Nel suo ultimo libro Mario Desiati, scrittore pugliese ormai ampiamente affermato, racconta uno dei più terribili episodi della storia del calcio.
Allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985 la Juventus e il Liverpool si contesero la Coppa dei Campioni: la partita si concluse con 39 morti, la maggior parte italiani. La narrazione oscilla tra l’emozione di un bambino di otto anni, qual era all’epoca l’autore, e la raccolta di documenti, testimonianze, che gli hanno permesso da adulto di comprendere la realtà di allora e riflettere su di essa.
Il bambino quel giorno ha giocato tutto il pomeriggio nel campetto vicino casa, a Martina Franca, con le prime scarpe con i tacchetti, usate, e più piccole di un numero, che lo hanno fatto sentire grande e importante; ora attende con ansia la sera: ha avuto il permesso di stare in piedi fino alle dieci e tifare e soffrire e gioire con quella Juventus da tempo la sua squadra del cuore. Spera che la partita si concluda entro il tempo stabilito dai genitori, sarebbe triste cercare di capire solo da voci e rumori esterni il risultato finale. Tutto è pronto, il vecchio enorme televisore acceso per il collegamento Rai delle 20,10, l’emozione alle stelle, ma gli incidenti iniziano un’ora prima, con morti e feriti. Il bambino non sa, non comprende, all’inizio vede solo gente per terra, alcuni che fuggono, uomini in camice, soldati a cavallo, ma venti minuti dopo l’inizio del collegamento sente la voce del cronista Bruno Pizzul, che parla di incidenti, possibili vittime e poi, a metà diretta, di 36 morti.
Alle 21,42, con un’ora e mezzo di ritardo inizia la partita ma per il bambino è ora di andare a letto, lo sguardo dei genitori è severo e triste, guarda ancora qualche immagine e poi l’emozione si scioglie in pianto. A letto comincia a capire qualcosa del vocio, del correre, dell’affannarsi sul campo, delle immagini che lo hanno ipnotizzato, ma è un bambino, il sonno lo afferra, capirà, si sforzerà di capire dopo, il perchè di quei 39 morti, a cui da adulto vuole rendere onore con questo libro.
Lo stadio Heysel è stato costruito nel 1930 e finora nessuna ristrutturazione, è piuttosto malandato, con i muri esterni di calcestruzzo, i posti non numerati ed una capienza inferiore di molto al numero dei biglietti venduti per questa importante partita. Le autorità belghe, per separare le tifoserie avversarie, hanno previsto in mezzo un settore, il settore Z, per tifosi neutrali, che hanno acquistato il biglietto da agenzie di viaggio locali; è successo però che molti di quei biglietti sono giunti nelle mani dei bagarini e finiti successivamente in quelle di juventini, avvicinando così pericolosamente le due tifoserie, senza un’adeguata presenza delle forze dell’ordine. Alcuni tifosi inglesi la notte precedente hanno assaltato ristoranti italiani, insomma questi ed altri motivi non fanno presagire niente di buono. Ad un certo punto la rete che separa il settore Z da quelli inglesi viene tagliata, gli italiani vengono aggrediti e cercano di fuggire verso il campo ma trovano i manganelli dei poliziotti; i muri, vecchi e friabili, cedono, entrambe le tifoserie si scontrano con violenza; infine nel settore Z morti e macerie. La Juventus non vorrebbe giocare, ma i dirigenti delle due squadre si piegano alle autorità belghe, che pensano così di placare gli animi, inoltre durante la partita avranno il tempo di organizzare l’esodo. Si gioca quindi in un’atmosfera che si può immaginare, vincerà la Juventus e i giocatori saranno costretti, si dice, a fare il giro del campo con la Coppa innalzata verso il cielo.
il bambino saprà della vittoria il mattino successivo, ma i festeggiamenti per strada sono sotto tono e comunque s’incaricheranno i genitori di fargli capire l’orrore di quanto accaduto.
L’autore vedrà la partita 30 anni dopo, troverà scritti, testimonianze, spiegazioni, in cerca di un senso, per sè e per chi ama il calcio, un calcio che dia gioia, emozione, appartenenza senza odio. Commovente è l’elenco dei morti, il più piccolo aveva 10 anni, il più grande 58, povere vite stroncate dall’incompetenza di chi doveva mettere in atto la necessaria protezione e soprattutto dalla furia disumana di chi prende a pretesto il calcio per sfogare istinti distruttivi e bestiali.