto tutte le finestre ad un Novecento assolutamente inquieto sia sul piano storico – politico sia su quello letterario.
Inquietudine di un secolo e di un’epoca per un drammaturgo e narratore che ha fatto della poesia il sentiero del mistero, la ragione della solitudine, l’inequivocabile verità di un “mal giocondo”.
Non vedersi più, dunque,non è la stessa cosa del non riconoscersi. Un gioco al di là delle “parti” o delle “parti” che Pirandello ha disegnato attraverso un Novecento che vive con noi.
(Si ringrazia per la collaborazione Marilena Cavallo, ordinario di Lettere Liceo Moscati Grottaglie, autrice del presente articolo)