Pubblicità in concessione a Google

Carmelo Currò è storico appassionato e preciso, studioso di genealogia e di vicende locali e nazionali, autore di saggi e poesie, e sembra incarnare al meglio la figura di intellettuale che non si chiude nella sua torre d’avorio e piuttosto partecipa attivamente e senza infingimenti buonisti alle vicende dell’attualità.

Pubblicità in concessione a Google

La sua ultima fatica è ”La Casa di Morgana”, un agile volumetto dedicato alla storia della sua famiglia paterna che racconta più di mille anni di storia, offrendo uno sguardo anche sugli accadimenti che hanno influenzato – nel bene e nel male – le vicissitudini dai suoi avi e raccontando anche le vicende di altre famiglie che con i Currò si sono imparentate più volte, come gli Alibrandi, gli Arena, i Cutugno, i Lanza, i Mangraviti (grandi di Spagna), i Nappi, i Perrotta, gli Zanghì. Liberiamo subito il campo da facili supposizioni: ”La Casa di Morgana” non è un autocompiaciuto omaggio rivolto al passato per esaltare il presente ma piuttosto una appassionata e puntuale esplorazione sulla storia di una famiglia che – per molti aspetti – è la storia dell’Italia stessa. Per saperne di più abbiamo rivolto alcune domande all’autore, chiedendogli di raccontarci anche l’aspetto umano e personale che – discretamente ed opportunamente – il libro mantiene riservato.

Con il suo ”La Casa di Morgana” Lei esplora più di mille anni si storia familiare, indagando su vicende che si sono svolte non solo in diverse parti di Italia, da Ventimiglia a Messina, passando per Salerno, ma anche all’estero. A molti di noi può essere sorto il desiderio di saperne di più sui propri avi; ma certo pochissimi hanno i mezzi per affrontare una simile impresa. Quanto tempo ha dedicato a questo lavoro e come è nata l’idea di questo libro?

Devo dire che la prima persona che mi ha fatto appassionare alla storia familiare, e poi a quella delle famiglie in generale, è stato mio nonno quando da bambino mi raccontava alcune tra le vicende dei suoi avi. Essendo una storia piena di dolori e di perdite (era superstite del maremoto del 1908), lui ne parlava il minimo indispensabile, con la sua riservatezza che non ammetteva ulteriori domande; io ne rimanevo incantato e insoddisfatto, la curiosità cresceva e si sa bene come la curiosità sia a monte di indagini e ricerche. Non essendovi più carte e nemmeno oggetti familiari da utilizzare, tutti travolti dalla catastrofe sismica, fin da ragazzo ho dovuto fare affidamento sul materiale cartaceo che sono riuscito a recuperare un po’ per volta. E devo alla disponibilità di due generosi sacerdoti come Don Mario Aiello (parroco di Torre Faro) e di Don Filippo Lucianetti (parroco del Faro Superiore) la possibilità di reperire e confrontare grandi quantità di materiale da loro custodito. Due uomini generosi che mi hanno aperto le porte non solo degli archivi che sono, si, pubblici; ma anche quelle della loro casa, senza problemi di orari e di impegni. Negli anni il materiale si è accumulato ma non intendevo fare, certo, opera di autocompiacimento e solo oggi ho deciso di pubblicare il lavoro.

Attraverso la storia dei Currò Lei offre uno spaccato di secoli di vicende storiche italiane e non solo, dai grandi eventi come le epidemie di peste, i terremoti o le imprese belliche, sino a quelli solo apparentemente minori, come matrimoni, compravendite di terreni e investiture nobiliari. Una Storia fatta di tante storie, che potrebbe e dovrebbe essere conosciuta meglio anche per interpretare meglio l’attualità che ci circonda, in particolare riguardo ad un Meridione d’Italia che un tempo era il cuore pulsante dell’economia e della cultura europea. Quale è il suo pensiero in proposito?

Desidero innanzitutto dire che cosa è il genealogista: una persona che offre informazioni e spunti per la grande storia. Informazioni sulla medicina, la demografia, gli scambi interfamiliari, le migrazioni e le loro motivazioni, la storia sociale, quella religiosa, quella economica. Interpretando correttamente i dati che emergono da atti di nascita o di morte, dai testamenti, possiamo aprire ampi squarci su fenomeni generali che parlano di come effettivamente era la società dei diversi secoli, ben al di là, dunque, della sterile ricerca di antenati nobili che, per il lavoro di un genealogista, costituisce davvero un aspetto secondario.

Consultando le note del suo ”La Casa di Morgana” si scoprono centinaia di riferimenti bibliografici che citano documenti certo non alla portata di tutti. Ritiene che una maggiore e migliore diffusione di questo immenso patrimonio storico e culturale potrebbe essere utile per conoscere ed apprezzare meglio un patrimonio troppo spesso colpevolmente trascurato?

Devo precisare che il patrimonio immenso e inestimabile a nostra disposizione, cartaceo, epigrafico e documentario in genere (spesso saccheggiato e rovinato da sedicenti studiosi che ne fanno allegramente involare ampie parti nel completo silenzio di chi dovrebbe custodirlo), è alla portata di tutti. Gli archivi, anche quelli parrocchiali, sono pubblici, e chiunque può consultare il materiale che vi è conservato. E’ chiaro che per leggere le carte antiche, decifrare grafie di secoli fa, interpretare il latino abbreviato, è indispensabile imparare a farlo con pazienza. Ci vuole allenamento. Dopo pochi mesi l’occhio si abitua e anche segni che sembrerebbero geroglifici dimostrano la perfetta consistenza delle parole. Poi occorre l’interpretazione dei fatti. La lettura di alcuni testi essenziali (un libro di filologia romanza, per esempio, di quelli che si trovano in vendita per pochissimo nelle librerie universitarie; o la lettura di testi sulla storia sociale italiana ed europea, possono aprirci la mente su vocaboli, abitudini, modi che altrimenti ci potrebbero riuscire non facilmente comprensibili. Tutti possono affrontare certe opere, basta come sempre studiare con un po’ di pazienza.

Qualche giorno fa si è celebrata la festa della Repubblica. Senza tornare su polemiche forse oramai definitivamente superate, quale ritiene possa essere oggi il ruolo della nobiltà, se ne esiste ancora una, e come giudica questa corsa ai titoli che a volte sembra avere come unico scopo il dare un po’ di lustro a casate dal passato non sempre limpido?

In primo luogo, noi dobbiamo rispettare le opinioni di tutti. Se sconfitta vi fu al referendum, le colpe furono di tutti, inclusi i Savoia che gettarono l’Italia in una guerra inutile e disastrosa con tanti morti, feriti e invalidi (mio padre ne portò i segni a vita) e nella vergogna della firma delle leggi razziali. In quanto alla nobiltà, il problema interessa poco il genealogista ed è piuttosto oggetto dello storico sociale. Vi sono diverse forme di nobiltà, a secondo dei luoghi e dei secoli. Per esempio, l’Inghilterra degli Stuart aveva nobili ben diversi nel comportamento e nelle intenzioni da quelli del periodo elisabettiano; e questi ultimi avevano già in larga parte abbandonato il ruolo militare che aveva contraddistinto i loro antenati di uno o due secoli prima. Mi pare che spesso i nobili veri abbiano oggi abdicato a molte prerogative spirituali che erano consone all’educazione degli individui del loro rango. Non c’è lustro senza servizio; il viaggio, l’auto o la villa non fanno certo il nobile. Né le ricerche arrangiate in internet.

Per concludere, al di là della legittima soddisfazione, quale il suo stato d’animo una volta terminato il suo lavoro di indagine e stampato il libro? quale è stato l’episodio della sua famiglia che l’ha sorpreso di più e quale quello che l’ha maggiormente emozionato?

Mi fa molto piacere che una parte della storia familiare sia a disposizione del pubblico; e che io abbia ricordato personaggi come Carlo (un uomo di straripante cultura) o Francesco Currò, il grande sacerdote astronomo che mostrava le leggi della natura per esaltare la grandezza delle Leggi divine. Era dal 1988 che non si ricordava un gloria siciliana quale il poeta e oratore Carlo, dopo il bellissimo saggio di Concetta Bianco. Ma altri personaggi mi inorgogliscono perché hanno conservato lo spirito di servizio dei loro antenati di cui ho parlato. Mio nonno Giuseppe (che incuteva un riverente timore in tutti tranne che in me) era un uomo coraggiosissimo, in grado di bloccare da solo interi gruppi di malviventi o di rovesciare un motoscafo di contrabbandieri. Altro che Harrison Ford. E fu persino arrestato dai nazisti in ritirata. L’incarnazione di un guerriero medievale, senza macchia e senza paura. Mio padre è oggi ancora sufficientemente ricordato per come ha affrontato una dolorosissima malattia fin da quando era rientrato giovane dalla guerra, fuggendo dal campo di concentramento. Ha sempre pregato, ringraziato Dio per la vita che gli dava, ha lavorato senza sosta, guadagnando sul campo ammirazione e rispetto. Devo dire che se corone e allori ho immaginato, ho pensato che sarebbero stati ben collocati sulle loro teste e non su futili bigliettini da visita.

Pubblicità in concessione a Google